Può sembrare paradossale, ma la replica di
Andrea Gavosto al mio articolo su lavoce.info contiene più
punti comuni che divergenze, eccetto per la valutazione
dell'entità dei benefici derivanti dal processo di liberalizzazione
nelle telecomunicazioni. Cerchiamo quindi – come dice Gavosto – di
sgombrare il campo da equivoci. Per prima cosa mi preme sottolineare
che l'idea dell'articolo è quello di valutare l'impatto del
processo di liberalizzazione e non di entrare nel merito circa
la competitività del settore in aggregato o valutare le strategie
tariffarie - più che legittime - dei singoli operatori. Detto
questo, a mia volta, vorrei puntualizzare alcune questioni.
L'aumento dei canoni
Nessuno ha detto che l'aumento dei canoni è stata una strategia
volontariamente portata avanti da Telecom Italia. Come
specificato nella nota 2 dell'articolo (che forse, come tutte le
note, vengono spesso tralasciate), tale aumento si è reso necessario
a causa delle obbligazioni sociali che sono a carico di Telecom
Italia.
Esse prevedono in un contesto di liberalizzazione dei servizi, un
ribilanciamento tariffario per rendere il processo competitivo
efficiente. Tali aumenti sono stati così richiesti dalla Commissione
europea e attuati dall'Agcom, e su questo concordo con le
osservazioni di Gavosto, come peraltro ho riportato anche nel mio
pezzo. Ad ogni modo, l'aumento consistente c'è stato ed è
stato più marcato per l'utenza residenziale (+40 per cento circa dal
1998 a fine 2003) piuttosto che per quella affari (+13 per cento
circa dal 2000 al 2003). Si consideri inoltre che il peso del canone
nella spesa è molto diverso tra i due tipi di utenti: mentre per le
famiglie il canone pesa in media circa il 40 per cento della spesa
complessiva, per l'utenza affari esso incide solo per circa il 18
per cento (dati Commissione europea, 2003 e 2004). Se si cerca di
valutare l'impatto della liberalizzazione, questo fattore è da
considerare perché è una conseguenza del processo stesso, sebbene
esso non sia direttamente voluto da Telecom Italia, cosa che - è
utile ribadire - nessuno ha mai messo in dubbio.
Le offerte speciali nel fisso
Gavosto osserva che i prezzi riportati non includono le offerte
speciali, come Teleconomy di Telecom Italia, e ciò riduce
significativamente il valore dell'analisi. Anche questo era indicato
nelle conclusioni del precedente articolo, ma purtroppo i dati
disponibili sono limitati. Alcune osservazioni sono comunque
importanti. È vero che Teleconomy abbassa di molto il prezzo
unitario delle chiamate nelle diverse direttrici di traffico, ma è
anche vero che una tale offerta richiede il pagamento
supplementare di una quota fissa in più rispetto al
canone mensile. Inoltre, Gavosto dice che sono circa tre milioni gli
utenti che usufruiscono di tale servizio, su un totale di circa
ventisette milioni. Pertanto, queste riduzioni tariffarie riguardano
circa l'11 per cento della popolazione. Per poter analizzare
in dettaglio quanto le offerte speciali impattino è necessario
valutare non solo i prezzi unitari, ma anche la variazione del loro
costo fisso e la numerosità delle persone che usufruisce di tali
offerte (1). E spesso ciò è difficile, se non
impossibile, data la limitatezza dei dati pubblicamente disponibili.
Il prezzo dei servizi all'ingrosso
Senza dubbio ha ragione Gavosto, i prezzi per l'affitto
dell'ultimo miglio (il local loop unbundling) si sono ridotti
in questo ultimo periodo e il loro valore è inferiore alla media; di
ciò ne prendiamo atto. Ma è anche vero che il numero delle linee
in unbundling passate da Telecom Italia ad altri operatori è
limitato e, diciamo la verità, inferiore alle aspettative.
Non interessa in questo momento analizzare le motivazioni di ciò. Ad
ogni modo, l'impatto delle tariffe all'ingrosso, nelle loro diverse
articolazione, dovrebbe già riflettersi sull'andamento delle tariffe
finali e quindi abbiamo preferito concentrare l'attenzione su questi
ultimi dati per poter analizzare l'impatto del processo di
liberalizzazione.
L'andamento dei ricavi unitari nel mobile
Nuovamente su questo punto concordo con Gavosto, ma le sue
osservazioni erano sostanzialmente già presenti nel mio articolo.
