Rapporto Eurispes 2007: tre cittadini su quattro
favorevoli a dare valore legale alle disposizioni anticipate sulla
sospensione delle terapie. La legge in aula al Senato entro la
primavera. Sul si all'eutanasia "pesa il caso Welby". Ecco dati e
opinioni.
E’ un netto
si al testamento biologico, è invece tutt’altro che un plebiscito a
favore dell’eutanasia. I dati del Rapporto Italia 2007, che l’Eurispes
ieri ha anticipato per ciò che concerne le opinioni degli italiani sui
temi del fine vita, fanno discutere e alimentano polemiche e prese di
posizione. Tutte legittime, ma bisognose di trovare il giusto quadro di
riferimento, ad iniziare dalla reale portata dell’indagine condotta
dall’istituto di ricerche. Perché se è vero che sette italiani su dieci
si dicono favorevoli all’eutanasia, è altrettanto vero che l’indagine è
stata condotta nel periodo di massima esposizione mediatica del “caso”
Welby e che la domanda – così come formulata nel questionario – ha
portato alla completa identificazione fra la vicenda di quest’ultimo e
il termine “eutanasia”, che invece richiama atmosfere, decisioni e atti
ancor più controversi. Una sottolineatura che è lo stesso presidente
dell’Eurispes, il prof. Gian Maria Fara, a rimarcare nel corso della
conferenza stampa di presentazione tenutasi ieri mattina al Senato alla
presenza del presidente della Commissione Igiene e Sanità di Palazzo
Madama, quell’Ignazio Marino che ha firmato uno dei disegni di legge in
tema di testamento biologico attualmente all’esame dei senatori: “I
nostri intervistati” – ha sottolineato il presidente Eurispes – “hanno
individuato nella nostra domanda la fattispecie riscontrata nel caso di
Piergiorgio Welby e si sono detti favorevoli a questo tipo di richiesta.
Non è sull’iniezione letale che sette italiani su dieci si dicono
d’accordo, ma sulla possibilità di interrompere delle cure dietro
esplicita richiesta”.
E non a caso, infatti, è sulla questione del testamento biologico (cioè
sull’unica intorno alla quale è in corso al momento un confronto
parlamentare) che si sofferma in modo puntuale l’indagine Eurispes: sono
tre su quattro gli italiani che si dicono d’accordo ad una previsione
normativa sulla scelta anticipata di sospensione delle cure, e se viene
vista positivamente anche la figura del fiduciario (una persona che si
assuma la responsabilità di decidere in ultima istanza sulla
prosecuzione delle cure alle quali è sottoposto un paziente in
condizione di non autoconsapevolezza), scarsa fiducia viene invece
riservata a medici e magistrati. In breve, ne esce fuori l’immagine di
un cittadino italiano più informato e deciso di quanto non ci si potesse
aspettare, che sa bene cosa è il testamento biologico, e vorrebbe
poterlo utilizzare,
TESTAMENTO BIOLOGICO - Sono tre su quattro (il 74,7%)
gli italiani che si esprimono a favore dell’introduzione di una
normativa che conferisca al testamento biologico un valore giuridico:
più le donne (75,7%) che gli uomini (73,7%), più gli elettori di centro
sinistra (83,8%) che di centro destra (69,9%). A colpire i ricercatori –
al di là delle opinioni espresse - è soprattutto l’elevato grado di
conoscenza del tema: ben l’84% degli intervistati ha infatti risposto
correttamente alla domanda sulla definizione di testamento biologico
(cioè un documento contenente le disposizioni di un individuo in merito
ai trattamenti sanitari a cui accetta di essere sottoposto in caso di
coma irreversibile o in caso di gravi patologie), dimostrando così una
non scontata voglia di sapere e di decidere. Una realtà che –
sorprendendo alcuni – si riscontra in misura marcata soprattutto al sud,
dove il 91% degli intervistati ha esatta coscienza dei termini della
questione. Sono invece concentrati soprattutto al nord (dove il dato dei
“promossi” scende fino al 73,5%) quei cittadini (sono il 12,5% del
totale) che confondono il testamento biologico con le disposizioni
lasciate in merito alla propria sepoltura o cremazione e con le
decisioni sulla donazione degli organi.
