Sono
capitoli di storia che si sarebbero dovuti chiudere, a
livello giudiziario, molti anni fa e invece sono rimasti
appesi. E, come tutte le cose che non si sono volute
superare, ad un certo punto riemergono e si intrecciano
con altre vicende, lontane anni luce nel tempo e nello
scenario sociale che le vide maturare, rendendo tutta la
storia recente di questo Paese una melassa in cui è
difficile districarsi per chi quelle storie le ha vissute,
figurarsi per le giovani generazioni. La recente, nuova
richiesta di sospensione della pena per Adriano Sofri e le
conseguenti voci sulla possibilità che finalmente gli
venga concessa la grazia, ha riaperto anche un altro
capitolo, quello di quei giovanotti aitanti della Valle
Aurina che quarant’anni fa terrorizzarono l'Alto Adige:
gli Schutzen. Condannati il 9 luglio 1971 dalla Corte
d’Assise d’Appello di Bologna all’ergastolo, non hanno mai
scontato un solo minuto di carcere: tutti riparati
all’estero, senza nemmeno aspettare il verdetto di primo
grado. Tecnicamente sempre latitanti, attendono la grazia
gli austriaci Siegfried Steger, classe 1939, e Sepp Forer,
più giovane di un anno, con l’italiano Heinrich Oberleiter,
65enne. Gente “seria”, che non si è mai imbrattata le mani
con le invenzioni farsesche della Padania, ma che da
sempre chiama orgogliosamente Patria quel fazzoletto di
terra che è il solo Tirolo e le sue folkloristiche
tradizioni.
Quarant’anni fa, questi giovanotti nostalgici della
Germania nazista non esitarono ad imbracciare armi e
maneggiare esplosivo, rivendicando il diritto a separarsi
dagli «invasori» di Roma e anticipando, in qualche modo,
gli anni di piombo all’ombra delle Dolomiti. Storia,
leggenda e mito nella Bozen altoatesina che guarda
all’Europa (come l’Austria post-Heider), ma anche ferita
mai rimarginata nella Bolzano tricolore, che resta in
trincea e non ammette colpi di spugna, pur pressata
politicamente dalla Svp che vede nel riconoscimento della
grazia ai quattro Schutzen latitanti l’opportunità di
chiudere una stagione anche per loro imbarazzante. E
comunque lontana.
Il treno indicato per raggiungere l’obiettivo sembra
quello di agganciare la questione tirolese a quella degli
anni di Lotta Continua, buttando tutto in un unico
calderone. Del resto, pare proprio che ogni qualvolta un
provvedimento di clemenza sfiori la vicenda di Sofri,
qualcuno senta il bisogno di accompagnarlo ad altre
vicende, spesso molto meno serie, quasi mai simili. Il
quotidiano Dolomiten, nei giorni scorsi, ha
rilanciato proprio questa possibilità. Un provvedimento
soppesato, che tenesse insieme l’ex leader di Lotta
Continua e gli “attivisti” (così li chiamano nella Svp)
della causa tirolese. La grazia, dunque, per Steger, Forer
e Oberleiter. Magari anche per i tedeschi Peter
Kienesberger ed Erhard Hartung, quest’ultimo animatore a
Norimberga di circoli «pangermanisti».
Ma non si può dare a tutta la storia la stessa lettura e
lo stesso finale. In questo caso lo scenario è ancora più
grave, pur ammantato di ridicolo. Da un lato c’è un
capitolo degli anni ’70 pieno, ancora oggi, di luci e di
ombre. Dall’altro c’è una vicenda più rimossa che
metabolizzata nella regione più speciale d'Italia. Che,
molto più di quella di Lotta Continua, è tutta da
rileggere.
Comincia il 20 settembre 1956: in mezzo alla campagna di
Settequerce, la dinamite fa saltare un traliccio. Tre mesi
più tardi tocca alla ferrovia del Brennero. Spunta il “Bas”,
Befreiungsauschuss Südtirol, il “fronte di liberazione”
del Sud Tirolo: il commerciante Sepp Kerschbaumer miete
consensi a favore dell'Austria e intanto salta in aria la
tomba del senatore Ettore Tolomei, che durante il fascismo
aveva riscritto la toponomastica. Nel 1959, gli Schützen
manifestano a Innsbruck (corteo replicato nel 1984 sotto
agli occhi di Pertini), ma ormai è piena rivolta da una
parte e dall'altra del confine.
