È forte il legame
tra la Santa Sede e le Nazioni Unite, invocate a più riprese dai
pontefici come strumento di garanzia. E se in passato non sono mancati
scontri sui temi della natalità, è indubbio che l'Onu rappresenti
un riferimento morale sulle questioni della pace e dello sviluppo.
Presente dal 2 aprile 1964 con lo statuto di “Osservatore Permanente”,
la Santa Sede può partecipare ai lavori dell’assemblea generale con un
suo nunzio (attualmente è l’arcivescovo Celestino Migliore) nella stessa
misura degli Stati membri, anche se non ha diritto di voto e di
presentare candidature. Quanto basta per far sentire la propria voce e
difendere i valori cristiani nel principale consesso delle Nazioni. Lo
statuto di Osservatore Permanente della Santa Sede è stato confermato e
meglio precisato il 1° luglio 2004: una presenza che, ha spiegato
Benedetto XVI, deve essere inquadrata “nell’unica passione per la
dignità dell’uomo, quella stessa passione che ispira costantemente
l’azione della Santa Sede presso le diverse istanze internazionali”.
Ed è sempre questa la finalità degli interventi dei pontefici
all’Assemblea generale. Benedetto XVI è il terzo papa accolto nel
Palazzo di Vetro, in occasione del 60mo anniversario della
“Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”. Prima di lui, Paolo VI
(il 4 ottobre del 1965) e Giovanni Paolo II, invitato due volte (il 2
ottobre 1979 e il 5 ottobre 1995). La visita di Benedetto XVI avviene
però in un contesto nuovo che vede rappresentate quasi tutte le Nazioni
del mondo. Se, infatti, gli Stati membri erano 117 nel 1965, 152 nel
1979 e 185 nel 1995, oggi la cifra è salita a 192: il papa potrà quindi
parlare realmente al mondo intero. Un discorso atteso che aggiungerà
nuovi spunti ai contenuti sviscerati già dai predecessori.
Il logo delle Nazioni Unite
LA VISITA DI PAOLO VI. Papa Montini arrivò alle
Nazioni Unite portando il saluto del Concilio ecumenico Vaticano II e
chiarendo subito la dimensione spirituale dell’azione della Chiesa. A
parlare, disse, è “un uomo come voi”, rivestito “d'una minuscola, quasi
simbolica sovranità temporale, quanta gli basta per essere libero di
esercitare la sua missione spirituale”. “Non abbiamo, infatti, alcuna
cosa da chiedere, - spiegò - nessuna questione da sollevare; se mai un
desiderio da esprimere e un permesso da chiedere, quello di potervi
servire in ciò che a Noi è dato di fare, con disinteresse, con umiltà e
amore”.
Paolo VI ricordò che la Chiesa, insieme a tutti i cristiani, è
portatrice “di un messaggio per tutta l'umanità”, in obbedienza
all’invito di Gesù a portare la buona novella a tutte le genti. E ora,
chiarì il pontefice, “siete voi, che rappresentate tutte le genti”. La
Chiesa parla come “esperta in umanità” e a nome “dei morti e dei vivi”:
“dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e
la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando
nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle; e di altri
vivi ancora, che avanzano nuovi e fidenti, i giovani delle presenti
generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità. E facciamo
Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli
anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al
benessere e al progresso”.
Da qui, la convinzione che i rapporti tra i popoli dovessero essere
“regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa,
non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla
paura, né dall'inganno”. In questo, l’Onu può essere “un ponte fra i
Popoli”, una rete chiamata ad “affratellare non solo alcuni, ma tutti i
Popoli”. Un impegno da vivere anche nelle relazioni internazionali,
all’insegna dell’umiltà e dell’uguaglianza. A seguire, l’appello contro
la guerra e per “l'educazione dell'umanità alla pace”.
