Il
lungo autunno caldo della scuola è ufficialmente
cominciato. In tutto il belpaese si contano a centinaia le
iniziative di protesta all’attuazione della riforma
scolastica targata Gelmini-Tremonti, una riforma
presentata come la rivoluzione del grembiulino e del 7 in
condotta ma che non piace a nessuno e che, combinata con
il famigerato decreto Brunetta sugli statali, investe non
solo le scuole e le sue componenti ma anche le già in
ginocchio governance locali. Ma andiamo per ordine: la
riforma si avvale del supporto della finanziaria 2008 -
già contestata per i suoi 14.000 esuberi nell’istruzione -
ed ha come imperativo il taglio di tutto ciò che agli
occhi del duo forzista sembra superfluo, a partire dagli
insegnanti che entro il 2012 dovranno essere ridotti di
87.341 unità, di cui 42.105 già dal prossimo anno
scolastico grazie - o a causa - del ritorno del maestro
unico alle elementari. La scure del governo si abbatterà
poi sui cosiddetti ATA (personale tecnico e
amministrativo) per cui è disposta una decurtazione del
17% sempre entro il 2012 e ciò significa che ben 44.500
dipendenti verranno gentilmente accompagnati alla porta; i
più esposti alla cacciata sono ovviante i collaboratori
scolastici, cosiddetti bidelli, che dovranno potare sul
piatto della Gelmini ben 29.076 teste.
In tutto i tagli sul personale ammontano a 131.841 posti
di lavoro, cui si aggiungono i 270.000 precari collocati
nelle liste provinciali in attesa di una chiamata che
probabilmente non arriverà mai: un vero e proprio
terremoto se si tiene in considerazione il disastroso
stato dell’economia nazionale e mondiale e il progressivo
depauperamento della popolazione. Ma non basta, dal
momento che per far diminuire gli insegnanti è necessario
diminuire le cattedre, i tagli e le riduzioni riguardano
anche la didattica.
Le prime a saltare saranno quelle di laboratorio per cui
sono previsti ingaggi (a chiamata e non a concorso)
direttamente dalle fila delle aziende private; i lettori
madrelingua saranno sostituiti dall’insegnante di lingua
stesso, i licei artistici ingloberanno gli istituti d’arte
ed infine cadranno definitivamente tutte le 900
sperimentazioni attivate nella scuola secondaria. Un colpo
basso al tanto decantato portfolio di competenze che però
- non tanto a sorpresa - evita platealmente le 30.000
cattedre e relativi insegnanti di religione ai quali lo
Stato “laico” elargisce stipendi per 1.200 milioni di euro
ogni anno. I soliti miracolati.
Per far sì che le previsioni di taglio si avverino si
dovrà poi provvedere a chiudere 6.500 tra scuole,
succursali e sedi staccate. Un emendamento inserito nel
disegno di legge sulla sanità sancisce infatti che tutte
le strutture con meno di 500 iscritti vengano chiuse e
accorpate a sedi vicine. L’onere di sgomberare spetta alle
regioni alle quali, in nome del federalismo e
dell’autonomia scolastica, viene delegato praticamente
tutto il “lavoro sporco”; se le regioni poi non dovessero
adempiere al compito la pena sarà il commissariamento
della regione stessa.
Per esaudire le previsioni del duo Gelmini-Tremonti
sarebbe poi necessaria una contrazione della popolazione
scolastica di circa 600.000 unità. L’accorpamento delle
classi fino a 35 alunni non sembra offrire solide garanzie
e l’unica soluzione plausibile sarebbe quella di far
trasmigrare circa un decimo dei nostri studenti verso la
scuola privata, oggi chiamata parificata ma in sostanza
ultimo baluardo dell’educazione cattolica. Sono ormai 10
anni che il settore pubblico - in barba all’articolo 33
della Costituzione che vieta allo Stato l’onere di
sovvenzione ai privati - incentiva le scuole cosiddette
“parificate”.
Fu con la riforma Berlinguer del 1998 che vennero
introdotti i finanziamenti pubblici e fu il governo D’Alema
bis, nel 2000, a sancire l’entrata a pieno titolo delle
scuole private nel sistema di istruzione nazionale con
tutte le applicazioni fiscali del caso, dall’istituzione
dei buoni scuola alle detrazioni fiscali in quanto enti
senza fini di lucro. Nel 2005 la berlusconiana Moratti ha
poi perfezionato la legge, innalzando il tetto massimo dei
contributi per arrivare ad un esborso totale di 530
milioni di euro tra finanziamenti e buoni scuola. Negli 8
miliardi di tagli previsti dalla riforma Gelmini, non
viene decurtato nemmeno un euro agli istituti privati e il
dubbio si insinua spontaneo se si considera che la
stragrande maggioranza di questi sono gestiti dai più
svariati ordini cattolici, dalle orsoline agli stimma
tini, passando per l’onnipotente compagnia delle Opere in
quota a Comunione e Liberazione.
Il disegno di legge sulla riforma scolastica ha varcato le
porte della Camera grazie alla fiducia che il governo ha
posto lo scorso 7 ottobre ed è ora al vaglio del Senato
dove probabilmente passerà con la stessa infallibile
strategia. L’ultima speme sembrava riposta nelle mani del
capo dello Stato e devono averlo pensato in molti, dal
momento che le caselle mail del Quirinale sono state
intasate da decine di migliaia di appelli in cui si
scongiurava Napolitano di non promulgare il dl
Gelmini-Tremonti. La risposta non ha tardato ad arrivare
sotto forma di comunicato stampa in cui con nonchalance si
fa notare che "Il capo dello Stato non può esercitare
ruoli che la Costituzione non gli attribuisce: la stessa
facoltà di chiedere alle Camere una nuova deliberazione
sulle leggi approvate incontra limiti temporali oggettivi
nel caso della conversione di decreti-legge, e il
presidente ha in ogni caso l'obbligo di promulgare le
leggi, qualora le stesse siano nuovamente approvate, anche
nel medesimo testo". Non importa che il suo predecessore
Ciampi lo avesse fatto con la prima Gasparri.
Nel frattempo la protesta monta di ora in ora e si fa
sempre più massificata. Non sono solo gli studenti ad
indire scioperi ed occupazioni, sono soprattutto genitori
ed insegnanti, di ruolo e precari, a coordinare quello che
sembra già un movimento. Si contano a centinaia le
occupazioni di scuole elementari e nella giornata di ieri
cortei di protesta hanno sfilato per tutta la penisola nel
corso dello sciopero proclamato dai Cobas scuole. Si
uniscono al coro anche gli studenti universitari che,
grazie alla legge 133/2008, detta anche “anti-fannulloni”,
vedono il budget sgonfiarsi di 1.445 milioni in cinque
anni e paventano, oltre la rimozione di circa 60.000
precari della ricerca, la conversione degli atenei in
fondazioni a carattere privato.
“Continueremo a parlare di scuole più che mai, sono certa
che Mariastella ascolterà me come potrebbe ascoltare
chiunque lavori in questo campo e abbia di mira
innanzitutto che i cittadini abbiano un servizio di
qualità. A noi interessa che in Italia ci sia una scuola
vera, una scuola seria che risponda alle esigenze di
tutti”. A parlare è Cinzia Gelmini, sorella del Ministro,
maestra elementare e sindacalista CGIL che lo scorso
maggio ha rilasciato a Il Giornale l’intervista
da cui è preso questo stralcio. Come ci sarà rimasta male…
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