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19/01/2007 Testamento biologico: il si degli italiani c’è, la legge si avvicina (Stefano Caredda, http://www.korazym.org)

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Rapporto Eurispes 2007: tre cittadini su quattro favorevoli a dare valore legale alle disposizioni anticipate sulla sospensione delle terapie. La legge in aula al Senato entro la primavera. Sul si all'eutanasia "pesa il caso Welby". Ecco dati e opinioni.

E’ un netto si al testamento biologico, è invece tutt’altro che un plebiscito a favore dell’eutanasia. I dati del Rapporto Italia 2007, che l’Eurispes ieri ha anticipato per ciò che concerne le opinioni degli italiani sui temi del fine vita, fanno discutere e alimentano polemiche e prese di posizione. Tutte legittime, ma bisognose di trovare il giusto quadro di riferimento, ad iniziare dalla reale portata dell’indagine condotta dall’istituto di ricerche. Perché se è vero che sette italiani su dieci si dicono favorevoli all’eutanasia, è altrettanto vero che l’indagine è stata condotta nel periodo di massima esposizione mediatica del “caso” Welby e che la domanda – così come formulata nel questionario – ha portato alla completa identificazione fra la vicenda di quest’ultimo e il termine “eutanasia”, che invece richiama atmosfere, decisioni e atti ancor più controversi. Una sottolineatura che è lo stesso presidente dell’Eurispes, il prof. Gian Maria Fara, a rimarcare nel corso della conferenza stampa di presentazione tenutasi ieri mattina al Senato alla presenza del presidente della Commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama, quell’Ignazio Marino che ha firmato uno dei disegni di legge in tema di testamento biologico attualmente all’esame dei senatori: “I nostri intervistati” – ha sottolineato il presidente Eurispes – “hanno individuato nella nostra domanda la fattispecie riscontrata nel caso di Piergiorgio Welby e si sono detti favorevoli a questo tipo di richiesta. Non è sull’iniezione letale che sette italiani su dieci si dicono d’accordo, ma sulla possibilità di interrompere delle cure dietro esplicita richiesta”.

E non a caso, infatti, è sulla questione del testamento biologico (cioè sull’unica intorno alla quale è in corso al momento un confronto parlamentare) che si sofferma in modo puntuale l’indagine Eurispes: sono tre su quattro gli italiani che si dicono d’accordo ad una previsione normativa sulla scelta anticipata di sospensione delle cure, e se viene vista positivamente anche la figura del fiduciario (una persona che si assuma la responsabilità di decidere in ultima istanza sulla prosecuzione delle cure alle quali è sottoposto un paziente in condizione di non autoconsapevolezza), scarsa fiducia viene invece riservata a medici e magistrati. In breve, ne esce fuori l’immagine di un cittadino italiano più informato e deciso di quanto non ci si potesse aspettare, che sa bene cosa è il testamento biologico, e vorrebbe poterlo utilizzare,

TESTAMENTO BIOLOGICO - Sono tre su quattro (il 74,7%) gli italiani che si esprimono a favore dell’introduzione di una normativa che conferisca al testamento biologico un valore giuridico: più le donne (75,7%) che gli uomini (73,7%), più gli elettori di centro sinistra (83,8%) che di centro destra (69,9%). A colpire i ricercatori – al di là delle opinioni espresse - è soprattutto l’elevato grado di conoscenza del tema: ben l’84% degli intervistati ha infatti risposto correttamente alla domanda sulla definizione di testamento biologico (cioè un documento contenente le disposizioni di un individuo in merito ai trattamenti sanitari a cui accetta di essere sottoposto in caso di coma irreversibile o in caso di gravi patologie), dimostrando così una non scontata voglia di sapere e di decidere. Una realtà che – sorprendendo alcuni – si riscontra in misura marcata soprattutto al sud, dove il 91% degli intervistati ha esatta coscienza dei termini della questione. Sono invece concentrati soprattutto al nord (dove il dato dei “promossi” scende fino al 73,5%) quei cittadini (sono il 12,5% del totale) che confondono il testamento biologico con le disposizioni lasciate in merito alla propria sepoltura o cremazione e con le decisioni sulla donazione degli organi.

Ancora più significativo – soprattutto in considerazione del dibattito parlamentare – è poi il dato di quanti ritengono una buona idea individuare una persona cara alla quale spetti il compito di verificare che quanto in precedenza firmato nel testamento biologico venga correttamente interpretato ed attuato: è l’86,3% a dire si al fiduciario, con i contrari fermi al 9,1%. E’ uno dei punti più controversi sui quali i disegni di legge presentati (sono otto, fino a questo momento) prevedono soluzioni e approcci differenti. La tendenza a fidarsi di una persona cara (non necessariamente un parente, certamente qualcuno con cui si è condivisa una parte significativa della propria vita) è ulteriormente rafforzata dal quesito intorno agli eventuali contrasti che potrebbero sorgere fra medici e fiduciario sull’interpretazione della dichiarazione di volontà e dunque sulle decisioni da prendere. Si sta valutando in sede parlamentare la possibilità di riservare la scelta ad un collegio composto da un neurologo, uno psichiatra e un esperto sulla patologia in questione (nominati da un direttore sanitario o comunque da un soggetto emotivamente estraneo al caso concreto), ma gli italiani la pensano molto diversamente: il 32,7% assegnerebbe la scelta al coniuge, il 27% ad una altra persona di fiducia, il 13,7% ad un parente, mentre a fidarsi del Comitato etico dell’ospedale è l’11,9% degli interpellati, con magistrati (4,1%) e medici della rianimazione (3,5%) fanalini di coda in questa particolare classifica di preferenza.

