Un cattolicesimo fiorito sull’onda
dell’emigrazione europea e disposto anche oggi a trarre nuova linfa
proprio dai flussi migratori. I cattolici sono circa 70 milioni, pari al
22,6% della popolazione, ma nel 2025 potrebbero superare il 30%. Ecco
come...
Un cattolicesimo
fiorito sull’onda dell’emigrazione europea e disposto anche oggi a
trarre nuova linfa proprio dai flussi migratori. È una Chiesa
minoritaria quella degli Stati Uniti, eppure influente in un mosaico
religioso complesso ed articolato. I cristiani rappresentano quasi l’80%
della popolazione, di diverse confessioni: la metà sono protestanti
(divisi tra “evangelical”, chiese tradizionali e chiese afro-americane),
mentre i cattolici sono circa 70 milioni, pari al 22,6%. Percentuale
secca che esprime una realtà formata da 436 vescovi, 44.728 sacerdoti,
quasi 70mila religiosi e religiose, oltre 400mila catechisti. E ancora:
18922 parrocchie, quasi 14mila strutture educative (tra scuole e
università) per quasi 4 milioni di studenti e migliaia di strutture ed
enti sociali (ospedali, ambulatori, case per anziani).
La storia della Chiesa statunitense è legata alle vicende del
colonialismo e al processo di emancipazione dall'influenza europea nel
XVIII secolo. Tuttavia, la fede si era diffusa già prima, con gli
esploratori e i colonizzatori spagnoli, arrivati nell'odierna Florida e
nel sudest. Ed è proprio in Florida, nella chiesa di St. Augustine, che
l’8 settembre del 1565, fu celebrata la prima messa in suolo americano.
Seguì nel 1634, la colonizzazione del Maryland, in cui si insediò un
cattolicesimo tollerante rispetto ai furori del puritanesimo presenti in
altre colonie. E in questo Stato, dopo la dichiarazione di indipendenza
del 1776 e la nascita degli Stati Uniti, fu istituita la prima diocesi:
quella di Baltimora (1789). In ogni caso, fino al XIX secolo, i
cattolici costituivano meno dell’1% della popolazione delle tredici
colonie.
Il panorama religioso cambiò in seguito all’immigrazione di massa,
soprattutto dall’Irlanda, dalla Germania e dall’Italia, ma anche dalla
Polonia, dalle Filippine e dall’America Latina. Fenomeni che diedero
impulso al cattolicesimo statunitense e offrirono alla Chiesa la
possibilità di istituzionalizzare la propria presenza, come avvenne per
esempio, durante il primo Sinodo nazionale, svoltosi a Baltimora nel
1850.
L’immigrazione rappresenta ancora oggi un’opportunità di crescita.
Secondo un’indagine
recente del Pew Forum on Religion & Public Life, condotta su un
campione di 35mila americani, un cattolico su tre si è allontanato dalla
Chiesa, compensato tuttavia dall’innesto degli immigrati, provenienti
soprattutto dall’America Latina. Il cattolicesimo statunitense cambia
così faccia, aprendosi in particolar modo agli ispanici. Basti pensare
che se i cattolici ultrasessantenni sono quasi tutti bianchi (83% contro
15%), quelli della fascia tra i 18 e i 40 anni, per metà sono “latinos”
(48% contro 45%). E in futuro, il fenomeno sarà ancora più marcato con
una crescita degli ispanici dai 22 milioni del 1990 ai 66 milioni del
2025. Questo significa che se nel 1990, le diocesi cattoliche di tutto
il Paese avevano indicato la presenza di 53,6 milioni di fedeli e nel
2005 di 65,3 milioni, nel 2025 potrebbe essere raggiunta la soglia di
82,7 milioni, qualora la tendenza attuale dovesse essere confermata.
Non è quindi un caso se lo stesso Benedetto XVI nel suo videomessaggio
televisivo trasmesso prima della visita, ha parlato anche in spagnolo,
così come non sorprende la nomina cardinalizia dell’arcivescovo di
Houston e Galveston, Daniel Di Nardo, pastore di una diocesi di confine
in Texas, dove in 20 anni i cattolici sono passati da 200mila a un
milione, proprio grazie all’immigrazione dal Messico. Emblematico anche
il caso della California dove il numero dei cattolici nel 2025, dovrebbe
aumentare fino a 16,7 milioni, rispetto ai 7,3 milioni del 1990, pari ad
un +129%.
In una situazione simile, ci sono comunque sfide delicate da affrontare,
a cominciare dall’impegno a tramandare la fede alle nuove generazioni
delle famiglie di immigrati. Aspetto per nulla scontato, come ha
rilevato un sondaggio del 2002 del Pew Hispanic Center. Dai dati è
emerso che i giovani sono maggiormente portati, rispetto ai loro
genitori immigrati, ad aderire a religioni non cattoliche o
all'agnosticismo. E se il 76% degli immigrati ispanici di prima
generazione identifica se stesso come cattolico, nella seconda
generazione la percentuale crolla al 59%.
Permane tuttavia, una vitalità su cui lavorare, anche perché gli innesti
migratori stanno producendo un abbassamento dell’età media dei
cattolici. La Chiesa è giovane, ama dire Benedetto XVI. E gli Stati
Uniti ne sono una prova.
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