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28/11/2006 Diyanet, la laicità che controlla la religione (Stefano Caredda, http://www.korazym.org)

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Religione e politica non sono due poteri distinti, ma due realtà che convivono l’una dentro l’altra: le differenze con la concezione cristiana e le modalità statali di controllo del culto religioso.

Da uno dei nostri inviati a Istanbul.

ISTANBUL - Uno stato laico, ma di una laicità che non conosciamo. Un rapporto fra religione e politica  tutt’altro che lineare, con lo Stato a costituire l’ultima istanza in materia religiosa. Un variegato sottobosco di confraternite e movimenti politici filo-islamici che vive e prospera nella società civile, e che rende quanto mai complicato un panorama che già di per se non risulta di facile lettura.

E’ una repubblica laica, la Turchia di oggi: la sua costituzione sancisce solennemente “la libertà di culto, di religione e di pensiero”, e proclama l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge “senza distinzione di opinione o di religione”. Parole in tutto simili a quelle di tante costituzioni occidentali, compresa la nostra, eppure parole che vanno tarate sulla storia e la cultura di questo paese, che segue approcci e mentalità in tutto differenti da quelle cui siamo abituati.  Perché ciò che la costituzione turca tratteggia non è la tradizionale separazione fra stato e chiesa derivata dalla dottrina liberale e illuministica, ma qualcosa di ben diverso: l’esclusione della religione da un ambito pubblico autonomo e il suo assoggettamento dal punto di vista organizzativo al controllo stringente dello stato. Al punto che oggi, ad amministrare nel concreto il culto islamico, è un organismo statale: il funzionario che lo dirige, scelto naturalmente sulla base di considerazioni politiche, è la massima autorità religiosa del paese.

Più agevole è la comprensione di tutto ciò se poniamo in evidenza una delle grandi differenze di fondo fra il mondo cristiano (o che di cristianesimo si è nutrito, essendone influenzato) e quello islamico. Nel primo convivono due poteri, quello religioso e quello politico, quello di Dio e quello di Cesare: poteri che possono essere uniti o divisi, associati o separati, in armonia o in conflitto, ma che sempre sono stati concettualmente distinti e autonomi nei loro rispettivi campi. Nel corso dei secoli a lungo questi poteri sono stati usati congiuntamente in forma sinergica per gestire il potere, ma l’uso che ne è stato fatto non ha pregiudicato la consapevolezza della diversità della loro essenza: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Questa separazione fra Stato e Chiesa nell’ambito pubblico è sconosciuta all’Islam, e tanto a quello che consideriamo moderato, tanto a quello che definiamo fondamentalista. Di fatto, nell’Islam non esiste distinzione fra ambito religioso e ambito politico: le due realtà convivono l’una dentro l’altra.

La specificità turca sta, in tutto questo, nel processo di laicizzazione che costituisce la base della sua nascita come moderno stato nazionale: un percorso guidato dal “padre della patria”, Kemal Ataturk, che non significò la distinzione o la separazione degli ambiti di competenza dei due poteri (religioso e politico), ma semplicemente l’esclusione della religione dall’ambito pubblico e l’assoggettamento del culto e della sua organizzazione alle direttive dello stato.

L’articolo 136 della costituzione turca disegna il ruolo e i compiti della Diyanet, la Presidenza per gli affari religiosi, un vero e proprio ministero che gestisce la presenza della religione in tutta la sfera pubblica. Creata nel marzo 1924 nell’ambito delle riforme laiche volute da Ataturk, essa amministra materialmente il culto islamico: gestisce 75mila moschee, stipendia gli oltre 100mila funzionari statali che vi lavorano, sovrintende a tutto ciò che concerne la trasmissione dei valori religiosi, prendendo tutti i provvedimenti necessari ad impedire che venga violato il principio della laicità dello stato (è la Diyanet, ad esempio, che ha imposto alle donne che studiano all’università o che lavorano negli uffici pubblici il divieto di indossare il velo). Alla Diyanet spetta anche il compito di garantire il rispetto – almeno formale – dei fedeli delle altre religioni, avendo però sempre per primo obiettivo quello di “mantenere la stabilità” e provvedere “all’unità e alla solidarietà nazionale”. Contestuale a tutto ciò è l’azione volta all’affermazione dell’identità turca, che rimane centrale in tutti gli apparati dello stato: il che, per inciso, si trasforma facilmente in un rigido nazionalismo, sempre pronto a considerare le altre confessioni religiose come elementi estranei alla cultura e alla tradizione del paese (l’Unione Europea, a proposito dei programmi scolastici delle scuole turche, ha parlato di “indottrinamento nazionalistico di massa”). Un problema che recentemente è anche balzato agli onori delle cronache internazionali, con numerosi casi giudiziari di cittadini turchi (due di essi convertiti al cristianesimo) che sulla base dell’art. 301 del codice penale sono incorsi in un processo per aver “denigrato la nazionalità e l’identità turca”.

Per quanto controllato e gestito dallo stato, il fenomeno religioso in Turchia è tutt’altro che marginale, e resta intimamente legato agli aspetti della politica. E’ un Islam che vive e prospera nella società civile e che, lungi dal rappresentare un blocco unico, si articola in una serie di confraternite e di movimenti politici filoislamici che consegnano un panorama quanto mai vario e differenziato. Ecco così che, se la maggioranza della popolazione turca si definisce di fede musulmana sunnita (con rito giuridico hanafita), comunque molto numerosi (almeno il 20%) sono gli aleviti – di tendenza sciita, con un Islam moderato se non eretico – e in costante ascesa sono i movimenti che propugnano apertamente una visione politica della realtà, da quelli che spingono verso il dialogo con la modernità e l’intesa con il mondo occidentale a quelli che invece predicano la guerra santa e chiedono a gran voce l’applicazione della shari’a come unica legge dello stato.

Un quadro quanto mai complesso che fa della Turchia di oggi, governata da un partito filo-islamico e al contempo filo-occidentale, un laboratorio politico-religioso di grande valore per l’intero mondo musulmano.

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