“La menzogna è il volto stesso del demonio.” Victor Hugo – I Miserabili
E’ stupefacente
notare come il titolo di questo articolo corrisponda in pieno alla definizione
che il Presidente Napolitano ha assegnato agli eventi che fanno capo all’esodo
dei profughi italiani dall’Istria ed agli assassinati nelle foibe. Eppure, può
significare esattamente il contrario.
Durante le celebrazioni del “Giorno del Ricordo”, il presidente
dell’associazione degli esuli della Venezia Giulia, Lucio Toth, dichiarava che
dopo tanti anni si poteva sperare di raggiungere per quegli eventi “una memoria
almeno condivisa, se non comune”.
Da condividere con chi? E’ un traguardo che ci si prefigge di raggiungere
all’interno della sola popolazione italiana, oppure con gli altri popoli che
vissero quelle tragedie?
Una risposta è
giunta dal presidente croato Stipe Mesic, che si è detto "costernato" per le
dichiarazioni del presidente italiano nell’occasione della ricorrenza, e che
scorgeva in quelle parole “elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e
revanscismo politico".
Come inizio non c’è male, verrebbe quasi da dire: alla faccia della “memoria
condivisa”!
Quali sono state le
esatte parole di Napolitano, riportate dall’ANSA nel giorno stesso della
commemorazione?
''Non dobbiamo tacere. Dobbiamo assumerci la responsabilità di aver negato o
teso a ignorare la verità, per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e di
averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali”.
Limpido come l’acqua.
“La congiura del
silenzio fu la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante
dell'oblio. Per fortuna abbiamo posto fine a un non giustificabile silenzio”.
Parole sacrosante.
Infine, Paolo
Barbi, presidente storico dell'associazione dei giuliano-dalmati, ha ringraziato
Napolitano e in una breve ricostruzione storica ha voluto ricordare che
purtroppo la tragedia delle foibe, la persecuzione degli italiani residenti in
Istria, aveva anche radici storiche. “Allora, esplosero vendette e odi covati
nell'esasperazione nazionalistica durata decenni, nel clima della guerra totale,
impietosa dei regimi totalitari.”
Come si potrà notare, le parole di Barbi sono meno improntate alla retorica e si
avvicinano alle dichiarazioni di Toth, ovvero richiamano anch’esse la necessità
di una memoria condivisa.
Sembra quasi che esistano due diversi punti di vista – ancora separati dopo
tanti anni – ovvero quello della classe politica italiana e quello degli esuli.
Paradossalmente – ma non troppo – sono proprio gli esuli, ossia coloro che
patirono sulla loro pelle le sofferenze, quelli che cercano – e sembrano quasi
chiedere – delle “aperture” per piantare infine un ramo d’olivo su quei poveri
morti.
Cosa impedisce la
condivisione di una memoria? Essenzialmente, l’omissione.
Non si tratta di giudicare o giustificare le dichiarazioni di Napolitano o di
Mesic, ma di capire che sono entrambe inquinate da importanti omissioni.
Se le colpe dei partigiani jugoslavi sono note – ossia che fu dato inizio ad una
caccia indiscriminata agli italiani – lo sono meno quelle delle truppe italiane
d’occupazione.
Nascondere le responsabilità jugoslave è puerile: lo stesso Tito si rese conto
che la situazione stava sfuggendo a qualsiasi controllo, ed inviò il suo
“braccio destro” – Kardelj – a Lubiana con l’ordine di fermare i massacri,
lanciando la parola d’ordine “italiano non necessariamente significa fascista”.
Quando Kardelj giunse a Lubiana, la tragedia delle foibe era già compiuta e
nessuno era più in grado di controllare gli eventi, da Trieste a Zara. Ci sono
molte testimonianze di partigiani italiani che avevano combattuto con le
formazioni di Tito e che furono costretti a fuggire, pena la morte. Cosa poteva
aver scatenato un simile inferno? La precedente omissione.
Il “buco nero” che
appare evidente nelle ricostruzioni di parte italiana è mostruoso, enorme: i
periodi incriminati vanno dal 1943 al 1946, dimenticando che – prima di quel
periodo – c’erano stati il 1941 ed il 1942.
Dall’aprile del 1941, gli italiani controllavano quasi metà del territorio
jugoslavo: in pratica,
la Jugoslavia
fu divisa fra una parte continentale (sottoposta ai tedeschi) ed una dalmata,
assegnata agli italiani. Le truppe italiane si trovarono quindi a controllare
gran parte della Slovenia e della Croazia, parte della Bosnia ed il Montenegro.
