Abbiamo
sempre bisogno di montare un caso per renderci conto dell’evidenza di un
problema stringente da risolvere? Abbiamo sempre bisogno di commuoverci
per riflettere? Probabilmente è così, ma va da sé che oggi il fast non
declina solo il cibo. L’informazione è un pozzo profondo dove tutto ha
visibilità per il tempo necessario ad essere inghiottito dalla voragine
che restituisce poi una facile abitudine a scordare. Dimenticare fino al
prossimo nome e cognome che ci commuoverà. Dimenticare fino a che la
politica non ne farà occasione per dividersi biecamente tra i peccatori al
servizio del cupolone e gli altri, lasciando molto spesso un nulla di
fatto sul tavolo della sofferenza altrui. Ecco che al posto di Piergiorgio
Welby oggi troviamo un altro dramma della sofferenza senza speranza.
Giovanni Nuvoli, 53 anni, di Alghero, ricoverato all’ospedale civile
Santissima Annunziata di Sassari nel reparto di rianimazione, da sei anni
vive attaccato a un respiratore.
Come Welby è immobilizzato a letto dalla distrofia muscolare miotrofica.
Come Welby è tenuto in vita da un respiratore artificiale e può muovere
solo gli occhi. Come Welby ha chiesto ai medici di sospendere la
somministrazione di aria ai polmoni, previa sedazione, rifiutando quindi
di continuare ad essere sottoposto ad un trattamento sanitario. Il
Primario del reparto di rianimazione Demetri Vidili però si è rifiutato di
staccare la spina che lo tiene in vita da circa cinque anni.
Come Welby si è rivolto al Tribunale, ma il gup Maria Teresa Lupinu ha
accolto la richiesta di archiviazione del reato di violenza privata cui
era incorso il Primario rifiutandosi di ottemperare le richieste di
Giovanni. Come Welby nulla di fatto. Mario Riccio, l’anestesista che aveva
accolto le richieste di Piergiorgio Welby, a proposito di questo caso, ha
dichiarato che “è difficile considerare che una struttura pubblica non
possa adempiere ai diritti dei pazienti”.
Del resto, sono molte le cose difficili da considerare.
Prima fra tutte la disinvoltura con la quale, dopo Welby, si è passati a
parlare d’altro, nonostante siano parecchi oggi i malati a soffrire a
causa del deficit del diritto all’autodeterminazione e alla libertà di
decidere della propria vita e delle cure in caso di malattia. Accanto a
Giovanni Nuvoli ci sono altri nomi, altre sofferenze, altri situazioni che
passano inosservate. E’ il caso ad esempio di Giuseppe Nardi, 55 anni,
paraplegico da quindici anni a causa di un incidente stradale, che
denuncia di “essere stato preso in giro da sindaci e ministri”. Gli
avrebbero promesso di sperimentare cure con le cellule staminali, ma il
tempo è passato e nulla è stato fatto. La moglie denuncia il disinteresse
delle istituzioni locali, si sente presa in giro. Giuseppe arriva a
chiedere di “morire per essere almeno una bocca in meno da sfamare, una
spesa in meno per la famiglia”.
In questa Italia dove si muore per un appendicite, dove l’assistenza ai
malati costretti dalla malattia ad una vita immobile si scontra con budget
confezionati dall’arte del risparmio ad ogni costo del governo di turno,
dove la ricerca scientifica al verde si scontra ancora con i diktat del
verbo cattolico, sono i malcapitati a dare corpo – letteralmente – a
battaglie per i diritti di vita e di libertà di tutti noi.
Difficile da considerare e da accettare anche l’ingerenza, che si fa
sempre più violenta ed oscurantista, della Chiesa su questioni relative la
vita di tutti i cittadini, arrivando perfino a rappresentare i limiti
della famosa, quanto fumosa, carità cristiana, quando si rifiuta di
celebrare in Chiesa i funerali per Piergiorgio Welby.
Pare che sia sempre più difficile per la politica di coloro che si
dichiarano laici puntare i piedi su questioni come Testamento biologico,
eutanasia passiva od omissiva e sul diritto all’autodeterminazione di
ciascun malato. L’arrembaggio della Chiesa su questioni morali, che arriva
negli ultimi giorni a pavoneggiare la sua potestas con un possibile
documento vincolante per i cattolici a proposito dei Dico, appare un
pressing sempre più insistente ed ostinato.
Il risultato è che guarda caso, non solo ci arrivano notizie sempre più
sussurrate, dopo Welby, circa i casi in cui il malato chieda la
sospensione di un trattamento sanitario che lo tiene in vita, ma peggio
arrivano quelle riguardanti per lo più casi di distrofia muscolare.
Ancora, è difficile considerare che non ci siano altre situazioni di
sofferenza tali per cui il malato non chieda di sospendere le cure come un
viatico per la fine della sofferenza, cercando la morte.
Intanto Ignazio Marino, presidente della commissione Sanità al Senato
spiega che, con la Convenzione di Oviedo, recepita nel nostro ordinamento
grazie all’approvazione al Senato del decreto milleproroghe, “il paziente
potrà in qualsiasi momento della terapia togliere il consenso ad un
determinato trattamento”. La Convenzione per la protezione dei diritti
dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle
applicazioni della biologia e della medicina, a dieci anni dalla sua
firma, dovrebbe quindi a breve mettere ai ferri corti il governo.
Non sono difficili le considerazioni che probabilmente ci troveremo a fare
quando il ministro della Salute Livia Turco emetterà i decreti necessari
per rendere effettive le norme della Convenzione nel nostro ordinamento
giuridico. E’ sempre facile constatare la censura sul tema eutanasia. Meno
facile sarà accettare chiusure e reticenze sul testamento biologico.
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