Il mercato in cui operano le società calcistiche non può considerarsi
perfettamente concorrenziale. Come minimo, infatti, i singoli agenti hanno la
necessità di coordinarsi tra loro, nell’ambito di apposite associazioni di
categoria, quali Figc e Lega, per concorrere alla realizzazione del “prodotto”
campionato, circostanza che in altre realtà sarebbe sanzionata come cartello
anti-competitivo. Inoltre, fattore strategico di successo di tale “prodotto”
presso il pubblico (che come tale deve essere preservata nello stesso interesse
di tutti i partecipanti al campionato) è la persistenza di una soglia minima di
equilibrio tra le società che vi competono. Infine, l’asset principale di cui
queste società dispongono, la possibilità di partecipare ai rispettivi
campionati (il titolo sportivo), per quanto da un lato assimilabile a un bene
immateriale come una licenza, dall’altro non è allocato secondo meccanismi di
mercato, ma secondo i principi propri dell’ordinamento sportivo, che tra l’altro
riconoscono ampia discrezionalità di attribuzione alla Figc e ne sanciscono
l’intrasferibilità.
Dove fallisce il controllo
Ciò comporta evidentemente che gli organi di governo del calcio debbano
essere dotati di incisivi poteri di controllo e indirizzo e siano posti nelle
condizioni di esercitarli con efficacia. Nonostante le società sportive siano a
tutti gli effetti società di capitali, alcune delle quali quotate in Borsa,
sottoposte a una disciplina che al termine di una lunga evoluzione è oggi quasi
del tutto assimilabile a quella delle altre società per azioni, è tuttora
previsto un pervasivo controllo volto a verificarne l'equilibrio finanziario
“allo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi”, oltre
che un ampio e articolato sistema disciplinare mirante a garantire l’osservanza
delle norme dell’ordinamento sportivo, che d’altro canto, si sono estese sino a
regolare in grande dettaglio anche aspetti economico-gestionali.
Le vicende degli ultimi anni hanno tuttavia dimostrato come in entrambi
questi ambiti di controllo si siano verificate gravissime disfunzioni, che hanno
falsato l’esito delle competizioni.
Non è un problema di norme. L’ondata di dissesti finanziari si è abbattuta
sul settore indipendentemente dall’elaborazione di norme sempre più stringenti
in materia di controllo contabile, e dal rafforzamento dell’apposito organo, la
Covisoc, che è venuta ad annoverare tra i suoi membri autorevoli esperti in
materie giuridico-economiche. Calciopoli, da ultimo, ha attestato la pervasività
dei condizionamenti che minavano l’imparzialità dell’intero sistema disciplinare
sportivo, nonostante la sua estrema articolazione.
Quella che pare emergere è la mancanza di credibilità e autorevolezza della
Figc, che dunque si riverbera sugli organi di controllo che di questa sono
emanazione. In estrema sintesi, siamo di fronte a un caso da manuale di
“cattura” del regolatore da parte dei regolati. La Federazione calcistica, che
si è venuta di fatto a configurare quale vera e propria authority di controllo
di un settore così complesso e “pesante” (sia in termini di tesserati, sia
soprattutto di fatturato, diretto e indotto), è ancora rigorosamente organizzata
su base associativa. Come tutte le altre Federazioni sportive, del resto, e su
indicazione del Coni. Il suo potere deriva cioè dagli stessi soggetti sottoposti
ai suoi controlli, che sia pure con pesi diversi concorrono all’elezione delle
cariche federali. Un modello che mostra ormai tutti suoi limiti, e pare del
tutto inadeguato agli scopi, in un sistema che da anni conosce una crescita
esponenziale di tutti i suoi indici economici.
Nessuno si sognerebbe di invocare dirigenti imparziali e terzi per una
tranquilla bocciofila rionale e nessuna persona sana di mente si azzarderebbe a
proporre che i membri della Consob siano nominati dalle società quotate: ciò
infatti li priverebbe di quell’autorevolezza, imparzialità e incisività che il
loro ruolo richiede. Dalle inchieste, invece, è emerso come i vertici della
Federazione fossero veri e propri vasi di coccio tra i vasi di ferro delle
società più ricche, a partire dai rapporti umani che intrattenevano con i
dirigenti di queste. (1)
Le soluzioni possibili
È dunque necessario abbandonare l’idea che nel governo dei diversi
sport one size fits all, e prevedere una cornice istituzionale ad hoc per il
sistema calcio, separando con nettezza gli organi di vertice dai regolati, al
fine di accrescere autorevolezza e imparzialità dei primi in un modo che il
meccanismo di selezione dei dirigenti oggi in vigore non consente. Ipotesi
estreme, pure astrattamente ipotizzabili, pongono tuttavia problemi dal punto di
vista della compatibilità con l’intero ordinamento sportivo, anche se paiono
garantire una maggiore efficacia: si potrebbe mantenere una Federazione a base
associativa, dalla quale tuttavia scorporare tutte le funzioni di controllo
(economica e disciplinare, con competenze dai bilanci agli arbitri alla
giustizia sportiva) da affidare a una o più agenzie esterne, di nomina ad
esempio del Coni.
Altre soluzioni, più “morbide”, paiono più in linea con l’assetto attuale. Lo
statuto Figc prevede oggi una struttura di governo estremamente articolata, che
nel lodevole intento di assicurare rappresentanza a tutte le componenti del
pianeta-calcio, finisce per ostacolare la trasparenza dei suoi processi
decisionali e la relativa accountability. Una decisa semplificazione sarebbe
opportuna. Prevedendo un ristretto comitato di presidenza dalle competenze
rafforzate (che inglobino tutte o parte quelle oggi attribuite al comitato di
gestione e al consiglio federale), alla cui nomina auspicabilmente concorrano
enti esterni al settore del calcio (quali lo stesso Coni), si acquisterebbe in
incisività pur salvaguardando la rappresentatività. A questo “direttorio”
dovrebbero rispondere direttamente Covisoc e Aia, che sarebbero rafforzati di
riflesso.
Il rafforzamento di competenze della Figc costituirebbe inoltre l’occasione
per rivedere quelle della Lega, in relazione alla quale è divenuta una trita
litania la denuncia del conflitto di interessi del suo dimissionario presidente.
A ben vedere, il conflitto non è relativo alla persona di Adriano Galliani, ma
alle attribuzioni di quell’organo, un po’ istituzione (è infatti
un’articolazione della Federazione, responsabile dell’organizzazione dei
campionati), un po’ associazione di categoria. Se per assurdo ministero del
Lavoro e Confindustria (o Cgil) fossero accorpati, il conflitto di interessi non
si sanerebbe rimuovendo Montezemolo (Epifani) dalla poltrona di vertice di
questo “mostro” bifronte. Allo stesso modo, i problemi della Lega non si
risolvono con l’invocata “personalità esterna” alla presidenza, ma con una
scelta netta: o tutela gli interessi (particolari) delle associate, o quelli
(generali) del campionato. Questi ultimi sarebbero più al sicuro se affidati
alla nuova Figc che si è cercato di tratteggiare, lasciando libera la Lega di
svolgere la sua azione di lobbying.
(1) Premesso che la presunzione di innocenza impone di sospendere il giudizio
sulla responsabilità dei singoli.
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