Come in Italia nel periodo 1943-1945, agivano in Jugoslavia delle formazioni
partigiane: non è possibile, in questa sede, ricostruire fedelmente il complesso
organigramma della resistenza jugoslava, poiché ci vorrebbe una trattazione
assai lunga e complessa. Essenzialmente, possiamo affermare che la divisione dei
campi fu ancor più accentuata che nel resto d’Europa: le formazioni comuniste di
Tito furono quelle maggioritarie, ma anche i nazionalisti serbi combatterono i
tedeschi (e si scontrarono con quelle di Tito). In Croazia, invece, c’erano
formazioni partigiane e divisioni croate che affiancavano gli italiani ed i
tedeschi: la “resa dei conti” finale, quindi, fu una tragedia che coinvolse sia
gli italiani sia gli jugoslavi.
Ovviamente – come i
repubblichini di Salò – le truppe italiane combattevano le formazioni
partigiane, e sembra quasi che i tristi metodi della rappresaglia e delle
esecuzioni di massa, avvenute poi in Italia nel periodo 1943-1945, abbiano avuto
un prodromo in quelle terre ed in quegli anni.
Ci sono numerose fonti che hanno indagato quegli eventi, scrittori che hanno
analizzato a fondo quegli anni: voglio ricordare soltanto il "Si ammazza
troppo poco" di Gianni Oliva, perché sarebbe lungo soffermarsi sui molti
contributi di tanti autori e storici.
Per fare soltanto una breve carrellata sui misfatti italiani, bastano pochi
estratti da documenti ufficiali dell’epoca, ovvero dai diari militari delle
unità italiane in Jugoslavia. Ecco qualche esempio:
R I S E R
V A T O
COMANDO SUPERIORE FF.AA. “SLOVENIA
E DALMAZIA”
( 2^ ARMATA )
C I R C O L A R E N. 3 C
1° dicembre 1942-XXI°
(omissis)
CAPITOLO
II°
MISURE PRECAUZIONALI NEI CONFRONTI
DELLA POPOLAZIONE
15 - Quando necessario agli effetti del mantenimento dell'O.P. e delle
operazioni, i Comandi di G.U. possono provvedere:
a) - ad internare, a titolo protettivo, precauzionale o repressivo,
famiglie, categorie di individui della città o campagna, e, se occorre,
intere popolazioni di villaggi e zone rurali;
b) - a “fermare” ostaggi tratti ordinariamente dalla parte sospetta
della popolazione, e, - se giudicato opportuno - anche dal suo complesso,
compresi i ceti più elevati;
c) - a considerare corresponsabili dei sabotaggi, in genere, gli
abitanti di case prossime al luogo in cui essi vengono compiuti.
16 - Gli ostaggi di cui in b) possono essere chiamati a rispondere,
colla loro vita, di aggressioni proditorie a militari e funzionari
italiani, nella località da cui sono tratti, nel caso che non vengono
identificati - entro ragionevole lasso di tempo, volta a volta fissato - i
colpevoli.
- Gli abitanti di cui in c), qualora non siano identificati - come
detto sopra - i sabotatori, possono essere internati a titolo
repressivo; in questo caso il loro bestiame viene confiscato e le loro
case vengono distrutte.
(omissis)
CAPITOLO
X°
40
(omissis)
- AL GRIDO: "SECONDA ARMATA A
ME!” LANCIATO DA UN MILITARE COMUNQUE IN PERICOLO, TUTTI I COMPONENTI
DELL'ARMATA CHE LO ODONO DEBBONO ACCORRERE A DARE AL CAMERATA, A QUALUNQUE
COSTO, MAN FORTE.
41 - Si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede,
non verranno mai perseguiti.
(omissis)
IL GENERALE
COMANDANTE DESIGNATO D'ARMATA
F.to (Mario Roatta)
|
Il documento è
agghiacciante, e non si comprende (?) come sia passato indenne all’esame delle
commissioni alleate al termine delle ostilità. Si noti come, al comma b
dell’art. 15, si ordinasse di “fermare ostaggi” mentre al successivo art.
16 gli stessi ostaggi fossero chiamati a rispondere con la vita nel caso non
fossero identificati i colpevoli degli atti ostili. A completare il quadro, quel
sinistro “Si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non
verranno mai perseguiti” che suona come una campana a morto.
