Il dibattito sulle concessioni di infrastrutture
"redditizie" è ruotato in questo periodo soprattutto intorno alla congruità
del prezzo pagato dalla provincia di Milano a Marcellino Gavio per
acquistare la sua quota dell’autostrada Serravalle e garantirsi così
la maggioranza azionaria, indipendentemente dall’altro socio pubblico, il
comune di Milano, nonché sul senso che un soggetto pubblico "ripubblicizzi"
un bene privato. Ma una discussione del tutto simile è in corso per la
cessione di una quota di Sea, la concessionaria degli aeroporti milanesi,
anche se in questo caso si tratta di una privatizzazione, per di più
parziale. L’impostazione del dibattito tuttavia non sembra cogliere i
nodi reali della questione. Vediamo perché.
Privatizzazioni e ri-pubblicizzazioni delle rendite di monopolio
Innanzitutto, privatizzare monopoli naturali come sono le
infrastrutture, quando ancora sono in mano pubblica molti servizi che non
hanno queste caratteristiche, non sembra una strategia difendibile, sia per
la scarsa contendibilità "intrinseca" delle infrastrutture - con la
conseguente necessità di una regolazione complessa - sia per la loro
rilevanza per l’assetto del territorio. Nell’ambito di una strategia volta
ad accrescere l’efficienza dei servizi, la privatizzazione di infrastrutture
"strategiche" dovrebbe essere probabilmente l’ultimo passo, non il primo.
Inoltre, privatizzazioni condotte con lo scopo esclusivo di massimizzare gli
introiti del venditore sono puntualmente accompagnate da un assetto di
regolazione debole e perciò molto aperto al rischio di "cattura" del
regolatore da parte del regolato. Si può anzi dire che la "cattura" è in
qualche modo scritta nel codice genetico di questo genere di
privatizzazioni.
La questione della Serravalle, dunque, va inserita in un contesto più ampio.
Una volta create forti rendite grazie a privatizzazioni concepite con
finalità puramente finanziarie (come quella della Società Autostrade, nel
1999), si è determinata la convenienza per soggetti pubblici locali -
apparentemente non così privi di risorse come lamentano, o comunque con
facilità di accesso al finanziamento – a tentare la via del capitalismo. Non
sembra possibile, tuttavia, vedere una strategia riconducibile all’interesse
pubblico (comunque inteso o definito) in queste operazioni, ma solo
allargamenti di sfere di potere di soggetti pubblici, con obiettivi non
chiaramente esplicitati, ma apparentemente soltanto di carattere
finanziario, e con manovre certo non molto trasparenti, che potrebbero
prestarsi al consolidamento di "rapporti impropri" tra politica ed economia.
Tasse improprie
Bisogna anche chiedersi perché alcune infrastrutture, e le autostrade in
particolare, siano così redditizie, e quindi appetibili, tanto che le banche
sono pronte a finanziare operazioni con "leverage" altissimi. La loro
redditività è anche tale da scatenare "guerre commerciali" tra soggetti
pubblici e privati (e conflitti tra amministrazioni locali, come nel caso
Serravalle).
L’andamento in Borsa del titolo della maggiore concessionaria privata del
settore, "Autostrade per l’Italia spa", non lascia dubbi in
proposito. (1) Del resto, si tratta della terza società italiana
(dopo Snam e Terna, altre due reti monopolistiche) per utile ante imposte,
oneri finanziari e poste straordinarie e in Europa occupa il decimo posto
tra le 454 società più redditizie (nel 2004 era al quindicesimo). Tutto ciò,
ovviamente, non è connesso all’eccellenza tecnologica, commerciale, o
gestionale, per quanto la guida privata abbia potuto accrescere l’efficienza
della società, che comunque faceva profitti anche prima di essere
privatizzata. Si tratta, in misura molto rilevante, di rendite di
monopolio, generate dalle tariffe consentite da un regolatore debole, e
quindi facilmente "catturabile". Manca infatti una Autorità indipendente di
regolazione nei trasporti, che pure è prevista nell’ancora formalmente
vigente Piano generale dei trasporti. Siamo sostanzialmente di fronte a una
"tassa impropria": come definire altrimenti una rendita di monopolio
determinata da un decisore pubblico?
Non è un tassa di per sé illegittima. Anzi, se fosse esplicitamente tarata
per il controllo della congestione, sarebbe efficiente. Ma è tale
probabilmente solo in presenza di quattro condizioni che sembrano
irrinunciabili: che la dimensione della tassa sia esplicitata (e valutata da
un soggetto terzo, o partecipato dagli utenti, per minimizzare il conflitto
di interessi); che ne siano esplicitati gli obiettivi, cioè le destinazioni
della tassa e non è detto che ampliare autostrade sia sempre un obiettivo
sociale prioritario; che sia chiesto e ottenuto il consenso sulla tassa
stessa (per esempio, secondo il modello delle "tasse di scopo" statunitensi
per le infrastrutture); e infine che sia predisposto un ragionevole
monitoraggio "terzo" sulla reale spesa poi effettuata con i proventi della
tassa stessa.
Il prezzo è giusto?
Entriamo ora brevemente in merito alla cifra pagata per le azioni
Serravalle: 235 milioni di euro. L’analisi condotta da Alessandro Penati
(nessuna parentela con il presidente della provincia di Milano) sembra non
lasciare dubbi sul fatto che la provincia di Milano abbia pagato un
prezzo straordinariamente elevato, anche tenendo conto del "premio di
maggioranza" che l’acquisto implicava. (2) Tuttavia, occorre
ricordare che la redditività delle "imprese" autostradali è legata anche
alla loro attività di costruttori. Infatti, le opere realizzate dai
concessionari autostradali vengono compensate con le tariffe (un "cash flow"
rapido e certo), a fronte di lavori di fatto tutti "interni" al controllo
del concessionario stesso, sulla base di prezzi (e tempi) concordati con un
regolatore molto debole e spesso distratto. Inoltre, tali opere
(ampliamenti, raccordi e così via) costituiscono fattore cruciale per il
prolungamento delle concessioni stesse, con un’interpretazione un po’
disinvolta della normativa che ne prevederebbe la messa in gara alla
scadenza. (3) Comunque, nel caso della Serravalle, è evidente che un
privato, grazie all’acquisto della provincia di Milano, ha lucrato enormi
plusvalenze da un monopolio mal regolato. In altre parole, gli utenti
sono stati "spennati", o che ci siano forti aspettative che siano spennati
in futuro.
(1) Da quando il Cipe ha varato la delibera riguardante le tariffe
autostradali per il prossimo decennio (gennaio 2004) a oggi, il titolo di
Autostrade si è apprezzato di circa il 50 per cento, toccando punte del 65
per cento. Nello stesso periodo, il titolo della società Autostrada
Torino-Milano è arrivato ad apprezzarsi del 100 per cento, per poi
ripiegare. A tutt’oggi, comunque il suo valore è di oltre il 50 per cento
superiore a quello di gennaio 2004.
(2) Vedi "La Repubblica" del 4 novembre 2005.
(3) Si veda il recente caso della concessione autostradale
Verona-Brennero, prolungata per otto anni senza gara in base a un piano di
investimenti.
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