Aria di rivoluzione sulle splendide
coste sarde dove, in questi giorni, cresce la mobilitazione contro la “Tassa
sul Lusso”, l’imposta introdotta dal governo regionale che ricade sui grandi
Yacht e sulle ville esclusive che accendono, dagli anni ’60, le estati
isolane e le riviste popolari. Centro dei fermenti il “Billionaire”, tempio
delle lussuose estati vip e covo del “capo dei ribelli” Flavio Briatore, il
Pancho Villa della Costa Smeralda. Che si straccia le vesti, dalle umili
pagine a pagamento dei quotidiani nazionali, e insorge, minacciando di
trascinare con sé l’orda di vacanzieri da caviale e champagne sulle coste
«francesi, greche, spagnole, croate» più a buon mercato.
Difficile sapere se le proteste e gli strepiti dei vip per la tassa (al
massimo da “poche migliaia di euro”) riusciranno a coinvolgere e a catturare
le simpatie del popolo dei last minute, dei pacchetti tutto incluso e delle
lunghe attese negli aeroporti alla caccia del charter in saldo o, perché no,
di quelli che si sono costruiti in anni di sacrifici la loro umile casetta
al mare o in montagna. E’ però sicuro che questa questione ha tutte le carte
in regola per diventare l’argomento di conversazione più gettonato sotto le
file ordinate e serrate di ombrelloni affacciati su mari degli italiani,
sempre bagnati ma solo molto più opachi, con conseguente grave pericolo di
strumentalizzazione.
La “Tassa sul lusso”, come è stata definita dai giornali inglesi, è entrata
in vigore questa estate ed è stata varata dal governo regionale di centro
sinistra (fra i dubbi e le critiche di porzioni del partito nazionale oltre
che dell’opposizione) per sopperire al calo strutturale dei trasferimenti
dallo stato alle regioni.
Si parte dagli Yacht: tassazione progressiva (in base alla lunghezza) e
annuale per le imbarcazioni turistiche lunghe almeno 15 metri che oscilla
tra i 1.000 euro e i 15.000 (per barche superiori ai 60 metri escluse le
navi da crociera). Tassa extra anche per le «seconde case ad uso turistico»
comprese nella fascia dei tre chilometri dalla costa e di proprietà di
non-sardi, calcolata sulla metratura dell’immobile. 900 euro per i
fabbricati più piccoli, quelli fino ai 60 metri quadrati; per una casetta di
100 mq si pagheranno 1.500 euro all’anno mentre per un edificio di 200 mq si
arriva a pagare fino a 3.000 euro. Particolarmente significativa poi la
“tassa sulle plusvalenze” che colpirà, nella misura del 20%, la differenza
positiva tra il prezzo di acquisto (o di edificazione) dell’immobile
turistico e quello di vendita.
I ricavi di queste tasse, secondo il presidente Soru, serviranno per
sostituire le mancate entrate statali della regione (con un gettito stimato
tra i 150 e i 200 milioni di euro) ed andranno, soprattutto, a beneficio
dell’ambiente (per riparare anche ai danni alle coste e ai fondali) e delle
zone interne e sottosviluppate dell’isola che del lusso sfrenato ostentato
nelle acque sarde non vedono un solo centesimo. Investimenti nella qualità
dell’ambiente e nei servizi che, a detta del presidente della regione Soru,
andranno a beneficio del futuro turistico della Sardegna.
«La tassa sul lusso porterà sviluppo e ricchezza…..a Francia, Grecia,
Spagna, Croazia….Certo non alla Sardegna!».. questo, in sintesi, il pensiero
che Flavio Briatore affida alle pagine a pagamento dei quotidiani prima e
alle copiose interviste poi. A sostenerlo il popolo della Costa Smeralda,
icona del lusso e del disprezzo del denaro, capeggiato da Lele Mora, da
Simona Ventura e da Daniela Santanchè, la quale da mesi minaccia di
disertare la Sardegna orientandosi, per risparmiare i 3.000 euro che
andrebbero a spolpare il suo onorevole stipendio, verso la Corsica.
Nell’attesa dei veri pezzi da novanta: da mesi aleggia sui paradisiaci
approdi sardi l’ombra di Bill Gates che, si dice, avrebbe cancellato la
tappa sarda dal tour mediterraneo sul suo yacht da 120 metri indispettito
dalla cifra di 15.000 euro che dovrebbe versare all’erario.
Ma non si parla solo di stelline televisive e di pezzi da 90 del provinciale
Star Sistem italiano, mantenute dagli sponsor che vivono per lo più
deprimendo gli adolescenti, che costruiscono la loro carriera
sull’ostentazione, sul lusso e sul disprezzo del denaro tipico di chi ha
perso la cognizione del suo vero valore svincolato dal sudore e che
minacciano per pochi spiccioli il boicottaggio della Sardegna. «Come non
capire – spiega infatti Briatore - che il turismo di lusso in Costa Smeralda
è la porta d'accesso a tutta l'isola e che genera un indotto gigantesco per
le aziende, per gli imprenditori e per gli stessi cittadini sardi?».
A prescindere dal concetto, solo velatamente presuntuoso, per il quale è «il
turismo di lusso» la «porta d’accesso a tutta l’isola» (e non le sue coste,
il suo mare, i suoi paesaggi, la sua natura), il punto che ha trascinato
(fin dal varo del provvedimento) la tassa del governatore Soru sul tavolo
politico è il presunto timore che, questa imposta, farà diminuire il
“turismo di lusso” e quindi il turismo in generale, con ripercussioni
sull’economia e sull’occupazione locale.