Ancora più significativo – soprattutto in considerazione del dibattito
parlamentare – è poi il dato di quanti ritengono una buona idea
individuare una persona cara alla quale spetti il compito di verificare
che quanto in precedenza firmato nel testamento biologico venga
correttamente interpretato ed attuato: è l’86,3% a dire si al
fiduciario, con i contrari fermi al 9,1%. E’ uno dei punti più
controversi sui quali i disegni di legge presentati (sono otto, fino a
questo momento) prevedono soluzioni e approcci differenti. La tendenza a
fidarsi di una persona cara (non necessariamente un parente, certamente
qualcuno con cui si è condivisa una parte significativa della propria
vita) è ulteriormente rafforzata dal quesito intorno agli eventuali
contrasti che potrebbero sorgere fra medici e fiduciario
sull’interpretazione della dichiarazione di volontà e dunque sulle
decisioni da prendere. Si sta valutando in sede parlamentare la
possibilità di riservare la scelta ad un collegio composto da un
neurologo, uno psichiatra e un esperto sulla patologia in questione
(nominati da un direttore sanitario o comunque da un soggetto
emotivamente estraneo al caso concreto), ma gli italiani la pensano
molto diversamente: il 32,7% assegnerebbe la scelta al coniuge, il 27%
ad una altra persona di fiducia, il 13,7% ad un parente, mentre a
fidarsi del Comitato etico dell’ospedale è l’11,9% degli interpellati,
con magistrati (4,1%) e medici della rianimazione (3,5%) fanalini di
coda in questa particolare classifica di preferenza.
ACCANIMENTO TERAPEUTICO - Se sul testamento biologico e
sulla sospensione delle cure la tendenza generale appare chiara e
documentata, ben diversa è paradossalmente la situazione per quanto
concerne un altro dei temi caldi del dibattiti: l’accanimento
terapeutico. Pur ormai universalmente rifiutato, è difficile definirlo
in termini sicuri e definiti. Solo il 41% degli intervistati fornisce
una definizione appropriata, quella di una prestazione di cure che
prolungano la vita di un paziente senza alcuna speranza di guarigione.
Gli altri pensano al mantenimento artificiale in vita di un individuo
privo di coscienza, o al sottoporre un individuo a terapie che
comportano sofferenza o menomazioni. C’è molta “disinformazione”, dice
l’Eurispes: “Dai mezzi di comunicazione ci si può aspettare maggiore
chiarezza, anche se la soggettività delle opinioni sul tema rimarrà
comunque una condizione immutabile”.
EUTANASIA – Eccola, immediatamente, la domanda rivolta
dai ricercatori Eurispes alle mille persone intervistate: “Lei è
favorevole o contrario all’eutanasia (la possibilità cioè di concludere
la vita di un’altra persona, dietro sua richiesta, allo scopo di
diminuire le sofferenze negli ultimi momenti della vita)?”. Ad essere
prospettata è stata dunque - per brutalizzare – non l’iniezione letale o
il suicidio assistito, ma proprio la situazione di Welby: il 68% ha
risposto si, il 23,5% no (nessuna risposta dall’8,5%), con una crescita
dei favorevoli a dir poco esaltante e pari ad un +26% in un solo anno
(nel 2006 si diceva d’accordo con l’eutanasia il 42% del campione). “I
questionari sono stati somministrati fra la fine di novembre e la
seconda decade di dicembre” – dice il presidente Eurispes ricordando il
periodo in cui l’opinione pubblica ha maggiormente discusso di questi
temi, sulla spinta - emotiva e non - del caso Welby: “La presenza del
tema sui mezzi di comunicazione – argomenta Fara – ha certamente
favorito un numero così alto di favorevoli: le opinioni sono per loro
stessa natura mutevoli, ed è difficile valutare quanto questo dato potrà
essere confermato dalle indagini del futuro. E’ indubbio però che nelle
corde vocali di questo paese” – conclude Fara – “l’idea dell’iniezione
letale è massicciamente rifiutata: al di là del dato eclatante, è di
testamento biologico e di accanimento terapeutico che si può discutere,
non certo di una generale accettazione dell’eutanasia o del suicidio
assistito”.
