L’arresto in Austria dello storico di estrema destra
David Irving, noto per le sue tesi - del tutto infondate - in cui sostiene che
Hitler non sapesse nulla dello sterminio degli ebrei, e in alcune conferenze
negatore tenace del massacro di sei milioni di ebrei da parte del regime
nazista, merita una riflessione sul rapporto che intercorre fra libertà di
opinione e responsabilità penali.
Il carcere per Irving si spiega con il fatto che l'attuale legge austriaca
contempla l'arresto per il reato di apologia di nazismo: e il giudice, dunque,
non ha fatto che applicare la legge.
Ma ci sono due brevi considerazioni che si impongono in questo momento. La prima
è che l'arresto non appare una misura che si attagli all'opinione o meglio
all'interpretazione di uno storico: proprio coloro che si sentono profondamente
estranei e assolutamente distanti dal metodo e dal contenuto dei libri di Irving
- come chi scrive - possono sostenere, a viso aperto, una simile posizione.
Posso essere d'accordo con misure amministrative, multe e risarcimenti economici
da parte di chi si sente offeso dai giudizi espressi dallo studioso. Ma non
l'arresto e il carcere. Le idee si combattono, ma non si arrestano.
Secondo. Chi conosce la difficoltà che per troppi decenni ha caratterizzato la
presa di coscienza da parte della Repubblica austriaca e del popolo austriaco
del ruolo che hanno avuto nella vicenda nazista degli Anni Trenta e Quaranta -
qualcuno ricorderà il caso del presidente Kurt Waldheim, accusato di aver avuto
incarichi nell'esercito nazista -, chi è a conoscenza del fatto che sul
territorio austriaco furono posti campi di concentramento (come Dachau), potrà
forse stupirsi del grande zelo maturato soltanto di recente.
Mi è accaduto più volte in convegni internazionali in Germania o in quel Paese,
negli scorsi decenni, di verificare personalmente il ritardo di uomini e di
istituzioni rispetto a un regime che in Austria venne accolto nel 1938 con
grandi festeggiamenti e vide la partecipazione di alcuni uomini politici
austriaci alle pesanti responsabilità del vertice nazionalsocialista nella
Seconda Guerra mondiale e nella politica del Nuovo ordine nazista nell'Europa
occupata.
Naturalmente il discorso potrebbe allargarsi oltre il caso austriaco. Penso per
far solo un esempio all'impossibilità risolta soltanto assai di recente per gli
storici giapponesi di analizzare e discutere le responsabilità dell'imperatore
Hiro Hito nel regime militarista e parafascista asceso al potere negli Anni
Trenta e Quaranta in Giappone.
Nicola Tranfaglia
Fonte: www.lastampa.it
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