ACCANIMENTO TERAPEUTICO - Se sul testamento biologico e sulla sospensione delle cure la tendenza generale appare chiara e documentata, ben diversa è paradossalmente la situazione per quanto concerne un altro dei temi caldi del dibattiti: l’accanimento terapeutico. Pur ormai universalmente rifiutato, è difficile definirlo in termini sicuri e definiti. Solo il 41% degli intervistati fornisce una definizione appropriata, quella di una prestazione di cure che prolungano la vita di un paziente senza alcuna speranza di guarigione. Gli altri pensano al mantenimento artificiale in vita di un individuo privo di coscienza, o al sottoporre un individuo a terapie che comportano sofferenza o menomazioni. C’è molta “disinformazione”, dice l’Eurispes: “Dai mezzi di comunicazione ci si può aspettare maggiore chiarezza, anche se la soggettività delle opinioni sul tema rimarrà comunque una condizione immutabile”.

EUTANASIA – Eccola, immediatamente, la domanda rivolta dai ricercatori Eurispes alle mille persone intervistate: “Lei è favorevole o contrario all’eutanasia (la possibilità cioè di concludere la vita di un’altra persona, dietro sua richiesta, allo scopo di diminuire le sofferenze negli ultimi momenti della vita)?”. Ad essere prospettata è stata dunque - per brutalizzare – non l’iniezione letale o il suicidio assistito, ma proprio la situazione di Welby: il 68% ha risposto si, il 23,5% no (nessuna risposta dall’8,5%), con una crescita dei favorevoli a dir poco esaltante e pari ad un +26% in un solo anno (nel 2006 si diceva d’accordo con l’eutanasia il 42% del campione). “I questionari sono stati somministrati fra la fine di novembre e la seconda decade di dicembre” – dice il presidente Eurispes ricordando il periodo in cui l’opinione pubblica ha maggiormente discusso di questi temi, sulla spinta - emotiva e non - del caso Welby: “La presenza del tema sui mezzi di comunicazione – argomenta Fara – ha certamente favorito un numero così alto di favorevoli: le opinioni sono per loro stessa natura mutevoli, ed è difficile valutare quanto questo dato potrà essere confermato dalle indagini del futuro. E’ indubbio però che nelle corde vocali di questo paese” – conclude Fara – “l’idea dell’iniezione letale è massicciamente rifiutata: al di là del dato eclatante, è di testamento biologico e di accanimento terapeutico che si può discutere, non certo di una generale accettazione dell’eutanasia o del suicidio assistito”.

EUTANASIA CLANDESTINA - Ma in questo 2007 a far discutere è anche un altro dato, quello sull’eutanasia clandestina. Un italiano su quattro (26,3%) condivide l’ipotesi secondo cui, negli ospedali pubblici, pur essendo una pratica illegale, essa viene comunque praticata per i casi irrisolvibili (il 26,4% la pensa all’esatto opposto, e quasi la metà del campione non risponde). Per i più si tratta di una semplice sensazione, ma c’è un 6% del totale degli intervistati che afferma di essere – direttamente o indirettamente - a conoscenza di persone che vi hanno fatto ricorso: è una percentuale piccola, ma non trascurabile, anche se –dice l’Eurispes- “non abbiamo alcun dato di realtà che ci possa portare ad affermare che tali situazioni si verifichino realmente”.

I COMMENTI – Sui commenti, a caldo e non, si potrebbe scrivere a lungo. C’è chi coglie la palla al balzo per rivendicare la bontà di una legislazione che apra a pratiche eutanasiche, c’è chi mette in dubbio la consistenza scientifica dei dati Eurispes, c’è chi cerca di andare oltre e più in profondità. Rapida rassegna: Marco Cappato è il presidente dell’Associazione Luca Coscioni: “Ora è finalmente chiaro: gli italiani vogliono una legge sull’eutanasia: il Parlamento deve rispondere. Serve anche sull’eutanasia clandestina già ora praticata un’indagine conoscitiva che assicuri ai medici l'anonimato, aprendo la possibilità di regolamentare con una legge ciò che nei fatti di già avviene". Maria Luisa di Pietro è la presidente dell’Associazione Scienza&Vita: “La maggioranza della gente non ha la consapevolezza che l'eutanasia è l'uccisione di una vita umana, sia che essa venga effettuata dando o sottraendo qualcosa”. Dunque, un no al “linguaggio semplificato dello staccare o attaccare la spina” e si alla proposta di “alternative che diano alle persone mezzi e strutture per poter essere accompagnate anche nelle fasi finali della loro vita in modo confacente al rispetto della dignità umana”. E attenzione alla distinzione fra “terapia” e “cura”: “Se è vero che esistono terapie che possono essere sospese se sproporzionate, è anche vero che una società solidale e aperta alla fragilità deve continuare a prendersi cura delle persone anche quando le terapie non risultano più efficaci”. E Ignazio Marino, presidente della Commissione Sanità del Senato, ora impegnate nelle audizioni sul tema di esperti e associazioni, annuncia la sua volontà di portare in aula un unico testo di legge (risultato della fusione degli otto finora presentati) entro la primavera: “Nessuno ha intenzione di favorire un percorso che conduca al suicidio assistito o all’eutanasia: il nostro obiettivo è solamente quello di giungere alla definizione di regole che consentano a ciascuno di prendere delle decisioni sulle terapie alle quali sottoporsi”. E conclude: “La normativa non dovrà  e non potrà entrare nello specifico, ma certamente deve muoversi verso un approfondimento del rapporto fra medico e paziente, di modo che questo (o una persona da lui indicata, in caso di sua impossibilità) possano prendere al momento opportuno le decisioni migliori”. C’è accordo in Parlamento? “Sono fiducioso: ci sarà”.

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