Giovani sfiduciati, in cerca di protezione e privi
di un progetto di vita. Questo il quadro che emerge dal Sesto
Rapporto dell'Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, presentato
oggi in presenza del Ministro per le Politiche Giovanili e le Attività
sportive, on. Giovanna Melandri. Per tracciare l'identikit del giovane
italiano, vent'anni di analisi a confronto: il Primo Rapporto sulla
condizione giovanile in Italia, infatti, è del 1983. Il dato di trend
storico presentato oggi fornisce un quadro che pone diversi punti di
attenzione. Quali sono le cose importanti della vita? In
una classifica ideale, i valori che i giovani intervistati mettono ai primi
posti per importanza sono quelli a carattere individuale: la salute, che
raccoglie il consenso della quasi totalità del campione (92%), seguita a
pochi punti percentuali dalla famiglia (87%) e dalla pace (80%, a pari
merito con il valore della libertà). E ancora: amore (76%) e amicizia (74%).
E' il dato di trend però che permette una prima ricostruzione dell'identikit
del giovane italiano: accanto alla famiglia che è considerata stabilmente
negli anni quale valore imprescindibile, si può osservare una crescita
dell'amicizia (nel 1983 era considerata "molto importante" dal 58% dei
giovani; nel 2004 dal 78%). Si riduce, invece, nella scala delle priorità,
l'importanza attribuita alla dimensione lavorativa, che passa, negli anni
1983-2004, dal 68% al 61% dei consensi; quella attribuita alla carriera (ben
12 punti in meno in 8 anni - dal 1996 al 2004) e l'importanza attribuita al
valore della solidarietà, che negli ultimi otto anni passa dal 59% dei
consensi al 42%.
"Le cose importanti per i giovani" dichiara il Presidente
dell'Istituto IARD, Prof. Antonio de Lillo "sono sempre più quelle
legate alla sfera della socialità ristretta, a scapito dell'impegno
collettivo. La tendenza che emerge, e che viene confermata da ogni
rilevazione, è la crescita dell'area delle relazioni amicali ed affettive e
dell'importanza che i giovani attribuiscono allo svago ed al tempo libero. "
(questi ultimi, infatti. crescono dal 44% al 55% nell'arco dei vent'anni
presi in considerazione).
In cosa credono? - Dagli anni '80 ad oggi, si registra,
in linea con l'ascesa della sfera della socialità ristretta, il declino
della fiducia nei confronti di molte istituzioni: gli insegnanti, la
polizia, i militari di carriera, le banche e gli uomini politici. Tuttavia
l'ultima rilevazione ci riserva qualche sorpresa: una crescita della fiducia
attribuita soprattutto agli organi di controllo. I giovani che dichiarano di
aver fiducia nei militari passano dal 32% del 2000 al 52% del 2004,
raggiungendo livelli di consenso mai sfiorati. Sempre dal 2000 al 2004,
inoltre, la polizia guadagna 6 punti percentuali e i magistrati 4 punti.
Continua, al contrario, inarrestabile, il declino della
fiducia nelle banche (meno 10% negli ultimi 4 anni, ma ben meno 23 punti
percentuali nel ventennio) e nei mass media. Si registra, infatti, un crollo
della fiducia da parte dei giovani nei confronti della televisione: si passa
dal 47% di coloro che si fidavano della televisione privata nel 1996, al 33%
del 2004; e per quella pubblica dal 53% dei consensi si passa al 38%. La
metà del campione, infine, si fidava dei giornali nel '96: percentuale
lievemente in discesa nel 2004 (meno 6%).
Una generale sfiducia nelle istituzioni e un bisogno di protezione, dunque:
ulteriore tassello del nostro identikit.
Che atteggiamento verso la politica? - La fiducia dei
giovani negli uomini politici si attesta su livelli molto bassi, nonostante
una crescita dall'8% al 12% negli anni dal 2000 al 2004. Cresce, dopo
un'inversione di tendenza registrata nel 1996, l'atteggiamento di delega (il
35% pensa che si debba "lasciare la politica a chi ha la competenza per
occuparsene", contro il 26% del 1996) e si riduce, seppur lievemente, quello
di disgusto (dal 26% al 23%). Dagli anni '80 però l'atteggiamento di
disgusto cresce in maniera esponenziale dal 12% al 23%. L'impegno politico
vero e proprio coinvolge una piccola fetta di giovani (appena il 4%).
Tuttavia, la partecipazione concreta ci mette di fronte ad uno scenario
diverso: solo il 23% dichiara di non partecipare "mai". Un trentenne su due
dichiara di aver assistito ad un dibattito politico, un 15-17enne su tre ha
partecipato ad un corteo, quasi 1 maggiorenne su 4 ha firmato per un
referendum e 1 su 10 ha aderito ad un boicottaggio.