“Se volete essere fratelli, - fu il monito del papa - lasciate cadere le
armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le
armi, quelle terribili. specialmente, che la scienza moderna vi ha date,
ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni,
alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi
tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di
utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli”. Nelle parole del papa,
la riaffermazione della sacralità della vita e del rispetto della
dignità, nella consapevolezza che “il Dio vivente è il Padre di tutti
gli uomini”.
Paolo VI alle Nazioni Unite>
LA PRIMA VISITA DI GIOVANNI PAOLO II. Papa Wojtyla
parlò per la prima volta all’Assemblea generale il 2 ottobre del 1979, a
meno di un anno dall’elezione al soglio pontificio. Anche Giovanni Paolo
II spiegò che la sovranità della Santa Sede è motivata dall’esigenza per
il papato “di esercitare con piena libertà la sua missione”. Seguì una
riflessione sul legame tra Chiesa e Nazioni Unite, considerate “un
eloquente e promettente segno dei nostri tempi”. In piena Guerra Fredda,
il papa ricordò che chi rappresenta uno Stato, in realtà rappresenta
“uomini concreti, comunità e popoli”, “con la loro soggettività e
dignità di persona umana, con una propria cultura, con esperienze e
aspirazioni, tensioni e sofferenze proprie, e con legittime
aspettative”: è la centralità dell’uomo che caratterizzerà tutto il
magistero dei successivi 27 anni. Papa Wojtyla ricordò poi la II Guerra
mondiale e i campi di sterminio, per “dimostrare da quali dolorose
esperienze e sofferenze di milioni di persone è sorta la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo, che è stata posta come ispirazione di
base, come pietra angolare dell’Organizzazione delle Nazioni Unite”. E
ancora: “Se le verità e i principi contenuti in questo documento
venissero dimenticati, trascurati, perdendo la genuina evidenza di cui
rifulgevano al momento della nascita dolorosa, allora la nobile finalità
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite potrebbe trovarsi di fronte alla
minaccia di una nuova rovina”.
Il papa lanciò poi un nuovo appello contro la corsa agli armamenti,
richiamando lo sviluppo e la pace come bene superiore agli interessi di
parte. E parlando di dignità umana, ricordò alcuni diritti: “il diritto
alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona; il diritto
all’alimentazione, all’abbigliamento, all’alloggio, alla salute, al
riposo e agli svaghi; il diritto alla libertà di espressione,
all’educazione e alla cultura; il diritto alla libertà di pensiero, di
coscienza e di religione e il diritto a manifestare la propria
religione, individualmente o in comune, tanto in privato che in
pubblico; il diritto di scegliere il proprio stato di vita, di fondare
una famiglia e di godere di tutte le condizioni necessarie alla vita
familiare; il diritto alla proprietà e al lavoro, a condizioni eque di
lavoro e ad un giusto salario; il diritto di riunione e di associazione;
il diritto alla libertà di movimento e alla migrazione interna ed
esterna; il diritto alla nazionalità e alla residenza; il diritto alla
partecipazione politica e il diritto alla libera scelta del sistema
politico del popolo al quale si appartiene”.
Aspetti che non possono prescindere dai valori spirituali, a cui spetta
il primato, dal momento “che i beni materiali hanno una capacità non
certo illimitata di soddisfare i bisogni dell’uomo”. Ma come garantire
l’affermazione dei diritti dell’uomo? Il papa mette in guardia dalle
tensioni economiche, invita a costruire una mentalità umanistica e non
materialistica, condanna la povertà e la miseria, ma anche “le diverse
forme di ingiustizia nel campo dello spirito” e quindi la violazione
della libertà religiosa. “Si può infatti ferire l’uomo nella sua
interiore relazione alla verità, - disse - nella sua coscienza, nelle
sue convinzioni più personali, nella sua concezione del mondo, nella sua
fede religiosa, così come nella sfera delle cosiddette libertà civili”.
Il discorso si chiuse con l’invito a difendere l’infanzia e la vita sin
dal concepimento.
