BANDA LARGA: UN’ITALIA A TRE FACCE
Se ne riparla nel 2015. Netflix, la più grande piattaforma
di video on demand al mondo, ha deciso di rimandare al prossimo anno l’entrata
sul mercato italiano, mentre da settembre avvierà le sue attività in Francia,
Germania, Austria e Svizzera, dopo essere già sbarcata nei paesi del Nord Europa
e in Inghilterra. Sulle ragioni, visioni diverse: da chi lamenta una domanda
ancora insufficiente a chi segnala invece la copertura troppo limitata del
territorio con reti a banda larga sufficientemente veloci.
La notizia offre lo spunto per una riflessione sullo sviluppo della
connessione a banda larga in Italia. L’obiettivo di dotare un paese con
un’infrastruttura di rete veloce non è solo quello di dare a cittadini, imprese
e pubbliche amministrazioni italiani una rete telefonica che garantisca migliori
servizi o un miglior accesso ad Internet, ma anche quello di sfruttare l’effetto
“moltiplicatore” che questi investimenti possono generare, in termini
di contributo dell’efficienza delle imprese, all’aumento di produttività e
occupazione, alla diffusione delle innovazioni, così come, più in generale, alla
crescita della società nel suo insieme.
(1)Un recente studio mostra che il livello del Pil
pro capite aumenta di circa 3-4 punti percentuali una volta che gli
investimenti nelle nuove reti a banda larga sono stati realizzati. (2)
Allo stesso tempo, un incremento della penetrazione della larga banda di 10
punti percentuali aumenta il tasso di crescita annuo del Pil pro capite di circa
1-1.5 punti percentuali. Non certo un incremento irrilevante, soprattutto di
questi tempi. E inoltre, solo per la Germania è stato stimato che l’ampliamento
della banda larga aprirebbe le porte a 541mila lavoratori per anno, sia diretti
sia indiretti, per una crescita addizionale cumulata del Pil tedesco stimata in
33,4 miliardi in dieci anni.
(3)Per sostenere la realizzazione di questa nuova
infrastruttura sono – a nostro avviso – necessarie nuove proposte di policy che
accelerino lo sviluppo delle reti di nuova generazione nel nostro paese.
(4)Prima di tutto, i fatti. Il recente Rapporto preparato da
Francesco Caio sullo sviluppo delle reti di nuova generazione ha delineato una
Italia a tre facce. Le aree dove si esprime una elevata domanda
di servizi a banda larga, corrispondenti a metà della popolazione, sono
interessate negli ultimi due anni da processi di investimento importanti
da parte di più di un operatore (Telecom Italia, Fastweb e, nei piani
annunciati, Vodafone Italia), finalizzati a portare reti in fibra ottica fino
agli armadi di strada (la soluzione che viene definita FttCab), per poi
utilizzare la rete in rame esistente per colmare l’ultimo tratto, fino alle case
degli utenti. Una soluzione che garantisce una velocità di almeno 30 Mbps, e, se
estesa a tutto il territorio nazionale, fino a 100 Mbps al 47 per cento della
popolazione.
Vi è poi un secondo gruppo di territori dove la domanda di servizi broadband
non giustifica lo sviluppo di più reti, ma in cui Telecom Italia
ha annunciato piani per la soluzione FttCab: un ulteriore 20 per cento della
popolazione verrebbe coperto in questo modo nei prossimi tre anni. E poi,
il vuoto: il restante 30 per cento della popolazione vive in
aree dove, per densità della domanda e costi di sviluppo della rete, nessun
operatore privato intende muoversi. Questa Italia a più facce corrisponde
probabilmente all’esperienza di molti nostri lettori, che passando dalle buone
connessioni di cui dispongono nella propria città sono impegnati in questi
giorni estivi a vagare con il proprio tablet o pc tra un dosso e una collina
cercando un punto dove almeno il segnale mobile consenta di collegarsi a
Internet.
UNA POLITICA PER LO SVILUPPO DELLA RETE
Il quadro a più facce relativo all’offerta di connessioni veloci riflette uno
sviluppo debole della domanda di servizi a banda larga, oggi ancora in gran
parte forniti attraverso connessioni Adsl sulla vecchia rete in rame,
confermandoci come un paese illetterato dal punto di vista digitale, complice la
struttura demografica, la offerta limitata di contenuti in italiano sul web, la
dispersione geografica.
Riteniamo che sia importante adottare una politica coerente, che deve impegnare
il Governo, le autorità di regolamentazione e gli operatori privati, per un più
rapido sviluppo della rete a banda larga in Italia, innescando quel processo
virtuoso tra disponibilità di connessione veloce e aumento della domanda di
servizi broadband che può fornire una spinta importante alla crescita di lungo
periodo.
