Tra il 2002 ed il 2005 la popolazione è cresciuta
in media di circa 440 mila unità l’anno, ma le previsioni dei demografi
non sono state contraddette: il saldo negativo tra nascite e morti è
stato di circa 15 mila l’anno.
Tra il 2002 ed il
2005 la popolazione è cresciuta in media di circa 440 mila unità l’anno,
ma le previsioni dei demografi non sono state contraddette: il saldo
negativo tra nascite e morti è stato di circa 15 mila l’anno. La
crescita è dovuta soprattutto all’iscrizione in anagrafe di mediamente
di 305 mila stranieri l’anno, dovuta alle regolarizzazioni collegate
alla Legge “Bossi-Fini” e a nuove entrate immigratorie. Il dato
sull’immigrazione è uno dei più eclatanti messi in luce dal “Rapporto
sulla popolazione italiana – L’Italia all’inizio del XXI secolo”,
realizzato dal Gruppo di coordinamento per la demografia della Società
italiana di statistica con il contributo scientifico di diversi suoi
aderenti, e curato da Giuseppe Gesano, dirigente di ricerca
dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps)
del Consiglio nazionale delle ricerche, da Fausta Ongaro, ordinario di
Demografia all’Università di Padova, e da Alessandro Rosina, associato
di Demografia all’Università Cattolica di Milano.
Tra il 2002 ed il 2005 sono nati in Italia circa 170 mila bambini figli
di madre straniera, che costituiscono poco meno dell’8% del totale delle
nascite, percentuale che è in rapida crescita, così come lo è la
popolazione straniera: inferiore allo 0,6 per cento nel 1991,
quadruplicata al 2,3 per cento nel 2001, è oggi quantificata tra i 2,7
(4,5% dei residenti) ed i 3,5 milioni (6%), se si comprende una stima
degli irregolari, con la quota più significativa nel Nord-est: 6,6%. Gli
stranieri contribuiscono anche a ridurre l’invecchiamento nazionale:
senza di loro, gli ultra65enni avrebbe già superato il quinto della
popolazione. La loro età media è di 31 anni, contro i 43 dei cittadini
italiani, e la loro fecondità è doppia di quella italiana: nel 2004, per
le donne straniere il numero medio finale di figli è stimato in 2,61,
mentre per le italiane è pari a 1,26. La minore incidenza di persone
anziane determina che il tasso di mortalità tra gli stranieri sia circa
dieci volte inferiore a quello italiano (1,2 per mille contro 10,1).
“Dal punto di vista demografico, la vitalità di una popolazione si
misura dalla capacità di rinnovare se stessa, cioè dal fatto che
ciascuna generazione riesca a produrre, nel corso della sua vita
feconda, un numero di figli pari almeno al suo ammontare”, spiega
Giuseppe Gesano dell’Irpps-Cnr. “Ciò non avviene, in Italia, da circa
trent’anni, e se nel frattempo la popolazione ha continuato a crescere
(debolmente) lo si deve alla struttura ereditata dal passato (ancora
molte le persone in età riproduttiva) e all’allungamento della vita
media (+8,2 anni per gli uomini e +7,5 per le donne)” e all’immigrazione
dall’estero. L’Italia è il paese con la maggiore quota di popolazione
anziana: le stime dell’Onu al 2005 danno gli ultra65enni al 20%
dell’intera popolazione, gli ultimi calcoli Istat 2006 al 19,8%. Agli
inizi degli anni ‘90 la quota nell’Unione europea si aggirava ovunque
intorno al 15%, con Italia e Spagna un po’ più ‘giovani’.
Nel 2005 l’Italia ha superato la Germania ed è diventata prima per
‘grandi vecchi’ (over 80, 5,1%). Nel futuro, il divario si accentuerà.
