I danni provocati dall’onda anomala nell’Asia del Sud hanno
sollecitato un ammontare eccezionale di aiuti ai paesi colpiti,
coinvolgendo fonti ufficiali, organizzazioni non governative e donatori
individuali. A metà febbraio, gli stanziamenti complessivi raggiungevano
i 5,4 miliardi di dollari, ossia l’8 per cento circa dei flussi
netti totali di aiuto dei donatori ufficiali. (1)
Per evitare di sentirci tutti troppo buoni, vale la pena ricordare che,
nel 2003, questi flussi sono stati solamente lo 0,25 per cento del Pil dei
paesi donatori.
Una riflessione sugli aiuti allo sviluppo
Gli aiuti di emergenza, come nel caso dello tsunami, sono
essenzialmente utilizzati per spese correnti per le vittime (sanità,
cibo) e per spese di investimento volte alla sostituzione di capitale
distrutto nel disastro: infrastrutture, abitazioni, beni produttivi
(barche da pesca, per esempio) e simili. Gli aiuti allo sviluppo,
invece, sono mirati a finanziare nuovi investimenti: coprire
"l’investment gap" è la loro funzione chiave, secondo molti
esperti. (2) Hanno quindi uno scopo molto più ambizioso, e
presuppongono una strategia di sviluppo che manca agli interventi di
emergenza. A parte questa differenza, le risorse raccolte per i paesi
colpiti dallo tsunami sono comunque una forma di aiuto. Può essere perciò
interessante guardare alle questioni legate alla loro utilità e al loro
impatto sull’economia, avviando così una riflessione più ampia sugli
aiuti allo sviluppo in generale.
La capacità di assorbimento
Il concetto centrale è quello di capacità di assorbimento,
ossia la capacità di un’economia di utilizzare in modo produttivo i
finanziamenti, a livello micro e macroeconomico.
In primo luogo, in termini di ordine di grandezza, i sei miliardi di
dollari di aiuti raccolti corrispondono a circa il 2,4 per cento del Pil
complessivo di Indonesia, Sri Lanka, e Maldive, i paesi che probabilmente
ne beneficeranno di più. Tuttavia, questa percentuale aggregata può
trarre in inganno, poiché la dimensione dei flussi varia molto in
relazione alle singole economie. Per esempio, i costi della ricostruzione
sono valutati al 7 per cento del Pil in Sri Lanka, ma a un esorbitante 60
per cento nelle Maldive. (3) Si parla qui dello stesso ordine di
grandezza, se non addirittura di più, degli aiuti diretti ai paesi
africani più poveri. I vincoli microeconomici all’assorbimento
sono generalmente considerati i più seri per i paesi che ricevono gli
aiuti, in particolare per quelli a basso reddito. I critici degli aiuti
allo sviluppo citano invariabilmente i problemi di corruzione e di
governance generati dai flussi di aiuti. Questi problemi hanno
probabilmente raggiunto il loro apice ai tempi della guerra fredda, quando
gli aiuti finanziari erano allocati in gran parte sulla base dell’allineamento
geopolitico, e spesso rafforzavano la posizione di governi corrotti ma
fedeli, come per esempio quello di Mobutu nello Zaire (ora Repubblica
democratica del Congo). Oggi la consapevolezza di questi rischi è molto
aumentata e i donatori cercano, non sempre con successo, di dirigere gli
aiuti verso paesi con livelli minimi di governance. Nel caso di emergenze
come lo tsunami, poi, tali problemi sono probabilmente limitati dalla
presenza diffusa di donatori sul terreno e dall’intervento circoscritto
nel tempo, che può ostacolare il formarsi di rendite posizione legate
allo sfruttamento degli aiuti.
Rischi noti e meno noti
Effetti collaterali meno noti rischiano, però, di essere ancora più
dannosi.
In primo luogo, la limitata capacità amministrativa dei paesi
riceventi può non essere in grado di fare fronte a grandi flussi di aiuto
provenienti da vari donatori, bilaterali e multilaterali, che quasi sempre
hanno procedure e meccanismi di condizionamento differenti tra loro. Le
scarse risorse di cui dispongono i governi in molti paesi in via di
sviluppo rischiano di essere dirottate sulla gestione degli aiuti
piuttosto che sul governo del paese o sulle questioni che gli aiuti
dovrebbero contribuire a risolvere. Il problema si è riproposto anche nel
caso dello tsunami, dato il grande numero di donatori e agenzie che hanno
partecipato allo sforzo della ricostruzione. In generale, si può mettere
un argine a problemi di questo tipo, soprattutto ottimizzando l’uso
delle risorse limitate dei paesi riceventi attraverso l’armonizzazione
e la coordinazione delle procedure di aiuto tra donatori e con i paesi
stessi.