Giovanni Paolo II alle Nazioni Unite
LA SECONDA VISITA DI GIOVANNI PAOLO II. Papa Wojtyla
intervenne all’Assemblea generale anche nel 1995, in occasione dei 50
anni della fondazione dell’Onu. Contesto internazionale mutato, ma
uguali sfide. Il papa ricorda la “straordinaria e globale accelerazione”
della “ricerca di libertà”. Il riferimento è alla caduta del muro di
Berlino, ai processi di emancipazione di uomini e Stati, al “potere dei
non potenti”: “Le rivoluzioni non violente del 1989 hanno dimostrato che
la ricerca della libertà è un'esigenza insopprimibile, che scaturisce
dal riconoscimento dell'inestimabile dignità e valore della persona
umana, e non può non accompagnarsi all'impegno in suo favore”. Il
ragionamento è comunque più ampio, perché la libertà è un valore
universale. “Sotto tale profilo, - spiegava il papa - è motivo di seria
preoccupazione il fatto che oggi alcuni neghino l'universalità dei
diritti umani, così come negano che vi sia una natura umana condivisa da
tutti. Certo, non vi è un unico modello di organizzazione politica ed
economica della libertà umana, poiché culture differenti ed esperienze
storiche diverse danno origine, in una società libera e responsabile, a
differenti forme istituzionali. Ma una cosa è affermare un legittimo
pluralismo di "forme di libertà", ed altra cosa è negare qualsiasi
universalità o intelligibilità alla natura dell'uomo o all'esperienza
umana”.
In questa prospettiva, continuò il papa, manca un o strumento sui
“diritti delle Nazioni e dei Popoli”, uno strumento per arrivare al
“pieno riconoscimento dei diritti dei popoli e delle nazioni”. Mettendo
in guardia dai particolarisimi etnico culturali e dai nazionalismi (cosa
ben diversa dal giusto patriottismo), il pontefice invocò il rispetto
delle differenze e ricordò che “qualsiasi cultura è uno sforzo di
riflessione sul mistero del mondo e in particolare dell'uomo: è un modo
di dare espressione alla dimensione trascendente della vita umana. Il
cuore di ogni cultura è costituito dal suo approccio al più grande dei
misteri: il mistero di Dio”.
Ne consegue la richiesta di tutelare la libertà religiosa, ma anche di
affrontare alcune urgenze sociali, a partire dal divario Nord-Sud. Il
papa parla di una nuova “etica della solidarietà”, riscoprendo il
concetto di “famiglia delle nazioni”, grazie al quale “i membri più
deboli sono, proprio per la loro debolezza, sono doppiamente accolti e
serviti”. “Solo a questa condizione si avrà il superamento non soltanto
delle "guerre guerreggiate", - continuava Giovanni Paolo II - ma anche
delle "guerre fredde"; non solo l'eguaglianza di diritto tra tutti i
popoli, ma anche la loro attiva partecipazione alla costruzione di un
futuro migliore; non solo il rispetto delle singole identità culturali,
ma la loro piena valorizzazione, come ricchezza comune del patrimonio
culturale dell'umanità”.
È l’idea stessa di civiltà dell’amore. Per riconquistare la speranza e
la fiducia, così come l’ottimismo. “Non dobbiamo avere timore del
futuro. Non dobbiamo avere paura dell'uomo”, disse il papa, spiegando
che “ogni singola persona è stata creata ad "immagine e somiglianza" di
Colui che è l'origine di tutto ciò che esiste. Abbiamo in noi la
capacità di sapienza e di virtù”. E per i cristiani, la speranza si
fonda su Gesù: una fede che “non ci spinge all'intolleranza, al
contrario ci obbliga a intrattenere con gli altri uomini un dialogo
rispettoso”. “L'amore per Cristo non ci sottrae all'interesse per gli
altri, ma piuttosto ci invita a preoccuparci di loro, senza escludere
nessuno, e privilegiando semmai i più deboli e sofferenti”.
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