EUTANASIA CLANDESTINA - Ma in questo 2007 a far
discutere è anche un altro dato, quello sull’eutanasia clandestina. Un
italiano su quattro (26,3%) condivide l’ipotesi secondo cui, negli
ospedali pubblici, pur essendo una pratica illegale, essa viene comunque
praticata per i casi irrisolvibili (il 26,4% la pensa all’esatto
opposto, e quasi la metà del campione non risponde). Per i più si tratta
di una semplice sensazione, ma c’è un 6% del totale degli intervistati
che afferma di essere – direttamente o indirettamente - a conoscenza di
persone che vi hanno fatto ricorso: è una percentuale piccola, ma non
trascurabile, anche se –dice l’Eurispes- “non abbiamo alcun dato di
realtà che ci possa portare ad affermare che tali situazioni si
verifichino realmente”.
I COMMENTI – Sui commenti, a caldo e non, si potrebbe
scrivere a lungo. C’è chi coglie la palla al balzo per rivendicare la
bontà di una legislazione che apra a pratiche eutanasiche, c’è chi mette
in dubbio la consistenza scientifica dei dati Eurispes, c’è chi cerca di
andare oltre e più in profondità. Rapida rassegna: Marco Cappato è il
presidente dell’Associazione Luca Coscioni: “Ora è finalmente chiaro:
gli italiani vogliono una legge sull’eutanasia: il Parlamento deve
rispondere. Serve anche sull’eutanasia clandestina già ora praticata
un’indagine conoscitiva che assicuri ai medici l'anonimato, aprendo la
possibilità di regolamentare con una legge ciò che nei fatti di già
avviene". Maria Luisa di Pietro è la presidente dell’Associazione
Scienza&Vita: “La maggioranza della gente non ha la consapevolezza che
l'eutanasia è l'uccisione di una vita umana, sia che essa venga
effettuata dando o sottraendo qualcosa”. Dunque, un no al “linguaggio
semplificato dello staccare o attaccare la spina” e si alla proposta di
“alternative che diano alle persone mezzi e strutture per poter essere
accompagnate anche nelle fasi finali della loro vita in modo confacente
al rispetto della dignità umana”. E attenzione alla distinzione fra
“terapia” e “cura”: “Se è vero che esistono terapie che possono essere
sospese se sproporzionate, è anche vero che una società solidale e
aperta alla fragilità deve continuare a prendersi cura delle persone
anche quando le terapie non risultano più efficaci”. E Ignazio Marino,
presidente della Commissione Sanità del Senato, ora impegnate nelle
audizioni sul tema di esperti e associazioni, annuncia la sua volontà di
portare in aula un unico testo di legge (risultato della fusione degli
otto finora presentati) entro la primavera: “Nessuno ha intenzione di
favorire un percorso che conduca al suicidio assistito o all’eutanasia:
il nostro obiettivo è solamente quello di giungere alla definizione di
regole che consentano a ciascuno di prendere delle decisioni sulle
terapie alle quali sottoporsi”. E conclude: “La normativa non dovrà e
non potrà entrare nello specifico, ma certamente deve muoversi verso un
approfondimento del rapporto fra medico e paziente, di modo che questo
(o una persona da lui indicata, in caso di sua impossibilità) possano
prendere al momento opportuno le decisioni migliori”. C’è accordo in
Parlamento? “Sono fiducioso: ci sarà”.
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