Un altro rischio è che le priorità e i modelli di sviluppo
preferiti dai donatori prevarichino quelli dei governi dei paesi
riceventi. Almeno in parte, è un rischio presente anche nel caso degli
aiuti alla ricostruzione nel Sud dell’Asia, ma è probabilmente limitato
dal fatto che gli obbiettivi sono circoscritti, mirati alla ricostruzione.
E in generale, nell’ultimo decennio i donatori sono stati molto più
attenti alla cosiddetta "proprietà" locale delle
strategie per lo sviluppo, ovvero all’identificazione delle
amministrazioni dei paesi riceventi con tali strategie. (4)
I pericoli della "Dutch disease"
Per i paesi destinatari di aiuti, i vincoli macroeconomici
all’assorbimento sono probabilmente meno forti dei vincoli
microeconomici. Gli economisti si sono concentrati in particolare sul
rischio di effetti legati alla cosiddetta "Dutch disease": i
grandi flussi di aiuto possono far aumentare prezzi e salari nel
settore dei beni commerciabili e da ultimo rafforzare il tasso di cambio
reale e indebolire la competitività esterna dell’economia.(5)
È un rischio simile a quello corso dai paesi ricchi di risorse naturali e
potrebbe verificarsi anche in quelle aree colpite dallo tsunami che
ricevono flussi di aiuto molto grandi in relazione alle loro economie.
Tuttavia, anche laddove esista un rischio concreto di effetti legati alla
Dutch disease, nel lungo periodo questi effetti possono essere più che
compensati da aumenti di produttività dovuti ad appropriati investimenti.
I grandi flussi di aiuto influenzano anche la politica economica,
soprattutto perché sono molto volatili rispetto alle entrate fiscali. La
preoccupazione principale degli economisti è che la gestione della
politica monetaria e del tasso di cambio sia in grado di
fronteggiare adeguatamente gli aumenti di liquidità e le pressioni
inflazionistiche derivanti dai flussi di aiuto, per esempio con
appropriati interventi di sterilizzazione.
Infine, i paesi colpiti dallo tsunami ricevono aiuti principalmente sotto
forma di donazioni, che hanno un effetto neutrale sul debito estero. La
gestione della politica fiscale può invece diventare complicata
quando gli aiuti prendono la forma di prestiti, anche se a condizioni
estremamente favorevoli, che spingono il debito estero a livelli
insostenibili e indeboliscono gli incentivi a sviluppare una base adeguata
di entrate e a rafforzare il sistema di tassazione, aumentando così il
rischio di dipendenza dagli aiuti.
Queste riflessioni mostrano che la questione degli aiuti è più complessa
di quanto non sembri a prima vista, sia nel caso dello tsunami, sia nel
caso più generale del sostegno allo sviluppo. Tuttavia, se anche gli
effetti positivi degli aiuti possono essere attenuati dalla capacità di
assorbimento dei paesi riceventi, rimangono un elemento essenziale per lo
sviluppo e la ricostruzione di paesi colpiti da disastri. E ci sono altre
ragioni per essere ottimisti: forse la più importante conclusione dei
dibattiti sugli effetti degli aiuti è che la loro produttività non è
data, vale a dire che la capacità di assorbimento è endogena e
non esogena. Indirizzare e scadenzare appropriatamente gli interventi di
aiuto, in modo da rimuovere i colli di bottiglia e costruire su riforme e
investimenti attuati in precedenza, può aumentare la capacità di
assorbimento e rendere possibile un uso produttivo di grandi, e crescenti,
flussi di aiuto. (6)
(1) Si veda la lista aggiornata degli impegni su Relief Web a
http://www.reliefweb.int/rw/dbc.nsf/doc105?OpenForm&rc=3&emid=TS-2004-000147-LKA
. La fonte delle statistiche qui citate sugli aiuti è Oecd –
Development Co-operation Directorate (Dac).
(2) Si veda, per esempio, il rapporto delle Nazioni Unite Investing
in development, coordinato da Jeffrey Sachs, che propone una strategia
ad ampio raggio per aiutare i paesi in via di sviluppo a raggiungere gli
Obbiettivi di sviluppo del millennio entro il 2015
(http://unmp.forumone.com/).
(3) Si veda il sito della Banca mondiale (www.worldbank.org)
per alcune valutazioni preliminari dei danni in Indonesia, Sri Lanka, e
Maldive.
(4) Un esempio di questa maggiore attenzione è rappresentato
dall’approccio della Poverty Reduction Strategy della Banca
mondiale e del Fondo monetario internazionale.
(5) La Dutch disease trae il suo nome dagli effetti
sull’economia olandese della scoperta del petrolio nei mari del Nord.
(6) Si vedano Aid effectiveness and financing modalities,
preparato dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale per la
riunione del Comitato di sviluppo dell’autunno 2004; e il Global
Monitoring Report 2004 pubblicato dalla Banca Mondiale.
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