Si è svolto ieri a Roma un importante convegno dal titolo La Shoah
e la sua negazione. Il futuro della memoria in Italia cui hanno
partecipato, oltre ai più importanti esponenti della comunità ebraica
italiana, il ministro Angelino Alfano, Pier Ferdinando Casini, Benedetto Della
Vedova e altri politici.
Durante il Convegno è rispuntata fuori una ricorrente proposta del presidente
della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici: rendere il
negazionismo un reato. Cioè chi, a parole o negli scritti, nega o
ridimensiona l’Olocausto va in galera. Argomenta Pacifici: “Distinguiamo
fra diritto di opinione e negazionismo. Affermare in una casa
privata che l’Olocausto non sia mai avvenuto può essere un gesto stupido,
immensamente riprovevole e simile a chi sostiene che la Terra è piatta. Ma
credo non si possa più concedere il diritto di alzarsi in piedi in un’aula
parlamentare, in un’università, in un luogo pubblico in cui si formano le
coscienze e dire che la Shoah è stata un’invenzione. La legge riguarderebbe
questo ambito”.
Ringraziamo Pacifici perché ci concede almeno di dire in casa nostra quel che
pensiamo. Ancora un passo e si arriverebbe al reato di “puro pensiero”
ipotizzato da Orwell nel suo 1984: certe cose non solo non si possono dire, ma
nemmeno pensare.
Non capisco come Pacifici e coloro che seguono la sua linea non si rendano
conto che la legge che propongono è una norma liberticida,
totalitaria, in tutto e per tutto degna proprio di quello Stato fascista che
emanò le ripugnanti leggi razziali. In una democrazia, se
vuole esser tale, tutte le opinioni, anche quelle che paiono più aberranti al
senso comune, devono avere diritto di cittadinanza. È il prezzo che la
democrazia paga a se stessa. Ciò che la distingue da uno Stato totalitario o
quantomeno autoritario.
Intaccare, anche con le migliori intenzioni, un principio come quello della
libertà di espressione, oltre che ingiusto, è estremamente
pericoloso. Perché si sa da dove si inizia, ma non si sa mai dove si può
andare a finire. Si comincia con cose apparentemente indiscutibili, perché
condivise ampiamente dalla communis opinio, e si finisce col mandare
gli ebrei nelle camere a gas. Inoltre – ma questo è solo un argomento a
latere – una legge come quella proposta da Riccardo Pacifici sarebbe
controproducente, perché finirebbe per fare dei
“negazionisti” dei martiri e dare loro una rilevanza e un’importanza che
attualmente non hanno.
Di questi pericoli sembra rendersi conto Tobia Zevi, il
nipote di Tullia, che propone una soluzione diversa. “Forse sarebbe più
utile immaginare sanzioni amministrative che vietino di
assumere posizioni negazioniste nell’esercizio dell’insegnamento nelle scuole
o nelle università”. Insomma, agli storici che hanno idee negazioniste
dovrebbe essere impedito di insegnare e quelli che già lo fanno, come il
professor Claudio Moffa dell’Università di Teramo, dovrebbero essere esulati
come lo furono i tredici docenti che si rifiutarono di giurare fedeltà al
fascismo.
Al giovane Tobia Zevi sfugge, credo in totale buona fede, che i “provvedimenti
amministrativi” da lui proposti ledono un altro diritto fondamentale: quello
alla ricerca. Premesso che, per quel che mi riguarda, non ha
nessuna importanza se gli ebrei sterminati furono quattro milioni invece che
sei, uno studioso ha diritto di fare anche, e forse soprattutto, ricerche che
vadano contro la communis opinio per gli stessi motivi per cui ogni
cittadino ha diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero come
recita la Costituzione all’articolo 21.
Pacifici, quando dice che le posizioni negazioniste sono simili a quelle di
“chi sostiene che la Terra è piatta”, non si rende conto che
Galileo, ai tempi suoi, era un “negazionista”, perché negava ciò in
cui allora tutti, o quasi, credevano: che la Terra fosse piatta e che fosse il
sole a girarle attorno. Non voglio, con ciò, paragonare un genio come Galileo
ai cialtroni negazionisti. Ma il principio è lo stesso. E la memoria
dovrebbe servire non solo a ricordare lo sterminio degli ebrei, ma a
evitare di ripetere, in un contesto diverso e mutato, oltre agli orrori, anche
gli stessi errori del passato.
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