Il
decreto Gelmini è ora ufficialmente legge. Lo ha stabilito
ieri mattina il Senato con 162 voti a favore, 134 contrari
e 3 astenuti, mentre tra i banchi dell’opposizione si
parlava già di referendum abrogativo con relativo
striscione. Non sono quindi valsi a nulla gli appelli
lanciati durante le centinaia di cortei e manifestazioni
organizzati da studenti, docenti e genitori: la
schiacciasassi del governo Berlusconi IV passa con la
solita arroganza anche sulla scuola pubblica. Il ricorso
dell’opposizione al referendum è stato confermato poche
ore più tardi da Walter Veltroni, che in una conferenza
stampa ha spiegato come il Pd, pur avendo chiara la
necessaria parsimonia con cui misurarsi con l’istituto
referendario, ritiene importantissima la materia
scolastica; da qui l’urgenza di fermare la schifezza della
Gelmini appena approvata. Il disegno di conversione è
arrivato a Palazzo Madama dopo il maxiemendamento
approvato alla Camera con lo strumento della fiducia ma,
in sostanza, non una virgola è stata cambiata in merito ai
tagli preannunciati sul personale e sui costi.
È lo stesso ministro per l’Istruzione a spiegare che “la
scuola cambia, si torna alla scuola della serietà, del
merito e dell’educazione” annunciando, fra l’altro, che
entro una settimana metterà mano a un piano che riguarda
l’Università. “Un grande risultato - dice Berlusconi che
sproloquiando aggiunge - dispiace solo che sono stati
presi in giro tanti ragazzi in Roma e in altre città”.
E proprio Roma è stata ieri teatro di un revival in pieno
stile ’77: durante una delle tante manifestazioni indette
nei pressi dl Senato, si è arrivati al contatto fisico tra
studenti di destra appartenenti al “Blocco studentesco” e
rappresentati dell’Unione degli studenti. Uno scontro a
base di mazze di legno, sedie e tavolini dei bar di piazza
Navona, originato da un attacco dei giovani appoggiati da
Forza Nuova alla testa del corteo di protesta indetto da
una delle tante anime del movimento “No-Gelmini”. Al
rifiuto degli studenti a farsi sovrastare, è partita
l’aggressione con caschi, cinte e bastoni. E se dapprima
gli studenti avevano alzato le braccia in segno di rifiuto
dello scontro, alla carica dei fascistelli sotto lo
sguardo dei poliziotti che fingevano di non vedere, i
ragazzi dei centri sociali e gli universitari provenienti
dal corteo che arrivava dall’Università hanno reagito. Il
bilancio è di tre feriti non gravi e 14 arrestati, mentre
20 teppisti filogovernativi sono finiti in questura per
essere identificati. Le strumentalizzazioni dell’episodio,
non hanno tardato ad arrivare.
Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani,
durante l’assemblea candidati Slc-Cgil, ha commentato gli
scontri di piazza Navona tra gruppi studenteschi di destra
e di sinistra sottolineando che “non bisogna rispondere
alle provocazioni” e che i giovani della Cgil non sono
stati difesi dalla polizia fino a quando non sono entrati
in campo ragazzi dei centri sociali. “Un gruppo di
fascisti”, ha continuato Epifani, “ha picchiato i nostri
del tutto inermi. Poi sono intervenuti, non graditi, i
centri sociali e lo scontro è diventato tra centri sociali
e fascisti. A quel punto è intervenuta la polizia. Ma fino
a quando a essere picchiati erano i nostri giovani c’è
stata la sostanziale indifferenza delle forze
dell’ordine”. Per il leader sindacale, questo è “lo schema
che abbiamo di fronte e c’è la minaccia che sia replicato
anche domani” (oggi ndr) allo sciopero generale
della scuola.
Cossiga, come di consueto, lo aveva detto in un’intervista
a La Nazione: “Maroni dovrebbe fare quel che feci
io quand`ero ministro dell`Interno. In primo luogo,
lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a
cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o
gravemente ferito. Gli universitari, invece, bisogna
lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade
e dalle università, infiltrare il movimento con agenti
provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina
di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco
alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città”. Un
disegno che non si è ancora realizzato, grazie anche al
buon senso e all’intelligenza degli studenti del
movimento, ma che potrebbe prendere sembianze fin troppo
reali qualora il livello della contestazione dovesse
salire ancora.
Dopotutto tra i ragazzi, i ricercatori e i genitori, c’era
la diffusa speranza che una mobilitazione del genere
riuscisse a contenere l’arroganza di questo esecutivo e -
sulla scia di quello successo in Francia solo due anni fa
- a far ritirare il disegno di legge più letale che la
pubblica istruzione avesse mai visto. Sbagliavano,
purtroppo. Le manifestazioni continueranno fino a nuovo
ordine, nell’attesa che vengano raccolte le firme
necessarie a indire il referendum abrogativo proposto dal
Pd.
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