Difatti, per anni le truppe italiane uccisero, bruciarono villaggi, internarono
le popolazioni in campi di prigionia, distrussero raccolti e confiscarono
bestiame: insomma, niente di diverso dal comportamento dei nazifascisti in
Italia.
Ecco a cosa condussero quei proclami:
 |
Un militare italiano malmena
alcuni prigionieri che stanno per essere fucilati |
 |
Prima dell’esecuzione. |
 |
Dopo l’esecuzione. |
Un altro criminale
di guerra conclamato – il gen. Robotti – avvertiva però la necessità di
precisare meglio i termini della repressione. Sembra quasi che i soldati
italiani stentassero a comprendere cosa dovevano fare.
Allegato
n. 10
al diario storico militare del
giorno 4 luglio 1942-XX
COMANDO XI° CORPO D'ARMATA
Uff. Operazioni
- - - - - - - - - - - - - - - - -
N.02/6246/Op.
OGGETTO: Proclama.
ALL'ECCELLENZA EMILIO GRAZIOLI
Alto Commissario per
la Provincia
di L u b i a n a
E' intendimento dell'Ecc. Generale Roatta che all'inizio del prossimo
ciclo di operazioni di grande rastrellamento, venga emanato il proclama
annesso.
(omissis)
2°) - A
partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana, saranno
immediatamente passati per le armi:
- coloro che faranno comunque atti di ostilità alle autorità e truppe
italiane;
- coloro che verranno trovati in possesso di armi, munizioni ed esplosivi;
- coloro che favoriranno comunque i rivoltosi;
- coloro che verranno trovati in possesso di passaporti, carte di identità
e lasciapassare falsificati;
- i maschi validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento - senza
giustificato motivo - nelle zone di combattimento.
(omissis)
1°)- che il
rastrellamento sia metodico e completo al massimo, per evitare che
attraverso le maglie del dispositivo sfuggano elementi ribelli;
2°)- fucilare senza pietà gli uomini validi che nelle retrovie fossero
sorpresi in atteggiamento sospetto lungo le strade ed a tergo delle
nostre colonne.
(omissis)
b)- Chi compie comunque atti di
ostilità alle autorità o truppe italiane - chi venga trovato in possesso
di armi, munizioni ed esplosivi - chi favorisca comunque i rivoltosi - chi
venga trovato in possesso di passaporti, carte di identità e lasciapassare
falsificati. deve essere passato per le armi.
Non
ammetto che gente colpevole di quanto sopra venga deferita ai tribunali od
internata; dev'essere soppressa.
(omissis)
e)- La misura ultima del n.II
dell'ordinanza (""... saranno passati per le armi...i maschi validi che si
troveranno in qualsiasi atteggiamento - senza giustificato motivo - nella
zona di combattimento"") deve essere intesa ed applicata nel modo
seguente:
1°) I maschi validi trovati, in qualsiasi atteggiamento, in zona di
combattimento, in aperta campagna dall'avanti sino alla linea di
schieramento delle artiglierie, non possono essere considerati (per ovvi
motivi) che come ribelli o favoreggiatori dei ribelli. E pertanto
passati per le armi.
2°) I maschi validi trovati in abitazioni isolate, gruppi di case e centri
abitati, sempre quando non siano rei degli atti contemplati nei precedenti
articoli del n.II dell'ordinanza, saranno tutti arrestati. Quelli
che fra essi non siano del luogo saranno passati per le armi come
quelli incontrati in aperta campagna.
3°) Saranno pure arrestati i maschi validi che affluiscono in
abitazioni isolate, gruppi di case e centri abitati, dopo la nostra
occupazione. Quelli che fra essi non risulteranno del posto, o che non
rientrino colle proprie famiglie (circostanza questa che giustificherebbe
la loro assenza al momento della nostra occupazione) saranno passati
per le armi.
(omissis)
IL GENERALE
DI CORPO D'ARMATA
COMANDANTE
F/to Mario Robotti
|
Dalla lettura di
questi documenti e dalle foto appare evidente – quasi salta agli occhi – come
fosse difficile scansare la morte in quegli anni se si aveva la “colpa” di non
essere italiani. Gente trovata “in aperta campagna” deve essere fucilata
all’istante: tutto ciò nei confronti di una popolazione in gran parte dedita
all’agricoltura!
I vari omissis che ho inserito non servono a coprire chissà quali
incoerenze presenti nei testi – che tutti potranno visionare su
http://www.criminidiguerra.it – ma
a ridurre semplicemente le dimensioni dei documenti per soffermarsi meglio sugli
aspetti essenziali ed incontrovertibili.