La vita media delle donne è di oltre 83 anni, quella maschile oltre i
77. Gran parte della riproduzione da noi passa ancora attraverso
l’uscita dei giovani dalla famiglia solo in coincidenza o prossimità del
matrimonio. Questo processo si è rallentato di molto. Il diffondersi di
studio e lavoro tra le giovani donne, a differenza di altri paesi
avanzati, viene vissuto come un ostacolo alla formazione delle unioni ed
alla messa al mondo di figli. “Nei soli dieci anni che vanno dal 1993 al
2003”, afferma Alessandro Rosina, dell’Università Cattolica di Milano,
“nella cruciale fascia d’età tra i 25 ed i 34 anni, gli uomini che
avevano una famiglia con figli sono scesi da uno su tre a uno su cinque,
e le donne da oltre la metà a poco più di una su tre”. Negli ultimi
trent’anni l’età media al primo matrimonio è infatti aumentata di 5,5
anni per le donne e di 4,2 per gli uomini, raggiungendo rispettivamente
i 29,4 ed i 32,2 anni. Nel frattempo, la maggior parte dei giovani non
sposati continua a vivere con i genitori: il 38% del totale dei maschi
30-34-enni ed il 21% delle loro coetanee. In conseguenza dei ritardi
accumulati in tutto il processo di formazione di una propria famiglia
questi pochi figli si fanno tardi: l’età media della donna alla nascita
dei figli è di 30,8 anni (31,1 per le italiane e 27,4 per le straniere).
“Si è accentuata la tendenza ad avere figli in età relativamente
elevata.”, scrive Fausta Ongaro dell’Università di Padova, “Nel 1995 i
nati si dividevano pressoché equamente tra nati da donne con meno di
trent’anni e nati da donne che avevano superato questa soglia; dieci
anni dopo questo secondo gruppo diventa nettamente predominante (62%)”.
Tra Mezzogiorno e Centro-nord è in atto un processo di convergenza. In
primo luogo di fecondità: rispetto alle tradizionali differenze, 1,06
figli per donna al Nord contro 1,43 nel Mezzogiorno ancora nel 1995, nel
2005 entrambi sono a 1,32, grazie soprattutto all’apporto degli
immigrati nelle regioni settentrionali. Nella mortalità, invece, il Nord
ha colmato il precedente svantaggio a favore delle regioni meridionali,
grazie a un guadagno nella sopravvivenza maschile (+2,6 anni nella
speranza di vita a 65 anni tra il 1991 ed il 2005) maggiore di quello
del Sud (+2,1 anni) e attribuibile soprattutto alla maggior contrazione
della mortalità per malattie del sistema circolatorio e per tumori
riscontrata nel Centro-nord. Il ritardo del Sud si manifesta anche nella
speranza di vita in buona salute, più lunga al Centro-nord, sia per gli
uomini (circa 4 anni a 65 anni al Centro-nord contro 2,8 nel
Mezzogiorno) sia per le donne (3,6 contro 2,5 anni).
La speranza di vita libera da disabilità per gli uomini già arrivati al
65° anno è di 14 anni circa nel Nord-est ed al Centro, 13,7 nel
Nord-ovest e 13,1 nel Mezzogiorno, ma è molto più breve per le donne
65enni del Sud (13,5 anni) rispetto a quelle che vivono nel Nord-est
(16,4 anni). La debolezza economica del Mezzogiorno emerge ancora con un
saldo negativo nelle migrazioni, se pur debole (tra i -40 ed i -50 mila
l’anno), e con una minore attrazione nei confronti degli immigrati
dall’estero che vi si insediano regolarmente (6,2% del totale della
popolazione al Centro-nord contro l’1,5% nel Mezzogiorno). Gli immigrati
arrivano ora soprattutto dall’Europa orientale (un terzo delle presenze
sulle prime 15 nazionalità), e le loro durate di presenza sono ancora
brevi rispetto a quelle dei flussi ‘storici’ di filippini, tunisini,
senegalesi e marocchini, ma una parte di loro manda segnali di
insediamento definitivo richiamando o formando famiglia e facendo figli
(le ‘seconde generazioni’, cioè i nati in Italia da almeno un genitore
straniero, sono valutate in tutto tra le 550 e le 650 mila unità
all’inizio del 2007).
