È
impressionate il numero di errori politici che Silvio Berlusconi è riuscito ad
inanellare nel giro di poche settimane. Convinto che i verbi comandare e
governare siano sinonimi, il premier continua pensare che per cambiare il Paese
sia sufficiente la forza della sua maggioranza. Il suo modello, lo ha detto più
volte, è Margaret Thatcher, il primo ministro inglese che nei primi anni '80
fece ripartire l'economia del Regno Unito, grazie a un cura da cavallo basata su
tagli allo stato sociale e liberalizzazioni. Berlusconi però non è la Thatcher,
l'Italia non è l'Inghilterra (dove sono le liberalizzazioni, dov'è il sussidio
di disoccupazione?) e soprattutto gli studenti, i genitori e i professori che in
queste ore affollano le piazze, non sono i minatori inglesi che nel 1984 furono
sconfitti dopo 12 mesi di sciopero.
La scuola e l'università, a differenza delle miniere, rappresentano il cuore
pulsante dello Stato. E se una riforma e un intervento duro per eliminare
sprechi e inefficienze sono necessari, è chiaro che la strategia dei tagli a
pioggia e non mirati è destinata semplicemente ad imballare un sistema che già
oggi funziona poco.
Anche nella maggioranza, alla fine, in molti se ne stanno rendendo conto. Solo
che non lo possono dire. Berlusconi odia le sconfitte e ritirare il decreto
Gelmini per lui sarebbe stato come replicare l'incubo dell'estate del 1994,
quando la riforma delle pensioni varata dal suo primo governo fu messa nel
cassetto, di fronte alle proteste dei sindacati, solo poche ore dopo essere
stata proposta.
Così il Cavaliere tenta di correre ai ripari continuando a far la faccia feroce
e blindando ancor più il suo potere. Promette l'ennesima legge-grida manzoniana
per perseguire penalmente chi imbratta i muri; assiste compiaciuto ai primi
tafferugli tra gli studenti di Forza Nuova e quelli anti-fascisti che gli
permetteranno di dire «avevo ragione, in strada sono scesi i facinorosi»;
insiste per ottenere una modifica delle norme elettorali per le europee che gli
consentano di mandare anche a Strasburgo parlamentari nominati e non eletti dai
cittadini; avanza l'idea di fare di Mara Carfagna la portavoce unica del
governo. Insomma si agita per trovare una via d'uscita, mentre la recessione
comincia fare sentire il suo peso anche in Italia.
È una strategia pericolosa. Per il Paese e, paradossalmente, anche per il suo
governo. Tutte queste scelte sono infatti destinate a riportare in auge il tema
della Casta, di cui ormai il premier rischia di diventare l'esponente
principale.
Nel momento in cui si chiede ai cittadini di stringere la cinghia, trattarli
anche come sudditi non è una buona idea. Le domande che prima o poi tutti
cominceranno a farsi sono evidenti: punire chi sporca i muri va bene, ma come la
mettiamo con i responsabili della crisi e dei disastri finanziari? E poi, perché
devono rappresentarci solo persone scelte direttamente dal capo? Perché deve
fare carriera nel governo una signorina che fino a quattro anni fa era una
soubrette e posava nuda nei calendari? Tutto questo ha a che fare con la
meritocrazia (che viene oggi invocata a sproposito per giustificare i tagli
indiscriminati nella scuola) o piuttosto bisogna cominciare a ragionare
sull'oligarchia? E ancora: ma i sacrifici ce li può davvero chiedere uno degli
uomini più ricchi del mondo?
Si tratta di interrogativi pericolosi, soprattutto perché a porseli per primi
sono gli uomini e le donne del mondo della scuola. Gente informata e che si
informa. Gente che è in grado di informare gli altri. Potenzialmente, insomma,
una valanga. Per questo Berlusconi continua a gettare benzina sul fuoco,
sperando che le proteste sfocino nella violenza. Solo di fronte a problemi di
ordine pubblico riuscirà a tener salda l'alleanza con la lega.
Agli uomini di Bossi il Cavaliere ha promesso il federalismo, ma gli eventi di
queste settimane hanno messo questa riforma in secondo piano. Tra i leghisti
però il malumore cresce. Già ora i parlamentari del carroccio hanno difficoltà a
spiegare ai sindaci dei piccoli comuni del nord che, a causa dell'accoppiata
Gelmini-Tremonti, molte delle loro scuole verranno chiuse. Domani sarà il turno
delle giustificazioni davanti agli elettori. Chi vota lega, dopo aver visto per
mesi il proprio movimento chinare la testa di fronte ai voleri del capo, almeno
un risultato vorrebbe portarselo a casa. Ma il federalismo è lontano, mentre le
elezioni europee (primo banco di prova della maggioranza) sono sempre più
vicine.
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