Il numero delle
vittime causate dall’occupazione italiana varia molto, secondo le fonti: le più
basse, però, non scendono sotto le 100.000 unità.
Gli italiani, però, ribattono che la vendetta furono le foibe. Ora, due tragedie
non si sanano l’un l’altra, bensì si sommano: questo è il terribile significato
di quegli eventi, che dovrebbe condurre ad una riflessione comune e non a delle
liti da galletti in un pollaio. Ma le foibe furono un’invenzione degli jugoslavi
per vendetta nei confronti degli italiani? Furono i primi ad usarle?
Ascoltiamo Predrag
Matvejević, scrittore croato e docente all’Università “
La Sapienza ” di Roma:
Il ministro fascista dei lavori pubblici
Giuseppe Caboldi Gigli, che si attribuì l'appellativo vittorioso di "Giulio
Italico", scrive nel 1927: “La musa istriana ha chiamato con il nome di foibe
quel luogo degno per la sepoltura di quelli che nella provincia dell'Istria
danneggiano le caratteristiche nazionali (italiane) dell'Istria” ("Gerarchia",
IX, 1927). Lo zelante ministro aggiungerà a ciò anche dei versi di minacciose
poesie, in dialetto: "A Pola xe arena, Foiba xe a Pazin" ("A Pola c'è l'arena, a
Pisino la foiba").
Pazin si trova a
poche decine di chilometri da Pola, verso il centro dell’Istria, e già in quegli
anni i fascisti avevano scoperto quel triste metodo per cancellare i loro
crimini. Perché?
La ragione era stata spiegata chiaramente da Benito Mussolini stesso in un suo
discorso tenuto a Pola il 20 settembre 1920:
“Per la creazione del nostro sogno
mediterraneo, è necessario che l'Adriatico, che è il nostro golfo, sia in mano
nostra; di fronte alla inferiorità della razza barbarica quale è quella slava”
Queste furono le
premesse della tragedia: ciò che avvenne al termine delle ostilità fu la
vendetta. Ovviamente, nessun crimine ne può cancellare un altro: in quelle
terre, andò in scena lo stesso “copione” che avvenne in Italia al termine delle
ostilità. Nel solo Friuli, sempre secondo Matvejević, ci furono circa 10.000
esecuzioni sommarie senza processo ed in Francia 50.000. Non sappiamo se queste
cifre sono esatte, per difetto o per eccesso, ma sappiamo che in tutto il Nord
Italia avvennero moltissimi di questi episodi.
Voglio precisare che questo articolo non intende aggiungere nulla a quanto è
risaputo da chi ha condotto serie ricerche storiche: si tratta proprio della
classica “scoperta dell’acqua calda”.
Gli unici a non
sapere dell’esistenza dell’acqua calda sembrano i politici italiani: nonostante
il richiamo alla “memoria condivisa” che giunge dagli esuli, il coro di condanna
per le parole di Mesic è stato unanime.
Ora, definire “razzista” il discorso di Napolitano è sbagliato, ma carente e
colmo d’omissioni sì.
Peggio ancora hanno fatto i corifei di regime: da Fini a Bertinotti, un solo
coro d’approvazione e di completa negazione delle ragioni altrui. Saranno così
poco informati, oppure c’è dell’altro?
Fin qui le storie
di ieri: purtroppo c’è dell’altro, e stupisce che in tutto l’arco parlamentare
non si sia levata una sola voce di protesta per l’omissione delle responsabilità
fasciste. A meno che – a fronte dei tanti crimini di guerra commessi – basti la
sbrigativa affermazione di D’Alema “che l’Italia non nega le colpe del
fascismo”. Ci mancherebbe ancora.
Riflettiamo che Germania e Giappone subirono processi e condanne: noi, nulla,
eppure ci furono circa 1.200 criminali di guerra italiani acclarati dalle
commissioni alleate, nessuno dei quali pagò, perché furono immediatamente
“riciclati” in un fervente anticomunismo.
E i comunisti?
Anch’essi ebbero la
loro parte, perché Tito consumò presto lo “strappo” da Stalin e
la Jugoslavia
fu l’unico paese comunista europeo a non far parte del “Patto di Varsavia”. A
Trieste fu inviato uno degli “uomini forti” del partito – Vittorio Vidali – per
riportare il PCI giuliano sotto l’egida di Mosca: dalle nostre parti,
evidentemente, si preferiva sostare all’ombra della protettiva quercia del
dittatore georgiano.
