Unità d’Italia. I festeggiamenti e le ipocrisie. Cerchiamo di guardare in
faccia la realtà, nella parabola da Garibaldi a Berlusconi. E basterebbe già
questo. Oltre all’albertosordismo nazionale.
Io non ho festeggiato questa Italia incompiuta e fallita. E non perché non
sappia che il cosiddetto Risorgimento (ma c'era mai stato un 'sorgimento'?)
contenga pagine gloriose, come la Repubblica Romana o le Cinque Giornate di
Milano, o uomini che pur con tutti i loro pesanti difetti furono grandi
uomini, a cominciare dai “magnifici tre”: Mazzini, Garibaldi e Cavour. E
nemmeno perché, al contrario, misconosca gli errori, gli orrori, i misfatti,
i massacri, le miserie e la disgustosa retorica con cui si vorrebbe far
passare un processo storico che, come ogni vicenda umana, non fu un'epopea
scritta nel destino ma un gioco di forze e interessi, idealizzato per
giustificare un'unificazione forzosa e forzata.
Notabili e massoni
Dovrei essere orgoglioso di essere italiano per cosa?
Contro popolo e chiesa
Perché non dovrei riconoscere che l'Italia prima del 1861 era un'idea
letteraria, non più di una lingua sfarzosa ma pensata a tavolino nella
sublime testa dei Dante, dei Petrarca, dei Foscolo e dei Manzoni e solo
nella loro, e che perciò i paragoni con la Francia, uno Stato-Nazione fin
dal Trecento, con la Germania che pur divisa era stata l'epicentro del Sacro
Romano Impero, o con lo stesso impero inglese ferreamente unito da secoli e
dominatore di mezzo mondo, non stanno in piedi da nessun punto di vista?
Perché non dovrei essere onesto e riconoscere che la tanto agognata “libertà
dei popoli” come la sognavano gli ingenui e implacabili repubblicani Mazzini
e Garibaldi, fu tradita da uno Stato autoritario che giunto alla meta tenne
Mazzini in quarantena e mandò in pensione Garibaldi, che emanò la
liberticida legge Pica contro le ribellioni anti-unitarie, che armò macellai
come Cialdini e Bava Beccaris?
Per quale motivo non dovrei sottolineare che fu opera di minoranze certo
eroiche ma che non fu affatto il frutto di una rivoluzione popolare poiché
privo di seguito nel popolo vero, che viveva in campagna (4) e che
dall'unità ebbe in cambio, dopo secoli di disarmo imbelle, la leva
obbligatoria e una torchiatura fiscale mai vista prima (l'odiosa tassa sul
macinato)? Perché non dovrei risollevare dall'oblio tutta quella parte del
movimento unitario, certo meno circonfusa di gloria ma più corrispondente
alla realtà sociale di quel tempo, che per l'Italia futura aveva un più
realista progetto federale basato sulla libera adesione dei popoli italici (Cattaneo,
Ferrari)? Perché dovrei sorvolare sulla vergogna dei plebisciti
annessionisti, zeppi di brogli e intimidazioni, e sulla rimozione di quella
prima fase dei moti che videro in prima linea cattolici come Gioberti,
Rosmini e Pellico e lo stesso Pio IX, moderati sostenitori di una soluzione
confederata, che dopo il 1848-49 si ritrassero in disparte per
l'accelerazione dovuta alla predominanza di forze unitariste, repubblicane e
massoniche, numericamente esigue ma più agguerrite? E perché dovrei tacere
sulla “questione romana” (non possumus, non expedit), che per mezzo secolo
rese estraneo al nuovo Stato l'intera massa di credenti e praticanti, cioè
la stragrande maggioranza degli italiani, e che ora viene bellamente negato
dai cattolici odierni, in testa l'attuale pontefice tedesco, che vorrebbero
farci credere che la Chiesa sarebbe stata artefice del genio nazionale ab
origine (quale origine)?