Il terrorismo aggiusta la mira con la statua di Mussolini
a Ponte Gardena, le caserme nella Val Venosta, i bar
“italiani”. E fra l'11 e il 12 luglio 1961 esplode la
cosiddetta “notte dei fuochi”: 37 attentati contemporanei
con Bolzano al buio. La Svp, di fatto, applaude. Fanfani
ordina il coprifuoco. L'Alto Adige diventa una polveriera,
dove si sperimenta in anticipo la strategia della
tensione. Spuntano i neonazisti austriaci a fianco dei
“fratelli” del sud, mentre il generale De Lorenzo comanda
l'Arma alle prese con il terrorismo. Le bombe attirano
anche neofascisti veneti, a fianco dei giovani nostalgici
della Valle Aurina.
Dal 1964 si combatte senza esclusione di colpi: retate,
centinaia di arrestati, attentati, trame, stragi sfiorate,
incontri segreti fino al “giallo” dell’agguato nella baita
di Malga Saltusio. Soltanto 5 anni dopo Moro e Waldheim
chiudono il fronte tirolese. Ma per altri vent’anni gli
irriducibili della secessione non si daranno per vinti e
tenteranno di rinfocolare la rivolta. Al 30 ottobre 1988,
il bilancio ufficiale di questo pezzo dimenticato di
storia patria conterà 361 attentati, 21 morti e 57 feriti.
Per la magistratura, 17 sentenze passate in giudicato: 157
condanne per 103 sudtirolesi, 40 austriaci e 14 tedeschi.
In attesa di un gesto di clemenza da quell’Italia che,
ancora oggi, molti di loro rinnegano come patria, ma che
già nel 2002 era stata sul punto, con Castelli, di fargli
portare a casa il risultato. Per altro senza passare
attraverso i compromessi di oggi e le commistioni con
l’altra storia della sinistra. Addirittura Ciampi sarebbe
stato pronto a firmare il provvedimento e ad annunciarlo
durante una visita ufficiale in Austria. In quell’occasione,
a bloccare il fascicolo furono le pressioni di Alleanza
Nazionale, che non voleva che la grazia fosse estesa anche
a Adolf Obexer e Luis Larch (condanne a meno di 20 anni) e
a Karl Oberleitner e Josef Felderer. Nel dossier
altoatesino al ministero ci sarebbero anche i nomi di
altri otto nazisti austriaci e tedeschi con il sogno della
Grande Germania: per loro, tuttavia, ha invocato la grazia
soltanto Eva Klotz.
Oggi, la faccenda è in mano a Prodi, Napolitano e Mastella.
La diplomazia della Volkspartei non molla. Rinnova da
dieci anni un memorandum che si concentra sui quattro
bombaroli da graziare. Siegfried Brugger li definisce i
“nostri quattro”, quelli per cui la Svp invoca clemenza:
“Quello sudtirolese - ha commentato il leader Svp,
chiarendo la parabola politica di chiusura del cerchio -
ma anche quello nero e rosso (terrorismo, ndr)
devono essere chiusi; eccetto i reati di strage, siamo
convinti che oggi la democrazia italiana sia abbastanza
solida e forte da poter mettere la parola fine a un
periodo lungo ma che ormai appartiene al passato".
Oggi come oggi, l’unica strada percorribile davvero è
quella del provvedimento ad personam”. In
primavera, Napolitano va a Vienna dal presidente Fischer,
vecchio amico dell’Internazionale socialista. Se il quadro
politico del momento lo permetterà, il fatidico
provvedimento di clemenza potrebbe essere reso noto in
quell’occasione. Oppure mai più. E sarebbe meglio.
Archivio27/01/2007 Archivio Giornata della Memoria
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