"Quale obiettivo prioritario dovrebbe avere la politica?".
Nella risposta a questa domanda, si osservano forti cambiamenti: si assiste,
infatti, ad un calo costante dell'importanza attribuita a "mantenere
l'ordine della nazione" (dal 36 % del '92 al 26% del 2004) e a "dare maggior
potere alla gente nelle decisioni politiche" (dal 32% al 14%), mentre è in
crescita l'idea che la politica debba "proteggere la libertà di parola" (dal
25% al 35%).
Come vedono il futuro? - Un campo di possibilità sempre
aperto. I giovani non si impegnano, infatti, in scelte troppo vincolanti: se
questo era vero nel 1987 per il 65% degli intervistati lo è oggi per l'80%.
Si è diffusa inoltre nell'ultimo decennio anche l'idea che nella vita anche
le scelte più importanti non sono "per sempre" (dal 49% del 1996 al 54% del
2004).
"Il diffondersi di questo orientamento al presente dei giovani e il
ridursi della loro progettualità verso il futuro hanno un effetto, ma anche
un'origine, negli effettivi comportamenti dell'universo giovanile: la
transizione all'età adulta infatti è oggi più lunga e lenta che in passato",
dichiara il Prof. Carlo Buzzi, Direttore Scientifico dell'Istituto IARD e
continua "possiamo immaginare questa transizione come un processo
caratterizzato da cinque tappe: la conclusione degli studi, l'ingresso nel
mondo del lavoro, l'uscita di casa, la formazione di una nuova famiglia e la
nascita di un figlio. I nostri dati ci dicono che esiste un procrastinamento
di tutte le tappe di transizione".
Come diventano adulti? - Nel 1983 erano usciti di casa
il 17% dei 15-17enni, quasi uno su cinque, oggi soltanto il 3%. Situazione
simile anche per le altre fasce di età: per i 18-20enni il tasso di uscita
di casa è passato dal 39% al 25%.
Solo dopo i 25 anni si registrano le prime consistenti uscite di casa,
spesso in concomitanza con il matrimonio o la convivenza. Tuttavia: quasi il
70% dei 25-29enni e oltre un terzo tra i 30-34enni (36%) vive ancora con i
genitori.
Inoltre, il tasso di nuzialità dei 20-24enni è più che dimezzato dal 1983 al
2004, passando dal 20% all'8%; similmente, è sceso dal 36% del 1992 al 27%
per i 25-29enni.
Non stupisce, pertanto che il tasso di natalità del nostro Paese risulti
così basso: la percentuale di 20-24enni nel ruolo di genitori passa dal 12%
del 1983 al 4% nel 2004. Nel 1992, i 25-29enni genitori erano il 21% contro
l'attuale 16%. Anche fra i più adulti, la percentuale è in calo: nel 2000 i
30-34enni con figli erano il 44%, nel 2004 erano il 40%.
Il Prof. Alessandro Cavalli, Presidente del Comitato Scientifico
di Istituto IARD commenta: "Su questi processi esercitano
un'importante influenza molti aspetti della società odierna: percorsi di
studio più lunghi che in passato, con un ingresso più tardivo nel mondo del
lavoro (si pensi che tra i 25-29enni c'è ancora un 35% di giovani che non
lavora e tra i 30-34enni è il 23%); la precarizzazione del mercato del
lavoro, che ha però segnato un'inversione di tendenza rispetto ai dati del
1996, con una maggior partecipazione giovanile al mondo del lavoro e il
difficile accesso al mercato del credito e della casa".
Il Ministro Giovanna Meandri dichiara, infine: "Il Sesto
Rapporto dell'Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia rappresenta
uno strumento di grande utilità per chi, come il Ministro per le Politiche
Giovanili, è impegnato nella messa a punto di strategie finalizzate a fare
della giovinezza un'esperienza piena e felice e a sbloccare l'accesso dei
giovani alla vita adulta. La cronaca di questi giorni (soprattutto la
cronaca nera di Napoli) ha rinfocolato in qualcuno la tentazione, ben chiara
negli anni passati, di guardare ai giovani soprattutto come a un problema.
Un problema di ordine pubblico, o, al più, un problema di politiche sociali.
Vorrei cogliere l'occasione di questa presentazione per ribadire fermamente
che questa non è la visione del Ministro per le Politiche Giovanili. La
nostra visione, invece, coglie nei giovani un risorsa essenziale per il
futuro di questo Paese
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