Religione e politica non sono due poteri distinti,
ma due realtà che convivono l’una dentro l’altra: le differenze con la
concezione cristiana e le modalità statali di controllo del culto
religioso.
Da uno dei nostri inviati a Istanbul.
ISTANBUL - Uno stato laico, ma di una laicità che non conosciamo. Un
rapporto fra religione e politica tutt’altro che lineare, con lo Stato
a costituire l’ultima istanza in materia religiosa. Un variegato
sottobosco di confraternite e movimenti politici filo-islamici che vive
e prospera nella società civile, e che rende quanto mai complicato un
panorama che già di per se non risulta di facile lettura.
E’ una repubblica laica, la Turchia di oggi: la sua costituzione
sancisce solennemente “la libertà di culto, di religione e di pensiero”,
e proclama l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge “senza
distinzione di opinione o di religione”. Parole in tutto simili a quelle
di tante costituzioni occidentali, compresa la nostra, eppure parole che
vanno tarate sulla storia e la cultura di questo paese, che segue
approcci e mentalità in tutto differenti da quelle cui siamo abituati.
Perché ciò che la costituzione turca tratteggia non è la tradizionale
separazione fra stato e chiesa derivata dalla dottrina liberale e
illuministica, ma qualcosa di ben diverso: l’esclusione della religione
da un ambito pubblico autonomo e il suo assoggettamento dal punto di
vista organizzativo al controllo stringente dello stato. Al punto che
oggi, ad amministrare nel concreto il culto islamico, è un organismo
statale: il funzionario che lo dirige, scelto naturalmente sulla base di
considerazioni politiche, è la massima autorità religiosa del paese.
Più agevole è la comprensione di tutto ciò se poniamo in evidenza una
delle grandi differenze di fondo fra il mondo cristiano (o che di
cristianesimo si è nutrito, essendone influenzato) e quello islamico.
Nel primo convivono due poteri, quello religioso e quello politico,
quello di Dio e quello di Cesare: poteri che possono essere uniti o
divisi, associati o separati, in armonia o in conflitto, ma che sempre
sono stati concettualmente distinti e autonomi nei loro rispettivi
campi. Nel corso dei secoli a lungo questi poteri sono stati usati
congiuntamente in forma sinergica per gestire il potere, ma l’uso che ne
è stato fatto non ha pregiudicato la consapevolezza della diversità
della loro essenza: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che
è di Dio”. Questa separazione fra Stato e Chiesa nell’ambito pubblico è
sconosciuta all’Islam, e tanto a quello che consideriamo moderato, tanto
a quello che definiamo fondamentalista. Di fatto, nell’Islam non esiste
distinzione fra ambito religioso e ambito politico: le due realtà
convivono l’una dentro l’altra.
La specificità turca sta, in tutto questo, nel processo di laicizzazione
che costituisce la base della sua nascita come moderno stato nazionale:
un percorso guidato dal “padre della patria”, Kemal Ataturk, che non
significò la distinzione o la separazione degli ambiti di competenza dei
due poteri (religioso e politico), ma semplicemente l’esclusione della
religione dall’ambito pubblico e l’assoggettamento del culto e della sua
organizzazione alle direttive dello stato.
L’articolo 136 della costituzione turca disegna il ruolo e i compiti
della Diyanet, la Presidenza per gli affari religiosi, un vero e proprio
ministero che gestisce la presenza della religione in tutta la sfera
pubblica. Creata nel marzo 1924 nell’ambito delle riforme laiche volute
da Ataturk, essa amministra materialmente il culto islamico: gestisce
75mila moschee, stipendia gli oltre 100mila funzionari statali che vi
lavorano, sovrintende a tutto ciò che concerne la trasmissione dei
valori religiosi, prendendo tutti i provvedimenti necessari ad impedire
che venga violato il principio della laicità dello stato (è la Diyanet,
ad esempio, che ha imposto alle donne che studiano all’università o che
lavorano negli uffici pubblici il divieto di indossare il velo). Alla
Diyanet spetta anche il compito di garantire il rispetto – almeno
formale – dei fedeli delle altre religioni, avendo però sempre per primo
obiettivo quello di “mantenere la stabilità” e provvedere “all’unità e
alla solidarietà nazionale”. Contestuale a tutto ciò è l’azione volta
all’affermazione dell’identità turca, che rimane centrale in tutti gli
apparati dello stato: il che, per inciso, si trasforma facilmente in un
rigido nazionalismo, sempre pronto a considerare le altre confessioni
religiose come elementi estranei alla cultura e alla tradizione del
paese (l’Unione Europea, a proposito dei programmi scolastici delle
scuole turche, ha parlato di “indottrinamento nazionalistico di massa”).
Un problema che recentemente è anche balzato agli onori delle cronache
internazionali, con numerosi casi giudiziari di cittadini turchi (due di
essi convertiti al cristianesimo) che sulla base dell’art. 301 del
codice penale sono incorsi in un processo per aver “denigrato la
nazionalità e l’identità turca”.
Per quanto controllato e gestito dallo stato, il fenomeno religioso in
Turchia è tutt’altro che marginale, e resta intimamente legato agli
aspetti della politica. E’ un Islam che vive e prospera nella società
civile e che, lungi dal rappresentare un blocco unico, si articola in
una serie di confraternite e di movimenti politici filoislamici che
consegnano un panorama quanto mai vario e differenziato. Ecco così che,
se la maggioranza della popolazione turca si definisce di fede musulmana
sunnita (con rito giuridico hanafita), comunque molto numerosi (almeno
il 20%) sono gli aleviti – di tendenza sciita, con un Islam moderato se
non eretico – e in costante ascesa sono i movimenti che propugnano
apertamente una visione politica della realtà, da quelli che spingono
verso il dialogo con la modernità e l’intesa con il mondo occidentale a
quelli che invece predicano la guerra santa e chiedono a gran voce
l’applicazione della shari’a come unica legge dello stato.
Un quadro quanto mai complesso che fa della Turchia di oggi, governata
da un partito filo-islamico e al contempo filo-occidentale, un
laboratorio politico-religioso di grande valore per l’intero mondo
musulmano.
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