All’avanguardia per durata della vita e longevità, la popolazione
italiana è in ritardo rispetto agli altri paesi europei nell’evoluzione
delle forme famigliari e di convivenza e nei modelli riproduttivi.
Scarsa diffusione di giovani che vivono da soli (6,4% delle donne
25-34-enni; ma Milano quasi un quarto degli uomini 35-44-enni) o con
altri coetanei, meno del 30% (anche se in rapida crescita), le coppie
che convivono a fronte del 60-95% rilevato nell’Europa settentrionale
già a metà degli anni ’90. Anche matrimoni civili (più di uno su tre nel
2005), le separazioni ed i divorzi sono in aumento, ma si scioglie solo
un matrimonio su sette, quando in altri paesi europei ciò avviene per un
terzo/metà delle unioni. Ne consegue che sono poche le famiglie di un
solo genitore con figli piccoli (662 mila), gli sposi in ‘seconde nozze’
(8%) e le famiglie ‘ricostituite’ (721 mila). I nati da genitori non
coniugati, raddoppiati negli ultimi dieci anni, sono ancora meno del 15%
(20% in Emilia Romagna), quando in diversi paesi europei hanno superato
i figli di coppie legalmente coniugate.
“Il problema dell’invecchiamento della popolazione va affrontato con
idee innovative, capaci anche di sacrificare preconcetti e privilegi, e
considerando gli immigrati stranieri, come in altri paesi, una
componente stabile della popolazione mediante specifici interventi di
integrazione e riconoscimento , specie per le ‘seconde generazioni’”,
conclude Giuseppe Gesano dell’Irpps-Cnr. “Va inoltre facilitato ed
accelerato il percorso di autonomia dei giovani sul piano della
formazione e della crescita della famiglia, dando spazio anche alle sue
nuove forme. Devono, infine, essere ridotti i divari tra Nord e Sud,
specie nella cura della salute e nella opportunità di lavoro per una
popolazione che nel Mezzogiorno è più giovane”.
CULLE - Gli ultimi dati Istati confermano infine alcuni altri dati.
Anzitutto che anche se qualche vagito in più si sente, a nascite
l'Italia è ancora sotto la media dei Paesi Ue che è di 1,52 figli per
donna nel 2005. Nel 2006 la fecondità in Italia registra un piccolo ma
significativo incremento -1,35 figli per donna (il livello più alto
negli ultimi 16 anni) - ma resta lontana dall'1,94 della Francia e
l'1,77 del Regno Unito. Tra le regioni in assoluto meno prolifiche si
trovano Sardegna (1,06), Molise (1,17) e Basilicata (1,18). Una
curiosità:solo il 17% delle nascite è avvenuto fuori del matrimonio.
MATRIMONI: Le stime del 2006 sono stabili rispetto all'anno precedente:
circa 250 mila matrimoni in un anno, con un tasso di nuzialità pari al
4,2 per mille. Le differenze regionali restano quelle di sempre: nel Sud
si stima una nuzialità più alta (4,7) rispetto al Centro (4,5) e al Nord
(3,8). In particolare Campania e Lazio sono le regioni dove si contrae
il maggior numero di matrimoni in rapporto alla popolazione. I più bassi
livelli di nuzialità si riscontrano in Emilia Romagna e Friuli Venezia
Giulia.
SALDO POSITIVO: La dinamica naturale registra un dato positivo di circa
5 mila unità. Questa stima, se confermata, rappresenterebbe un evento
piuttosto raro per il nostro Paese, considerando che dopo il '92 si e'
verificato soltanto nel 2004. Il dato provvisorio per le nascite si
aggira intorno alle 557 mila unità (3.000 in più rispetto al 2005)
mentre la stima per i decessi è di circa 552 mila unità (quasi 10 mila
in meno rispetto al 2005). A livello territoriale la dinamica si
presenta come di consueto differenziata: le regioni del Nord e del
Centro sono caratterizzate da una più bassa natalità e da una più alta
mortalità; nelle regioni del Sud si segnala una situazione opposta.
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