Se quelle lontane vicende sembrano non avere più senso oggi, dovremmo chiederci
perché nessun esponente della sinistra “tradizionale” – Fassino, Diliberto,
Bertinotti – ha avuto il coraggio di dire “beh” e si sono appiattiti sulle
posizioni di Fini.
Gianfranco Fini ha
dichiarato, con tono sibillino: “Certamente le parole di Mesic creano più di un
problema, perché un Paese entra nell’UE soprattutto se rispetta la verità
storica". Che è, evidentemente, quella di Fini.
In altre parole, si cerca di barattare l’ingresso della Croazia in Europa con
delle improbabili revisioni dei trattati stipulati a suo tempo con
la Jugoslavia
: non è nemmeno chiaro quali siano le mire italiane, perché sollevare altri
“polveroni” nella polveriera balcanica può portare solo a nuovi dolori.
Ora, ci sono molte
ragioni per frapporre dubbi all’ingresso della Croazia nell’UE: una nazione che
ha compiuto recentemente una delle più feroci pulizie etniche avvenute in
Europa, che ha tuttora in sospeso la questione del riconoscimento delle
proprietà dei serbi scacciati, un luogo dove sono state “epurate” chiese
ortodosse e moschee.
Mille e una ragione per discutere sull’ingresso della Croazia nell’UE, ma non i
trattati che condussero alla stabilizzazione dell’area giuliana e del Quarnaro.
Queste ragioni – del tutto pretestuose – sono ancora una volta il caleidoscopio
dell’imperialismo italiano, straccione e voltagabbana, che tratta fino
all’ultimo con Vienna nel 1915 per avere qualche territorio in più nel Friuli e
poi gioca la carta dell’alleanza con Francia e Gran Bretagna.
Oppure quello di
Mussolini, che tratta fino a settembre inoltrato del ‘39 con
la Gran Bretagna
per fermare Hitler, mentre dall’altra fa ad Hitler richieste inaccettabili – per
quantità di materie prime – per entrare in guerra al suo fianco. Entra poi in
guerra soltanto quando
la Francia è
in ginocchio, sperando di raccogliere le briciole al tavolo della pace.
E’ lo stesso imperialismo straccione che manda i nostri soldati in Bosnia a
bonificare le zone colpite dai missili all’Uranio impoverito con la sola
protezione dei guanti di lattice mentre – chissà perché – i soldati americani,
poco più in là, non si avvicinano ai tank distrutti senza le tute
anti-radiazioni.
Imperialismo
mascherato, che ci porta in Iraq a difendere i nostri interessi petroliferi
travestendo la nostra spedizione con l’eufemismo della “missione di pace”,
quando gli stanziamenti dell’operazione “Antica Babilonia” erano divisi in un 6%
per le infrastrutture civili ed un 94% per la parte militare.
Di fatto, abbiamo pattugliato per quasi tre anni il sud dell’Iraq sotto comando
britannico.
Imperialismo voltagabbana: pronti a cedere la sovranità nazionale autorizzando
ai nostri velivoli di bombardare
la Serbia –
senza nessuno straccio di copertura dell’ONU – oppure ad inviare migliaia di
soldati in Libano (solo quando fu evidente che Israele era nei guai) sotto
comando francese. Una continuità storica agghiacciante.
Per queste ragioni
sarebbe importante che gli italiani prendessero coscienza dei drammi causati
fuori dei loro confini: dai Balcani all’Africa, dove siamo stati fra i più
feroci colonizzatori.
Perché – se la coscienza italiana è così limpida –
la RAI non
trasmette il documentario storico “Fascist Legacy” (L’eredità del fascismo)
prodotto dalla BBC e già trasmesso in Francia ed in Gran Bretagna? Perché se ne
è assicurata i diritti e poi lo custodisce gelosamente nei suoi archivi? Perché
è proibito proiettare nelle sale cinematografiche italiane il film “Il Leone del
deserto”, che narra delle atrocità commesse in Libia? Perché non c’è un solo
uomo politico – fra i tanti che siedono in Parlamento – che chiede finalmente di
conoscere la verità su quegli eventi?
Altrimenti – come
affermò Sciascia – rimarremo sempre un paese “senza memoria e senza verità”:
un paese di “Grandi Fratelli” e telefonino-dipendenti, che muta sempre il pelo
senza mai perdere il vizio della menzogna e del misero tornaconto di bottega.
Carlo Bertani
bertani137@libero.it
www.carlobertani.it
Fonte: Televideo: 10 febbraio 2007.
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