Gli interrogativi delle ultime settimane sono
stati sciolti: il viaggio apostolico del papa in Turchia è stato
confermato. L’annuncio, in un comunicato diffuso stamani dalla Sala
Stampa della Santa Sede. Il programma e il contesto della visita.
Gli interrogativi delle ultime settimane sono stati sciolti: il
viaggio apostolico del papa in Turchia è stato confermato. L’annuncio è
arrivato ieri mattina dalla Sala Stampa della Santa Sede con un
comunicato stringato che non entra ancora nel merito del programma, ma
mette la parola fine al dibattito sull’opportunità della visita, specie
dopo le polemiche seguite al discorso di Benedetto XVI all’università di
Regensburg. Con una particolarità: la precisazione assai eloquente che
il viaggio risponde "all’invito del Presidente della Repubblica Turca,
S.E. il Sig. Ahmet Necdet Sezer", quando in realtà il viaggio è stato
organizzato soprattutto per rispondere all'invito del patriarca
ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I e dell'episcopato
locale. Determinante nel via libera definitivo, il sopralluogo
dell’organizzatore dei viaggi apostolici, Alberto Gasbarri, in Turchia
nei giorni scorsi per definire gli ultimi dettagli tecnici e logistici e
raccogliere anche impressioni circa la sicurezza del pontefice. La
situazione sarebbe tranquilla e offrirebbe le dovute garanzie, sebbene
non manchino alcuni settori dei media e della società che continuano a
non vedere di buon occhio la presenza di Benedetto XVI.
IL PROGRAMMA. Con la dichiarazione di oggi, vengono
confermate le date (28 novembre – 1° dicembre), ma rimane il massimo
riserbo sul programma, che, tuttavia,
è stato anticipato
in gran parte dai vescovi locali e da fonti di stampa. Benedetto XVI
arriverà ad Ankara il 28 novembre, con un protocollo di Stato che non
prevede alcuna cerimonia di benvenuto all'aeroporto (ci saranno solo un
ministro, il governatore della regione, il sindaco e il comandante
militare), ma al palazzo presidenziale e senza discorsi. Lungo il
tragitto, la prima tapa significativa del viaggio con l’omaggio del papa
al Mausoleo di Ataturk, il padre della Turchia laica, costruita sulle
ceneri dell’impero Ottomano, a cui seguiranno gli incontri con il
presidente della Repubblica, Ahmet Necdet Sezer, il primo ministro Recep
Tayyip Erdogan, il presidente per gli affari religiosi, Ali Bardokoglu,
e il Corpo Diplomatico. Secondo fonti turche, all'incontro con
Bardokoglu parteciperanno anche i rappresentanti delle comunità
islamiche del Paese (tra cui il Gran Muftì) e il ministro per gli Affari
religiosi.
Il 29 novembre, trasferimento ad Efeso (Smirne), per la visita al
Santuario di Meryem Ana Evi, la Casa della Madre Maria, la celebrazione
della messa e l’incontro con i frati cappuccini. In serata, l’arrivo a
Istanbul, dove il papa incontrerà in forma privata il Patriarca
ecumenico, Bartolomeo I, dopo una preghiera nella chiesa patriarcale di
San Giorgio. Si tratta di un primo appuntamento, alla vigilia
dell’incontro del 30 novembre, festa di Sant’Andrea, quando Benedetto
XVI assisterà alla Divina Liturgia celebrata dal patriarca ad Al Fanar,
sede del patriarcato, e firmerà insieme a Bartolomeo una dichiarazione
congiunta. Nel pomeriggio, sono previsti altri incontri spirituali con i
leader religiosi del Paese: il patriarca armeno apostolico Mesrop II, il
metropolita siro-ortodosso e il Gran Rabbino di Istanbul. Il
patriarca armeno apostolico e il metropolita siro-ortodosso parteciperanno
poi, insieme al patriarca ecumenico Bartolomeo I e ai rappresentanti
delle chiese protestanti, alla Santa Messa di Benedetto XVI del 1°
dicembre, nella cattedrale cattolica di Istanbul, un appuntamento
aggiunto in un secondo momento, per venire incontro al desiderio della
comunità cattolica locale.
I NODI. Alcuni dettagli del programma sono stati al
centro di un delicato lavoro diplomatico per le tante implicazioni
politiche, normali in un Paese dagli equilibri sociali molto fragili. Si
è per esempio discusso sui luoghi degli incontri, specie quelli
politici, che si svolgeranno in aree diverse, ognuno curato nei minimi
dettagli. E se al momento non sono previsti discorsi con il premier e il
presidente della Repubblica, è probabile che gli incontri con il Corpo
Diplomatico e il presidente per gli affari religiosi diano modo alle
parti di approfondire le posizioni reciproche, magari anche con discorsi
ufficiali. Un'occasione molto importante che potrebbe chiudere una volta
per tutte le polemiche con il mondo islamico.
Il simbolismo dei luoghi è entrato in gioco anche per altre tappe del
viaggio, come la visita di Benedetto XVI al patriarca armeno Mesrop II,
nella sede del patriarcato. Un incontro significativo, in un momento in
cui si torna a parlare del genocidio degli Armeni, mai ammesso da Ankara
e vero e proprio nodo diplomatico delle relazioni politiche della
Turchia con gli altri Paesi, soprattutto in Europa.