Morte della patria
Ma tale significato, il più vero perché primigenio, evoca uno spazio (la
terra), definito e delimitato da una memoria, una tradizione, una
discendenza di sangue (i padri). Italianamente, si collega d un carattere
fondamentale delle genti della penisola: la famiglia come legame ancestrale
e prioritario nell'esistenza individuale, ancorata ad un luogo con una sua
storia. Ora, c'è forse qualcuno che possa affermare con sicurezza e
sincerità che nell'Italia odierna il micro-cosmo familiare rispetti una
qualche fedeltà di retaggio ad una heimat tradizionale, ad una particolare e
unica collocazione territoriale? È ancora presente una “casa del padre”, sia
come punto fisico che soprattutto come abitazione dell'anima? Resiste forse,
sul piano collettivo, una concezione di eterno ritorno alle origini, una
venerazione o quanto meno una conoscenza dell'albero genealogico, un
richiamo interiore verso i propri avi e il mondo in cui vissero?
L’uomo nuovo
Non avrei allora l'obbligo di ammettere che il legame famiglia-luogo-storia
è stato spazzato via dall'incessante opera di corrosione della modernità su
ogni idealità spirituale e disinteressata? Che la dittatura del mercato che
ne è l'essenza, abolendo distanze, confini e appartenenze, ha creato l'uomo
nuovo: cioè l'individuo-atomo, una monocellula che vaga e che vede i legami
ereditari come una zavorra di cui liberarsi in nome del proprio “io”
narciso, volubile, instabile e, appunto, sradicato? Il padre, di sangue e
terra, è sepolto, e con lui la patria. Al suo posto viviamo immersi nel
grasso di una Grande Madre consumista che in cambio di un po' di benessere
(sempre meno, sempre più difficile e precario) ci frusta da mane a sera
costringendoci a lavorare non per il bene nostro, ma per quello del sistema,
del PIL, della crescita, della moneta e, va da sé, per ingrassare i suoi
padroni e profittatori asserragliati nelle banche, dei grandi gruppi
industriali e nei palazzi della politica serva e complice. Perché dovrei
allora illudermi che il compleanno di una nazione fatta male, fatta in
fretta, fatta a forza, non sia una roboante parata di cartapesta?
Perché non dovrei accorgermi che i giovani che si sentono italiani, nella
loro vita quotidiana e nella loro visione del mondo si comportano e pensano
da bravi occidentali americanoidi, seguendo uno stile di vita perfettamente
global, senza conoscere la storia del proprio paese, della propria città,
della propria famiglia? Perché appiccicarsi addosso l'identità posticcia di
italiano quando ha vinto il mondialismo, che livella differenze e culture
perché per sua logica interna deve esistere un solo tipo umano, il
cittadino-consumatore che sceglie le idee e il voto come al supermercato
sceglie i prodotti, tutti uguali in tutto il pianeta?
Il 'particulare'
Successivamente trascinati dal vortice delle idee illuministe e dei concreti
appetiti economici dell'industria del Nord e della finanza anglo-francese,
abbiamo abbracciato la modernizzazione imitando modelli esteri che non erano
fatti per noi: lo sviluppo industriale e finanziario a tappe forzate, il
centralismo più bieco, il colonialismo straccione, il borghesismo privo di
una seria borghesia, il marxismo con un popolo di contadini fedeli ai preti,
una monarchia senza nerbo e prestigio, la realpolitik coi piedi d'argilla,
il patriottismo senza patria.
Politicamente, il solo parto originale dell'Italia unita fu il fascismo, che
se vogliamo dirla tutta fu il consequenziale compimento di una
“nazionalizzazione delle masse” che Mussolini portò all'estremo.
Un'esperienza velleitaria e controproducente che fallì con l'8 settembre, la
vera pietra tombale di un amor patrio degenerato in un imperialismo al di
sopra dei nostri mezzi e fuori dal nostro spirito.
