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17/08/2007 Medici sul campo/1. Il prof. Proietti fra testamento biologico, eutanasia e cure palliative
(Daniele Lorenzi, http://www.korazym.org)
Il responsabile del servizio di Anestesia, terapia
intensiva post-operatoria e terapia del dolore al Gemelli di Roma è il
primo di una serie di medici a rispondere alle domande sul fine-vita. Il
testo dell'intervista rilasciata a Scienza&Vita.
Testamento
biologico? "Non serve". Interviste a raffica di Scienza&Vita.
Rodolfo Proietti è dirigente medico responsabile del Servizio di
Anestesia, terapia intensiva post-operatoria e terapia del dolore (Uoc)
presso il Policlinico universitario “A. Gemelli” di Roma. All’unità
operativa complessa di Anestesia, Terapia intensiva post-operatoria e
Terapia del dolore sono affidate numerose attività assistenziali:
valutazione pre-operatoria del paziente finalizzata ad individuare i
fattori di rischio anestesiologico; procedure di anestesia generale e
loco-regionale; procedure di analgosedazione in corso di indagini
diagnostiche invasive, assistenza intensivologica nel periodo
postoperatorio. Ecco il testo della sua intervista pubblicata sul sito
dell'associazione Scienza&Vita.
Che cosa pensa di una norma che sancisca il testamento
biologico?
Il testamento biologico nasce con l’intento iniziale di
favorire, nell’ambito della relazione medico-paziente, decisioni del
medico finalizzate ad evitare l’ accanimento terapeutico. Se venisse
approvata una norma che si limitasse al raggiungimento di questo
obiettivo, potrebbe essere utile per aiutare il medico a prendere le
difficili decisioni di “fine vita”. Nel tempo, però, e con il proseguire
del dibattito, l’obiettivo del testamento biologico, e della relativa
normativa di cui si parla, si è modificato: l’obiettivo è diventato
quello di estendere le decisioni del paziente anche su procedure
assistenziali che nulla hanno a che fare con l’accanimento terapeutico.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
In una prima fase l’accanimento terapeutico identificava l’uso di
terapie sproporzionate per eccesso, che riguardavano pazienti affetti da
malattie giunte in fase terminale; successivamente ha assunto un
significato diverso, e non condivisibile, perché alcuni propongono di
estendere il significato di questo termine a qualsiasi terapia ritenuta
insopportabile dal paziente. Occorre, a questo proposito, tenere
presente che una terapia può essere ritenuta insopportabile da una
persona malata indipendente dall’inevitabilità della morte. Per questa
ragione, ritengo che una norma sul testamento biologico che faccia
riferimento all’accanimento terapeutico così come viene inteso da
alcuni, sia inaccettabile, inutile e potenzialmente dannosa. In questi
casi è già dovere del medico evitare eccessi diagnostici e terapeutici.
La terapia sproporzionata per eccesso si riferisce soprattutto a quelle
condizioni in cui la morte è ormai inevitabile – nonostante le terapie a
disposizione – ed è attesa nel breve periodo.
Che cosa intende per eutanasia?
L’eutanasia può avere due forme: una attiva, che avviene quando – su
richiesta della persona malata – vengono somministrate sostanze tossiche
tese a por fine alla vita; in pratica, un’anticipazione della morte su
richiesta del paziente, che gran parte delle persone ritengono
inammissibile; la seconda forma si può definire eutanasia omissiva, che
avviene quando si intende non iniziare o sospendere – sempre su
richiesta del paziente – terapie proporzionate, e dovute, al fine di
anticipare la morte, quando questa, non solo è evitabile, ma non è
attesa nei tempi brevi.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa
problematica?
Il codice deontologico vieta sia l’eutanasia, nelle sue diverse
forme, sia l’accanimento terapeutico, inteso come terapie sproporzionate
per eccesso. Il rifiuto di terapie sproporzionate per eccesso rientra
nelle disposizioni previste dal codice deontologico, che già prevede che
il medico possa avvalersi di quanto espresso precedentemente dal
paziente che può indicare decisioni atte ad evitare l’accanimento
terapeutico. Questa possibilità, già prevista nel Codice di deontologia
medica porta inevitabilmente a mettere fortemente in dubbio la concreta
utilità del testamento biologico.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espresse in
precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Quando parlo di relazione medico-paziente, mi piace ricordare che questa
relazione non è mai di tipo conflittuale; ha l’obiettivo della
condivisione del progetto terapeutico; sta al medico realizzare una
relazione positiva con il paziente favorendo questa condivisione.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso
di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del
paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un
equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è
derivata la morte del paziente?
No. Nella mia esperienza di rianimatore può accadere – e accade – che ci
sia una richiesta dei familiari di fare oltre il possibile.
Nell’esperienza comune, quotidiana, si chiede al medico, non dico di
praticare l’accanimento terapeutico, ma di fare tutto il possibile
certamente. Ripeto: questa è la mia esperienza quotidiana. Devo anche
dire che si parla molto di eutanasia, ma le richieste sono rarissime.
Può indicare la differenza tra testamento biologico e
pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione
medico-paziente?
La differenza è sostanziale. Nel testamento biologico la dichiarazione
viene fatta su una malattia non esistente, su una condizione presunta di
patologia, per un evento che potrebbe verificarsi. Nella pianificazione
dei trattamenti ci riferiamo ad una patologia in atto; il paziente è
consapevole in quanto informato dal medico curante, che la malattia
potrà andare incontro ad un’evoluzione, fino alla fase terminale:
costruiamo quindi, insieme alla persona malata, decisioni per quella
patologia gia in atto. La pianificazione dei trattamenti rientra
pienamente nell’ambito della formazione del consenso informato.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza
domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono
essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si
presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
In realtà, le cure palliative e l’assistenza al malato in
condizioni terminali, costituiscono un dovere assoluto della medicina
indipendentemente dal perseguimento di obiettivi secondari.
Rappresentano uno degli elementi che caratterizzano un’assistenza di
alta qualità, attenta a collocare il miglior interesse del paziente al
centro dell’azione terapeutica. Non mi piace dire: promuoviamo le cure
palliative per limitare le richieste di eutanasia; vanno promosse,
comunque, perché costituiscono la migliore risposta assistenziale
possibile per molti malati.
www.korazym.org
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