“Contro i servizi telefonici non richiesti, ed in assenza
della class action, non ci resta che esercitare l’azione inibitoria” prevista
prima dalla Legge n.281/98 ed ora dal recente Codice del Consumo: è quanto ha
affermato Giustino Trincia, vicesegretario generale di Cittadinanzattiva, nel
corso della conferenza stampa sui servizi telefonici a pagamento indetta da
diverse associazioni dei consumatori (Assoutenti, Adiconsum, Cittadinanzattiva,
Confconsumatori, Lega Consumatori, Movimento difesa del cittadino e Movimento
consumatori).
Fra servizi attivati e non richiesti (28%), mancata attivazione di un servizio
richiesto (10%), mancata disattivazione di un servizio (7%) e disattivazione
non richiesta del servizio (2%), quasi il 50% delle segnalazioni dei cittadini
gravita attorno al tema dei servizi, vero business per le aziende ma non per
il consumatore.
È quanto emerge dalle 6430 segnalazioni dei cittadini all’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni, rielaborate da Cittadinanzattiva.
Tenuto conto delle rispettive quote di mercato dei gestori, possiamo affermare
che il fenomeno è generalizzato. Ad applicare servizi telefonici non richiesti
sono Wind (46%), Telecom (33%), Elitel (3%), Fastweb (3%), Vodafone Omnitel
(1%), Telecom Italia Media (1%), Tiscali (1%), altro (5%).“Stiamo parlando –
continua Trincia - di un problema che interessa centinaia di migliaia di
persone ogni anno, con un business di milioni di euro che di etico e di
corretto funzionamento del mercato ha davvero poco ed è per questi motivi che
chiediamo anche alla nuova Autorità delle Comunicazioni, come invano abbiamo
fatto per anni con la vecchia, d’imporre alle compagnie di ottenere
l’esplicito e certo consenso scritto del consumatore per l’attivazione dei
servizi”. Il nodo centrale della questione è infatti la modalità con cui viene
acquisito il consenso: “cioè telefonate ad ogni ora del giorno con sui si
“carpisce” il finto consenso all’attivazione dei servizi a pagamento. Ne sono
vittima spesso gli anziani e i consumatori poco accorti”. A sostenere le
ragioni dei consumatori oggi c’è anche la Direttiva Comunitaria 2005/29/CE
(pubblicata in GU UE 11/06/2005), che considera pratica commerciale sleale
effettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono e che
ribadisce, in relazione alle forniture non richieste, che la mancata risposta
ad una proposta commerciale non implica il consenso.
Tra i servizi non richiesti rientrano anche i casi del passaggio ad altro
operatore in palese violazione delle norme che vietano di attivare la
prestazione di CPS (carrier preselection) in assenza della inequivoca volontà
dell’utente di modificare il proprio rapporto con l’operatore di
accesso(delibera 4/00/CIR). Proprio per questi casi Cittadinanzattiva ha già
ottenuto importanti sentenze a favore dei consumatori (contro Wind) ai quali è
stato riconosciuto anche il diritto al risarcimento del danno per lo stato di
sofferenza e legittima insofferenza cui è costretto il consumatore per farsi
disattivare servizi non richiesti (2774/04 Giudice di Pace Roma). “Con il
tavolo di confronto tra Telecom ed associazioni di consumatori si poteva dare
un segnale significativo – conclude Trincia - ma, negli ultimi incontri, e
nonostante gli impegni assunti a Milano il 19 maggio scorso nell’incontro
congiunto con i suoi massimi vertici, l’Azienda si è rifiutata di fatto di
rinunciare alle pratiche commerciali scorrette, venendo meno all’impegno
allora assunto di richiedere il consenso certo da parte dell’utente prima di
fatturare i servizi”. “In assenza di strumenti adeguati quali la class action
alle associazioni di consumatori non resta che intentare una azione inibitoria
ed è chiaro che la nostra iniziativa non è contro la sola Telecom, ma contro
tutte quelle Compagnie che condividono questa poco invidiabile pratica
commerciale”.
Scarica la guida, messa a punto dalle associazioni dei consumatori, per
tutelare il cittadino.
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