La nuova pagina umana e politica scritta dai
Radicali è un’ignobile sconfitta. Se la vita e i criteri di misura della
dignità entrano nel tritacarne della soggettività, il rischio è quello
di un'implosione civile.
“Ha smesso di
vivere”, “È finita una tortura indicibile”, "Ha raggiunto quello che ha
desiderato, per cui ha lottato”. Gli eufemismi del caso aprono una
prospettiva compassionevole sul caso Welby: una tecnica comunicativa ben
nota ai Radicali, già maestri in materia, da quando con orgoglio
associavano l’aborto alla salute della donna. Oggi, la posta si è alzata
ulteriormente e si dovrebbe avere il coraggio di usare i termini giusti:
forse il verbo "uccidere" è troppo forte, ma di fatto è stata provocata
la morte di un essere umano.
E non importa se il desiderio di morire era stato espresso dallo stesso
paziente (la vita fino a prova contraria è un bene indisponibile). Chi
ha staccato la spina lo ha fatto contro ogni regola e contro ogni
pronunciamento, a cominciare da quello del Consiglio Superiore di Sanità
che appena ieri, aveva escluso la respirazione artificiale dai casi di
accanimento terapeutico. E non ha senso nemmeno fermarsi alla sofferenza
indicibile di Welby, una realtà oggettiva, terribile, a cui tuttavia la
medicina e le terapie del dolore avrebbero potuto rispondere.
La partita si è giocata su un piano molto più grande, sulla linea di
confine tra vita e morte, tra assolutizzazione dell’arbitrio e capacità
di fare un passo indietro. Del resto, se la vita e i criteri di misura
della dignità entrano nel tritacarne della soggettività, il rischio è
quello dell’implosione civile. Perché una "tortura" può essere quella di
un malato di Alzheimer, prigioniero di una mente che non funziona più,
di un malato di tumore con il corpo pieno di metastasi, destinato a
consumarsi, di un malato terminale tra i tanti, incapace di affrontare
la dura sfida della sofferenza.
Se di fronte a casi simili, passasse l’idea di fare della volontà
personale un totem, fino a spingersi a scelte estreme, dove finirebbe la
capacità di una collettività di raccogliersi intorno a principi etici
condivisi? E, soprattutto, di fronte ad un malato che chiede di morire,
il compito di una società è quello di accontentarlo oppure di
accompagnarlo nel migliore dei modi alla morte naturale?
Sono queste le domande a cui rispondere. Tutto il resto passa, slogan
compresi, a partire da chi oggi con magniloquenza ricorda che il
coraggio di Welby passerà alla storia. Non siamo d’accordo. L'ultima
pagina umana e politica scritta dai Radicali è solo un’ignobile
sconfitta.
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