Tutti
o quasi i commentatori e gli analisti politici che si sono
espressi sui recentissimi risultati elettorali, hanno
individuato nel bisogno di sicurezza uno degli elementi
decisivi dello spostamento a destra del Paese. Più che un
diverso orientamento ideologico o politico, la paura di
una società ormai in preda all’insicurezza e alla
criminalità, pare sia stato il segno sociologicamente
distintivo dello spostamento dei flussi di voto. Eppure,
l’Italia non vive nessuna “emergenza sicurezza”. A dirlo é
il rapporto ISTAT “100 statistiche per il Paese”,
presentato a pochi giorni dall’investitura del nuovo
sindaco di Roma Alemanno che ha cavalcato l’onda della
paura e dell’insicurezza, cullandosi sulla tempesta
emotiva scatenata sui cittadini da una violenta
aggressione mediatica di fatti, coincidenze e volute
amplificazioni. I numeri dicono che l’Italia nel panorama
europeo risulta essere il Paese meno pericoloso per morti
violente, in ottava posizione dopo l’Austria; nello
specifico, poi, analizzando i dati, emerge che la maggior
parte degli omicidi interessa il Mezzogiorno ma, anche
qui, con un andamento decrescente. Eppure seppure dal 2000
a oggi sono diminuiti gli omicidi, i numeri dicono che è
cresciuta la paura. I dati sono quindi incoraggianti e
anche se la criminalità preoccupa tristemente il 58,7%
degli italiani sembra proprio non esserci quel mostro di
violenza appostato dietro ogni angolo buio di periferia e
di stazione, cosi come descritto e teatralizzato dagli
show televisivi e dalle ultime cronache.
Insomma sembra piuttosto evidente che se questi dati
fossero stati pubblicati prima delle diatribe elettorali
qualche comizio sarebbe rimasto pericolosamente a secco di
campagne “salva vita” e in particolare “salva donne”;
argomenti che tanta presa hanno avuto sulla sensibilità
della gente, in particolare di chi vive in oggettive
situazioni di disagio e maggior abbandono istituzionale.
In una parola le periferie, dove risiedono la maggioranza
di coloro che hanno scelto di votare a destra per una dose
altissima - e in parte comprensibilissima - di paura.
Non è in questione la cronaca dei recenti episodi di
violenza, da ultimo il caso alla stazione romana della
Storta, piuttosto la percezione che di questi arriva nel
comune sentire. Senza scomodare troppa teoria della
comunicazione, è da analizzare il discrimine alto,
altissimo, tra i numeri della violenza e della
non-sicurezza e la percezione che di questi arriva nelle
case della gente attraverso i media.
Perché questo traccia il solco, pericoloso, tra la realtà
e la descrizione strumentale della stessa. Un’informazione
che sostiene poi la differenza tra un’autentica campagna
elettorale fatta di proposte e una spudorata propaganda
populista fatta di promesse. Tra conoscere un’opzione
politica per la propria città e credere senza esitazioni
allo scenario del miglior reality show.
Un pericoloso contagio collettivo di paura ha avvelenato
le opinioni delle persone trasformando le strade della
città da ogni pagina di quotidiano e ogni tg regionale in
pericolosi covi a rischio di vita e d’incolumità
personale. E su questo ha vinto il più tradizionale dei
cliché politici: la forza, che nel nostro paese si colloca
nelle categorie ideologiche della destra, lì dove trova la
sua consacrazione storica e il suo archivio di’immagini e
simboli. Quelli cui è più legato il nostro Sindaco e che
lo rendono decisamente più autentico del tiepido Fini.
A questo si è legato indubbiamente il fiume dei problemi
reali e irrisolti che hanno patito le periferie, in
particolare in questo secondo mandato Veltroni, in cui le
vetrine del centro hanno occupato, forse in vista della
personale candidatura nazionale, tutte le attenzioni del
Campidoglio.
Il punto è che se una vittoria politica nasce sulle basi
della paura collettiva per sopravvivere a se stessa e
mantenere valore e credibilità, può aver bisogno - ed il
rischio, lo documenta la storia è altissimo - di
alimentare sentimenti di discriminazione, di rifiutare
qualsiasi disponibilità all’inclusione dell’altro: per
mutuare una teoria di Habermas, negando ogni futuro
possibile alla democrazia e alla crescita della
cittadinanza nel tessuto sociale contemporaneo. E questo
una città come Roma non se lo può proprio permettere. Il
rischio di non arginare e ricondurre al silenzio frange
violente di estrema destra, armate per la caccia
all’immigrato, del campo rom o magari di un centro
sociale, di questo si che si può aver paura.
Senza voler approdare a tesi apocalittiche bisogna forse
riconoscere che abdicare alla paura le azioni della
politica significa perdere la misura della realtà, l’unica
garanzia contro le degenerazioni e le violenze
ideologiche. E la deriva non è un’ipotesi da studiosi
delle masse e del condizionamento ideologico, ma un fatto.
E’ alta la tensione alle porte dei campi rom o intorno
agli immigrati romeni. Altissima e faticosa da gestire
soprattutto laddove i disagi della povertà e della cultura
sono già profondi e storici.
L’ISTAT dice inoltre che gli italiani soffrono per la
disoccupazione, l’incertezza del futuro giovanile, la
percezione altissima della povertà. I numeri
dell’occupazione - in particolare quella femminile - sono
lontani dagli obiettivi di Lisbona, e salgono, appunto, le
percentuali dell’incertezza e dell’ansia sul futuro. Il
salto dai numeri a come vengono raccontati è quello che
scatena il cosiddetto elemento persuasorio della
comunicazione. Fin qui potremmo non rimanere sconvolti. Ma
le parole sono azioni (per tornare alle formulazioni di
Habermas o alla lettura di Anna Harendt) della
comunicazione politica e il timore legittimo che resta a
chi desidera mantenere lo sguardo senza emotività e
isteria tipica italiana alle forme del reale, è che una
volta sparsi strategici militanti a briglia sciolta e
improvvisati cittadini poliziotti, non basteranno le
parole di un sindaco a scongiurare i numeri veri della
violenza reale, quella che è già odore diffuso di
sospetto, regime generalizzato di paura, rabbia che cerca
espiazione.
Con il dubbio che questo rapporto dell’ISTAT sia uscito
casualmente fuori tempo massimo per ogni lucido tentativo
di analizzare i problemi reali e per privilegiare forse il
nero della politica nostrana, possiamo intrattenerci
ancora a lungo sull’analisi della comunicazione di quest’ultima
campagna elettorale sapendo che non basterà a proteggerci
la sera, tornando a casa, alla fermata dell’autobus o
aspettando il treno. Magari sperando di non essere
aggrediti e uccisi da italiani per una sigaretta negata.
Questo, anche questo accade nelle nostre città.
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