Uno sfascio che fece dell'Italia sconfitta e uscita a pezzi dalla guerra
civile una portaerei Nato, uno stato a sovranità limitata. Così, l'uomo di
Guicciardini diventò la macchietta da commedia all'italiana, il simpatico
cialtrone alla Alberto Sordi senza serietà né onore. Non per niente oggi nel
mondo l'Italia, purtroppo, è identificata con l'arcitaliano Berlusconi. E
non per caso l'ultimo baluardo di italianità integrale che tutto sommato
resiste alla globalizzazione è il più trito luogo comune dell'Italietta al
sugo: la cucina. La pasta e la pizza nella ricetta tradizionale, pomodoro
basilico e mozzarella o spaghetti, sono di un bel tricolore a cui non saprei
rinunciare per tutti i macburger dell'universo. D'altronde, il vero italiano
si vede a tavola: Franza o Spagna, basta che se magna.
Alessio Mannino
www.ilribelle.com
10.04.2011
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Note:
1) È la cosiddetta “guerra al brigantaggio”, che non fu una lotta al crimine
ma una vera e propria repressione su vasta scala contro oppositori politici
organizzati in bande paramilitari e intere province del Meridione insorte
contro gli occupanti “piemontesi”.
«Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati
borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso.
Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo, con
fucilazioni di massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e
colonne di decine di migliaia di profughi in marcia», P. Aprile, Terroni,
Piemme, 2010.
2) Massimo D'Azeglio all'indomani delle prime elezioni parlamentari del
1861: «Questa Camera rappresenta il Paese reale come io rappresento il Gran
Sultano turco!», G. Lentini, La bugia risorgimentale. Il Risorgimento
italiano dalla parte degli sconfitti, Il Cerchio, 1999. «La Massoneria in
Italia ha rappresentato l'ideologia e l'organizzazione reale della classe
borghese capitalistica». Atti parlamentari, Discussioni, vol. 298, pag.
3658, cit. in G. Oneto, La strana unità, Il Cerchio, 2010.
3) «Fu Mazzini il primo ad adottare per la sua Giovane Italia il rosso,
bianco e verde che erano i colori di derivazione francese della Repubblica
Cisalpina, poi Italiana, poi Regno d'Italia, le denominazioni del dominio
napoleonico. E' solo a partire dal 1848 che diventa il simbolo unitario del
movimento nazionale, e questo perché, essendo quasi tutti i “padri della
Patria” dei massoni, vi riconoscono il proprio credo. (…) Gli stessi
“fratelli d'Italia” dell'Inno di Mameli sono da intendersi come fratelli di
loggia», G. Oneto, op. cit, 2010.
4) Come ricorda Paolo Mieli, lo ammise già allora uno spirito onesto come il
giovane Ippolito Nievo: “«Sì! Questa inerte opposizione o questa muta
indifferenza agli sforzi della nostra intelligenza per conquistare i diritti
di libertà cova ed opera sordamente nelle nostre plebi. Se ne togliete le
poche popolazioni industriali (che sono eccezioni in Italia), la grande
maggioranza della nazione illetterata, il volgo campagnolo segue svogliato
il progresso delle menti elevate. È più di peso che aiuto al rimorchio; e,
lasciato appena, ricade contento nella propria quiete». Per cambiare la
situazione, a detta di Nievo, sarebbe stato necessario conquistare i preti
«funzionari indispensabili nella società attuale, soli rappresentanti della
intelligenza» del volgo”, P. Mieli, Le ferite del Risorgimento, Corriere
della Sera, 8 marzo 2011.
5) «Per esprimersi in termini schematici, ma pensati appunto per far
emergere contrasti e contraddizioni: come possono ad esempio un
italosettentrionale laico, maturo, di sesso maschile, mediamente abbiente,
d'istruzione corrispondente alla scuola media secondaria, e una
italomeridionale o isolana giovane, magari disoccupata e ragazza-madre,
d'istruzione elementare o medio-primaria, nullatenente, cattolica oppure
ebrea (e oggi magari musulmana), condividere la stessa “identita nazionale”?
Di quali “Fratelli d'Italia” andiamo mai blaterando?», F. Cardini,
L'identità italiana, http://www.francocardini.net, 17 marzo 2011.
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