Stesse valutazioni per la tappa del 1° dicembre al museo di Santa Sofia,
la più grande basilica cristiana di Oriente (fino al 1453), usata come
moschea fino al 1935, quando il fondatore della repubblica turca,
Ataturk, diede l’ordine di sconsacrarla. Il monumento fu visitato già da
Paolo VI nel suo viaggio del 1967, ma la presenza di Benedetto XVI si
inserisce in un contesto particolare, con gruppi nazionalisti turchi che
rivendicano da tempo la funzione di luogo di culto islamico.
IL CONTESTO DELLA VISITA. Le polemiche su Santa Sofia
dicono molto su un clima sociale che fa i conti con istanze spesso agli
antipodi, in cui la difesa strenua della laicità si scontra con le
spinte estremistiche di alcuni settori; la prospettiva europea con un
assetto di potere che contrappone a fasi alterne mondo politico ed
esercito; la bandiera dell’identità turca con un sistema statale che di
fatto ostacola la libertà religiosa, non riconoscendo sul piano
giuridico le minoranze e riconducendo al controllo dello Stato il culto
della maggioranza musulmana. E nonostante a parole tutti aspettino
l’arrivo del papa, in realtà la visita non è gradita, come del resto
dimostra la tempistica con cui è stata definita: con un invito
posticipato di un anno e confezionato in fretta e furia dopo l’uccisione
di don Andrea Santoro. Benedetto XVI dà fastidio per la visibilità che
riuscirà a dare al patriarcato ecumenico ortodosso (e alle sue
rivendicazioni), un organismo non riconosciuto dallo Stato che, al
contrario, continua a considerare il patriarca Bartolomeo I un semplice
cittadino. Le parole probabili del papa in difesa della libertà
religiosa e delle minoranze non saranno ben viste in un Paese che, per
esempio, continua a dividersi sull’articolo 301 del codice penale, la
norma che commina anni di carcere a chi offende l’identità turca ed è
funzionale allo scontro politico, alimentato soprattutto dai gruppi
nazionalisti.
La Turchia difende in modo ossessivo la sua laicità, ma molto spesso i
piani e i livelli vengono confusi: il tema dell’identità mescola così
rivendicazioni ed estremismi che portano al linciaggio di chi affronta
il tema del genocidio armeno (si pensi a Elif Shafak, la scrittrice
processata e poi assolta nelle scorse settimane) o alle polemiche e
azioni contro il cristianesimo, visto paradossalmente come una presenza
straniera, dedita a conversioni forzate o a pagamento. Le doppie facce
di uno stato profondo che porta migliaia di persone al mausoleo di
Ataturk ad Ankara per ribadire che la Turchia è laica e a maggio,
uccide, in pieno dibattito sulla legge antivelo nelle scuole, Mustafa
Yucel Ozbilgin, giudice della corte di cassazione, colpito da un
avvocato nazionalista, che per compiere il suo delitto ha usato lo
stesso tipo di pistola dell’omicida ragazzino di don Andrea Santoro. A
ciò si aggiunga la dialettica costante tra l’esercito (dai tempi di
Ataturk custode della laicità, anche attraverso colpi di Stato) e il
governo del partito islamico del premier Erdogan, diviso tra rispetto
delle leggi e derive identitarie. Un vero e proprio gioco delle parti
che usa il fondamentalismo per legittimare il ruolo dello Stato laico
(si veda anche lo spauracchio del libro
"Attentato al papa",
voluto più per la sua copertina intimidatoria che per i contenuti) e che
in realtà ha a cuore soltanto il mantenimento dello status quo. Il
tutto, in uno scacchiere in cui operano al tempo stesso oligarchie
economiche colluse con la mafia, gruppi fondamentalisti legati
indirettamente al governo e ben infiltrati nella polizia, partiti
nazionalisti appoggiati dall’esercito e collegati ai servizi segreti.
Un equilibrio fragile che vede come il fumo negli occhi la prospettiva
di ingresso nell’Unione Europea, che costringerebbe il sistema a
cambiare in profondità. L’elite militare, in sostanza, dovrebbe
rinunciare alle sue prerogative costituzionali di veto e di indirizzo,
oltre che al suo potere economico: l’esercito è oggi uno Stato nello
Stato, formato da 800mila persone, capace di assorbire più di un terzo
della ricchezza nazionale e di controllare i settori vitali del Paese
attraverso il fondo pensionistico Oyak, che gestisce e condiziona
insieme alle oligarchie interi settori dell’economia: le banche e decine
di compagnie finanziarie, industrie e società di servizi. L’ingresso
nell'Unione cancellerebbe una rete di interessi che permette ad
ognuno di ritagliarsi un ruolo. Ed è chiaro che la difesa delle
minoranze e dei diritti venga vista come una sorta di cavallo di Troia
per poi affrontare questioni molto più pesanti.
Un viaggio che all’inizio doveva essere esclusivamente una tappa del
dialogo ecumenico, si carica così di tanti significati con cui Benedetto
XVI dovrà confrontarsi. Ancora una volta, religione, economia e
geopolitica si intrecciano.
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