L'hanno conosciuta e l'hanno amata, così come era. Non
hanno amato le belle foto della ragazza solare e sorridente, come in
assoluta buona fede abbiamo fatto tutti, anche noi, ma hanno amato lei nella
sua condizione più fragile e delicata, nel suo essere indifesa, volubile,
delicata. L'hanno presa con loro e ogni giorno, per lunghissimi anni, le
hanno parlato, l'hanno pulita, lavata, vestita, curata, accarezzata. Con
tutta la fatica che ci vuole. Hanno fatto in modo che intorno a Eluana
continuasse a manifestarsi amore, cura, affetto. Tutto questo tutti i
giorni: non un solo momento di pausa, non un solo momento di riposo. Loro
stavano là, con Eluana: amata di un amore misterioso e intenso, quello che
racconta della grande dignità di ogni essere umano, a maggior ragione se
fragile e debole.

Nella serata della morte di Eluana Englaro, a Lecco le suore
Misericordine della clinica Beato Luigi Talamoni hanno pianto. E con le
lacrime hanno scelto la strada della preghiera e del silenzio. Non hanno
partecipato al momento di preghiera organizzato nella basilica di San
Nicolò, situata a poche decine di metri da loro, ma hanno preferito pregare
nella riservatezza della cappella della clinica lecchese. E hanno recitato
il rosario. Al Senato, in quegli stessi minuti, urla, boati, insulti,
fischi. Nella cappella della clinica che è stata a lungo la casa di Eluana
Englaro, riflessione, dolore, silenzio e preghiera.
Sono il meglio, loro, di tutta questa storia. Il meglio è il loro amore,
la loro dedizione, la loro cura, la loro fede. una fede in Dio e una fede
nell'essere umano, nella sua grande e straordinaria grandezza, nel senso del
rispetto, della condivisione, del sacrificio. Non una parola fuori posto,
non un cedimento in tutte queste settimane al rito mediatico che intorno a
quella ragazza si è consumato. Loro erano ancora disposte ad accudirla in
ogni istante, a riprenderla con loro per prendersene cura fino a che non
sarebbe sopraggiunta la morte. La morte naturale.
E invece no. Eluana è morta altrove, e di naturale quella morte ha poco.
Ma nella durezza e nella crudezza di quanto accaduto, nella terribile
considerazione che qualcosa di indegno si è consumato, insieme al pensiero
di lei, Eluana, porta conforto il pensiero di quelle povere, umili, quasi
insignificanti suore. Capaci di portare amore e di testimoniarlo nel
silenzio e nella presenza. Fateci aggrappare allora alla consapevolezza e
alla speranza - speranza squisitamente cristiana - che il male trionfa
solamente in apparenza, e che anche di fronte a quanto accaduto non manca la
testimonianza di un amore che sa riconoscere, anche nelle piaghe della
sofferenza e della apparente inutilità, la grandezza di ogni essere umano.
Molti non comprenderanno, molti rideranno o ironizzeranno su queste parole e
su queste righe: non importa. Il Dio dei cristiani è un Dio sofferente che
muore in croce, non è un Dio sfolgorante che scende dalla croce o che si
risveglia da uno stato vegetativo durato 17 anni. Quello cristiano è un Dio
che muore e poi risorge, e si fa rivedere vivo solamente agli amici. Non si
prende rivincite umane, il Dio cristiano: si "limita" a fare una cosa. Lui
risorge. Lo fa anche oggi, nella macabra quiete di una clinica italiana.
09/02/2009 L'ultimo atto: Eluana è morta (Red, http://www.korazym.org)
Eluana
è morta. Si è spenta alle 20,10, a quattro giorni dal ricovero alla casa di
riposo "La Quiete" di Udine, dove era stata trasferita per l'avvio del
processo di sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione che la
tenevano in vita. La situazione di Eluana Englaro è rimasta stabile fino al
primo pomeriggio, dopodiché sarebbe avvenuto un improvviso peggioramento che
ha condotto la donna alla morte.
09/02/2009 Il peggio di una storia
Ed eccoci davanti il peggio. Sotto ogni punto di vista. Ad
una persona viva, in stato vegetativo, privata dell’idratazione e
dell'alimentazione: in una clinica, sotto l’occhio di personale sanitario,
di medici e infermieri, ha chiuso gli occhi per sempre. Non è morta per una
malattia, ma per non essere stata assistita, perché così è stato chiesto e
così qualcuno ha deciso. Non è stata fermata la respirazione artificiale,
per il semplice fatto che Eluana Englaro respirava autonomamente.
Sulla sua storia, una babele di parole e di opinioni, fino al deprimente
spettacolo di uno scontro inusitato fra il governo e il presidente della
Repubblica, con Parlamento e magistratura lì a partecipare e assistere. E i
soliti continui richiami all’ingerenza vaticana negli affari dello Stato
italiano. Avrebbe meritato miglior sorte, Eluana Englaro. Avrebbe meritato
altro, che non questo groviglio di posizioni che da anni e sempre di più
negli ultimi mesi e settimane si è avvitato intorno alla sua vita e alla sua
condizione.
Le ragioni addotte dal governo per intervenire, compresa l’evidente presenza
di un requisito di necessità e urgenza derivante dalla condizione attuale
della cittadina Eluana, paiono ragionevoli, così come d’altro canto
inusitati e improvvidi sono sembrati i toni con i quali il presidente del
Consiglio ha pubblicamente attaccato la posizione del capo dello Stato
spostando la vicenda sul piano dello scontro frontale. La portata delle
argomentazioni avrebbe meritato un ben altro stile di confronto. Lo scontro,
diventato da tempo anche politico, rischia ormai di essere vissuto solamente
come tale: la vicenda Englaro come una delle tante sulle quali la politica
dibatte ogni giorno. Una vera amarezza. E ora l’iter parlamentare. Una legge
in tre giorni: non si è praticamente mai visto. E non è servito a niente.
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