Gavosto dice che i prezzi delle chiamate si sono ridotti nel tempo;
personalmente non lo dubito, sebbene sia utile capire a quali
prezzi si riferisce, considerando che ogni operatore mobile ha
un numero rilevante di piani tariffari, prezzi differenziati per
chiamate on net e off net, scatti alle risposte, articolazione
tariffarie per fasce orarie e quant'altro. Ma ripeto, accolgo e
accetto l'osservazione. Ma se è pur vero che la domanda si è
fortemente spostata sul segmento dati (sms) è bene ricordare anche –
cosa che Gavosto non ha fatto – che il prezzo unitario degli sms è
aumentato in questi ultimi anni, passando – almeno per i prepagati
che rappresentano la maggioranza dei contratti in essere - dalle
vecchie 200 lire a messaggio Iva inclusa (ossia circa 10 centesimi
di euro) agli attuali 15 centesimi Iva inclusa. Questo prezzo
unitario non considera le numerosissime offerte speciali che, se
tenute invece in opportuno conto, fanno ridurre considerevolmente il
prezzo medio del servizio sms in questi ultimi anni. Ma, di nuovo,
per valutare in modo corretto il beneficio derivante da tali
offerte, sarebbe utile capire quanti sono gli utenti che
effettivamente le utilizzano, cosa che ad oggi non è pubblicamente
nota (pur presumibilmente elevata). Inoltre, per usufruire di tali
sconti, spesso si richiede il pagamento di una quota fissa
supplementare. Non stiamo dicendo che una tale strategia tariffaria
sia illecita, al contrario: poiché il servizio mobile è percepito
dal consumatore come un pacchetto di servizi, è più che lecito che
gli operatori aumentino il prezzo di singoli servizi per ridurne
altri facenti parte del pacchetto venduto e che offrano svariate
opzioni tariffarie con scontistiche sofisticate. Così come non
vogliamo dire che il segmento della
telefonia mobile non sia competitivo, anzi chi scrive è
esattamente dell'opinione opposta. Detto ciò, i dati mostrano che
negli ultimi anni (per strategie tariffarie, per aumento della
domanda, per variazioni dell'offerta) il ricavo unitario aggregato è
più o meno rimasto costante.
Dati 2004 e Eurostat
Sono ben felice di apprendere che per il 2004 la situazione è
assai migliorata e spero quindi che i prossimi dati che ci verranno
forniti dall'Eurostat lo confermino. Ma, e qui mi permetto di
criticare Gavosto, non si tratta di utilizzare dati vecchi: i dati
dell'Eurostat da cui è partita l'idea di fare l'articolo riguardano
il periodo gennaio 1996 fino a gennaio 2004. Pertanto, per poter
spiegare un tale andamento, non si può che considerare i dati
disponibili fino a tale momento e così si è optato per i dati della
Commissione europea pubblicati nel dicembre 2003.
Se nel 2004 la situazione è migliorata, non posso che esserne
contento, fermo restando però quanto mostrato dall'Eurostat per
tutti gli anni precedenti. Dai
dati 2004 si evince che sono rimasti costanti rispetto al 2003 i
canoni residenziali e le chiamate locali dell'operatore dominate a
tre e dieci minuti (che risultano ancora sotto la media Ue), mentre
il canone business è aumentato (+12 per cento circa) e le tariffe
nazionali a tre e dieci minuti si sono ridotte dell'entità
evidenziata da Gavosto, rimanendo però sopra la media Ue; le
tariffe internazionali sono rimaste anch'esse costanti e risultano
essere sotto la media Ue con qualche piccola eccezione (chiamate
verso il Giappone). Per quanto poi riguarda il dato Eurostat,
Gavosto suggerisce di considerare i dati riguardanti anche le
apparecchiature telefoniche, dato che quindi esprime un indicatore
di spesa totale del servizio telefonico aggregato. Ciò potrebbe
essere opportuno laddove gli apparecchi siano in qualche modo
sussidiati dalle tariffe, come accade nel settore mobile in Gran
Bretagna, ma ciò però non avviene in Italia, se si esclude il
recentissimo caso dell'operatore mobile "3". Non mi è chiaro quindi
il motivo per il quale si dovrebbe inserire i prezzi nelle
apparecchiature laddove si voglia valutare l'impatto della
liberalizzazione sui soli servizi di
telefonia. Ma su questo punto lascio la parola anche a
Donato Berardi.
In conclusione, ribadisco che in molti punti mi sembra di poter dire
che io e Gavosto in realtà concordiamo. Valutare l'impatto del
processo di liberalizzazione è difficile, è vero, ma per poterlo
fare in modo opportuno servono dati ad oggi non sempre disponibili o
comunque non così articolati. È indubbio che la liberalizzazione
abbia portato dei benefici ai consumatori, superiori forse a
quanto ottenuto in qualunque altro servizio di pubblica utilità, ma
il calcolo di tali benefici non deve limitarsi a considerare le
variazioni percentuali dei prezzi unitari, ma più correttamente le
variazioni delle quote fisse pagate dai consumatori e una
valutazione delle offerte speciali opportunamente pesate in
relazione al numero di utenti che ne hanno effettivamente
usufruito. Chi scrive intende portare avanti questo studio nei
prossimi mesi, spero insieme a esponenti dell'Autorità, e spero
anche con la collaborazione di Telecom Italia, in modo che si possa
interpretare meglio l'impatto di tale processo, considerando
opportunamente anche i nuovi servizi che si stanno sviluppando, come
l'accesso a Internet a larga banda o i servizi Umts. E se una tale
analisi porterà a mostrare benefici maggiori di quelli da me
descritti, sarò ben felice di potermi ricredere.
(1) Secondo fonti Telecom Italia, il totale di
chi beneficia di offerte speciali è circa pari al 40% dei clienti
Telecom.
Indice
Il telefono, la tua bolletta di Carlo Cambini
Il beneficio corre sul filo. La risposta di Andrea Gavosto
Ma la bolletta non è "fredda". La controreplica di Carlo Cambini
L'opinione di Donato Berardi
Il commento di Carlo Scarpa
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