La prima considerazione da fare è semplice: il turismo “di lusso” (yacht,
ville e suite in alberghi 5 stelle) è un’attività di stampo evidentemente
coloniale. Il turista di lusso piomba in Costa Smeralda in aereo o in Yacht,
e vi rimane rinchiuso (ricreando nei luoghi in cui attracca un’atmosfera per
nulla sarda con prodotti e personale –in gran parte- “importati da altrove”)
senza avere contatti con l’economia, con i negozi o con i mercati dei paesi
e dell’entroterra. Va lì "per fare presenza", per "esserci", magari a fatica
sa che forma o che odori abbia la Sardegna. I benefici che questo "turismo
di lusso" porta sono quindi molto limitati, riconducibili a un po’ di
edilizia, a qualche posto di lavoro (che comunque in Sardegna vale oro) e al
fatturato dei grandi hotel o dei locali (spesso di proprietà di
“non-indigeni”, come il Billionaire testimonia) quando la “vita” non si
sviluppa solo nelle ville o sulle imbarcazioni private.
Al sardo, già innervosito dalle basi militari, resta un pugno di mosche:
coste occupate, ambiente corrotto e fondali deteriorati, con il rischio di
compromettere lo stesso futuro turistico (semi-popolare) della Sardegna.
E’ in fondo la vecchia storia del colonialista, con il cappello beige e con
il bastone da passeggio, che occupa e usa a suo consumo ciò che gli pare e
gli piace in cambio del saccheggio delle risorse naturali e dell’assunzione,
con mansioni stagionali, di qualche muscoloso indigeno. Il colonialista dirà
che sta dando lavoro a qualche «povero negro», ricordando con un sorriso
bonario e missionario che «è sempre meglio di niente», e non varrà nemmeno
la pena di degnarlo di una risposta.
Come in ogni storia italiana, inevitabilmente bisogna fare cenno anche al
pietoso contorno di sondaggi e di dati più o meno inventati. Il Presidente
Soru e, in generale, i sostenitori del provvedimento parlano di «porti pieni
con code per gli approdi e barche in rada, un +10% di arrivi negli aeroporti
sardi, da gennaio ad oggi, e tassi di occupazione di posti letto mai visti
prima».
Altri, al contrario, preferiscono citare le “ricerche” di Franco Cuccureddu,
sindaco di Castelsardo e presidente della “Rete dei porti sardi”, il quale
ha stimato cali drammatici nel numero di imbarcazioni attraccate nei porti
sardi. Dati che, secondo la giunta del governatore Soru, «non hanno nessun
fondamento statistico, nessuna attendibilità, non sono stati sottoposti a
nessuna verifica "terza" e anche a prenderli per buoni riguardano 9 soli
porti sui 54 dell'Isola». E che tuttavia vengono indicati dal centro destra
come da Briatore (protagonista, come tiene a sottolineare, di una crociata
“a-partitica”) come la “pistola fumante” delle ripercussioni negative del
provvedimento sull’economia sarda.
Tuttavia non si capisce come possa un provvedimento “contro” gli Yacht
penalizzare il povero italiano medio che alloggia in 3 stelle o in Bed &
Breakfast, che macina chilometri in automobili assetate e che, lungo la
strada, si ferma a comprare giusto pane e formaggio. Ma questo è un
argomento stranamente poco approfondito, forse perché potrebbe troncare sul
nascere l’interessante “discussione ideologica”.
Questa infatti è parte di una vecchia storia: osando lasciare qualche tassa
e qualche diritto qua e là la minaccia è sempre quella del calo e
dell’emigrazione di investitori e di investimenti, il leit motiv
dell’economia globale degli ultimi decenni che ci lascia tutti un po’ più
stressati, un po’ più precari, un po’ più arrabbiati. Come italiani,
orgogliosi del nostro patrimonio paesaggistico ma soprattutto umano e
culturale, dovremmo evitare di svendere il nostro paese: d’altra parte deve
essere il suo valore intrinseco, unito alla nostra capacità di renderlo più
accogliente e qualitativamente apprezzabile, che dovrebbe contrastare la
concorrenza, così come una ragazza bella e affascinante si può (o si vuole)
permettere un pò più di "pudore" in più di una Gregoraci qualunque.
Non sappiamo se Briatore e amiche scapperanno altrove, tenteranno di
costituire un piccolo principato autonomo o accetteranno l’aiuto di
Legambiente che, provocatoriamente, è intenzionata a istituire una colletta
per aiutare i presunti VIP a sostenere le spese. Certo è, però, che questa
tassa calibrata e comunque misurata (per chi è abituato a certe spese,
ovviamente) non costringerà certo le icone del lusso a tornare a casa a
forza di remi. Avrebbero forse fatto meglio a fare silenzio, a far finta di
niente, a continuare a ballare, bere, spendere e farsi invidiare
nell’arcipelago di bordelli di lusso che fa capo al -volutamente umile fin
dal nome- Billionaire? Un Briatore che si fa i conti in tasca, in
definitiva, che Briatore è? Un Briatore decadente, un Briatore che cede la
propria dignità per le prime pagine politiche e per la compassione di
qualche “liberale”?
Evitando di commentare il patetico gioco di cifre inventate e di sondaggi
calibrati è però giusto chiudere con una certezza: chi ama la Sardegna, e
non certo perché c’è Briatore, continuerà ad andarci e ad amarla. E il
forfait delle Santanchè e dei Briatore, con i loro fronzoli, la loro
arroganza e le loro uscite pietose, forse renderà l’isola un po’ più vera e
un po’ meno coloniale: in definitiva migliore. E magari, perché no, ancora
più valida e apprezzata.
Andrea Franzoni
Fonte:
http://mnz86.splinder.com/
10.08.06
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