Prima di tutto, l’obiettivo: tra quelli delineati nella Agenda digitale
europea riteniamo che sia prioritaria la copertura dell’intera
popolazione con connessione ad almeno 30 Mbps, con una pluralità di
soluzioni tecnologiche (FttCab, Ftth, mobile di quarta generazione Lte, wireless
fisso e satellite). Nelle aree dove la domanda è più elevata (Zona A) è
desiderabile che si sviluppino più reti in competizione tra
loro, come già oggi sta avvenendo. Nelle aree a domanda più limitata (Zona B),
una sola rete verrà sviluppata da operatori privati, mentre la
parte rimanente (Zona C) richiede la mobilitazione di risorse pubbliche
per la copertura del territorio.
Lo sviluppo delle reti di nuova generazione, quindi, deve coinvolgere e
incentivare in primo luogo gli operatori privati, laddove
esistano opportunità di investimento, riservando ai poteri pubblici un ruolo di
regia dell’intero processo e di intervento diretto nelle aree in digital divide
(Zona C).
Nelle aree dove gli operatori privati investono in nuove reti, il ruolo dei
poteri pubblici, e in particolare di Agcom, il regolatore
settoriale, deve articolarsi attraverso l’adozione di schemi di regolazione che
favoriscano gli investimenti. Schemi di regolazione che definiscono le
condizioni tecniche e economiche con cui le reti che vengono man mano sviluppate
devono essere affittate, dietro una tariffa fissata dal regolatore,
a quegli operatori di telecomunicazione che non intendono dotarsi di
infrastrutture proprie.
La regolazione, sulla quale non entriamo qui in dettaglio per motivi di
spazio, deve quindi differenziarsi a seconda delle zone, garantendo minori
ritorni dall’affitto delle linee in quelle ricche dove più operatori competono
con proprie reti, e ritorni maggiori dove un solo operatore sviluppa la propria
infrastruttura. Agcom dovrà avere un ruolo cruciale nell’analizzare la
credibilità dei piani di investimento degli operatori, per assegnare le aree al
regime regolatorio appropriato, e per verificare alle scadenze prefissate che
gli investimenti siano stati realizzati, pena il passaggio a un regime di
accesso alle reti meno favorevole e l’imposizione di eventuali penalità.
Inoltre, il regolatore dovrà valutare le opportunità di condivisione
di alcuni costi di investimento da parte di operatori concorrenti, che
in questo modo, realizzando risparmi, siano maggiormente incentivati a
sviluppare le nuove infrastrutture soprattutto nelle aree a minore copertura
(Zona B).
Infine, nelle aree dove nessun operatore privato trova conveniente portare le
proprie reti, l’operatore pubblico dovrà organizzare gare per
la copertura assegnandole a chi richieda il minimo sussidio, considerando una
pluralità di soluzioni tecnologiche (reti fisse, reti mobili Lte, wireless fisso
e satellite) che si adattino alle caratteristiche del territorio.
Questa proposta, che parte da un obiettivo realistico ma sfidante per il nostro
paese (30 Mbps per tutti), garantisce la necessaria flessibilità tra opzioni
tecnologiche diverse, coinvolge gli operatori privati laddove questi trovino
conveniente attivarsi, mantiene un compito di regia al regolatore attraverso
l’uso di meccanismi tariffari differenziati per zone e conferisce allo Stato un
ruolo di ultima istanza nel finanziare gli investimenti dove il ritorno privato
è insufficiente, possa rappresentare una soluzione efficace per il
nostro paese. Una soluzione meno onerosa per lo Stato e più flessibile
rispetto all’opzione, discussa nei mesi passati, di uno scorporo e sostanziale
nazionalizzazione della rete di telecomunicazione di Telecom Italia.
(1) Oecd (2008), “Broadband and the Economy”, Paris. Itu
(2012), “Impact of broadband on the economy”, aprile, scaricabile al sito:
http://www.itu.int/ITU-D/treg/broadband/ITU-BB-Reports_Impact-of-Broadband-on-the-Economy.pdf.
(2) Czernic N., O. Falk, T. Kretschmer e L. Woessmann (2011),
“Broadband Infastructure and Economic Growth“, The Economic Journal, 121,
505-532. Lo studio considera 25 paesi dell’Oecd osservati nel periodo 1996-2007.
(3) Katz, Raul, Stephan Vaterlaus, Patrick Zenhäusern, and
Stephan Suter. 2010. “The Impact of Broadband on Jobs and the German Economy.”
Intereconomics: Review of European Economic Policy 45 (1): 26–34.
(4) Si veda il report “L’Italia a banda larga” preparato per il
Forum “Idee per la crescita”: http://www.corriere.it/cultura/i-corsivi/litalia-a-banda-larga/po