Le variabili
solitamente utilizzate nella letteratura economica per approssimare
le risorse investite nella scuola sono la spesa per studente,
il rapporto studenti/insegnanti e la numerosità delle classi. Il
loro ruolo nell’influenzare il rendimento degli studenti è oggetto
di aspre controversie fin dal 1966, quando negli Usa è stato
elaborato il rapporto Coleman per spiegare i peggiori rendimenti
scolastici che caratterizzavano alcune minoranze. Da allora, si sono
susseguiti centinaia di contributi che, basandosi su metodologie non
sperimentali, sono arrivati a conclusioni molto diverse tra loro.
Per questo motivo, alcuni autori hanno scritto rassegne che avevano
l'obiettivo di sintetizzare l'imponente mole di lavori disponibili.
Tuttavia, anche le rassegne hanno raggiunto conclusioni opposte,
in base al modo utilizzato per sintetizzare i contributi esistenti.
Tutto ciò la dice lunga su quanto controverso sia il ruolo delle
risorse.
Risorse e risultati
Ci sono anche ragioni teoriche che possono
spiegare il fatto che non si trovi una relazione robusta tra risorse
e risultati. Prendiamo la numerosità delle classi, ad
esempio: una relazione negativa tra dimensioni delle classi e
performance degli studenti potrebbe essere mascherata dal fatto che
l'allocazione degli studenti in classi grandi o piccole non è
casuale. Se gli studenti "peggiori" risultano concentrati con
maggiore probabilità in classi di dimensioni ridotte, quelle più
numerose possono anche risultare migliori. Recentemente, alcuni
studi hanno fornito evidenza sperimentale sull’argomento e sembra
esistere un effetto positivo, sebbene debole. Nel Tennessee
l’esperimento Star ha assegnato in modo casuale una coorte di
studenti, e i relativi insegnanti, a classi di diverse dimensioni: i
risultati in test standardizzati sono migliorati di circa il 4 per
cento durante il primo anno in cui gli studenti sono inseriti in
classi più piccole, e dell’1 per cento in ciascun anno successivo.
(1)
Pur in presenza di voci a volte molto discordanti, il dibattito
in letteratura avviene in un ambito delimitato da alcuni punti
fermi:
1) Un meccanismo automatico che leghi maggiori risorse investite
nella scuola a migliori rendimenti degli studenti è tutt’altro che
ovvio.
2) Anche gli autori che si mostrano più scettici sul ruolo delle
risorse scolastiche non si spingono ad affermare che investire nella
scuola sia inutile.
Il caso Italia
Il primo punto trova in Italia una immediata
conferma. Come ben documentato nel Quaderno bianco sulla scuola
(parte I, par. 4.2), l’Italia spende per l’istruzione più della
media dei paesi Ocse. Particolarmente elevata risulta la spesa
per il personale, in virtù dell’alto rapporto
insegnanti/studenti. Ciò è dovuto, da un lato, al maggior impegno
orario degli studenti, particolarmente nella scuola primaria e in
misura minore nella scuola secondaria inferiore. Dall’altro, alla
maggiore incidenza di alcune tipologie di insegnanti: di sostegno,
di religione, e fuori ruolo. Anche al netto di queste figure,
tuttavia, il rapporto è di 9,1 insegnanti per 100 studenti in
Italia, contro una media di 7,5 nei paesi Ocse. Eppure, i risultati
che emergono da indagini standardizzate internazionali, come ad
esempio Pisa, pongono le competenze degli studenti italiani
sistematicamente sotto la media. Anche all’interno del nostro paese
non emerge una correlazione tra quantità di risorse investite,
distribuite abbastanza uniformemente a livello territoriale, e
risultati degli studenti, che mostrano un forte svantaggio delle
regioni centro-meridionali. Inoltre, se la quota di spesa in conto
capitale risulta correlata positivamente con le competenze degli
studenti, non lo è altrettanto la spesa per insegnanti, mentre
quella per altro personale e consumi intermedi mostra addirittura
una correlazione negativa. (2)
L'assenza di sistematiche correlazioni positive tra quantità
di risorse investite e risultati non esclude che esistano altri
effetti sulle competenze degli studenti che le variabili elencate
sopra non consentono di cogliere. E qui veniamo al secondo punto. Le
differenze tra scuole potrebbero essere in parte spiegate da
determinanti di tipo istituzionale anziché dall’ammontare delle
risorse investite. O da altri fattori che influenzano la qualità
della scuola, come il livello di preparazione e di motivazione degli
insegnanti. La letteratura evidenzia fra questi la centralizzazione
degli esami, il livello di autonomia scolastica, il livello di
autonomia didattica degli insegnanti, l’esistenza di valutazioni da
parte degli studenti e il livello di concorrenza da parte di scuole
private.
In parole povere, la questione non è solo quanto spendere per
la scuola, ma soprattutto come. E visto che in Italia la
quantità di risorse investite non è inferiore a quella degli altri
paesi sviluppati mentre sono inferiori i risultati ottenuti, è
obbligatorio ripensare al modo in cui le risorse sono spese.
A proposito del decentramento delle responsabilità e delle
competenze nel governo della scuola intrapreso in Italia dagli anni
Novanta, sempre nel Quaderno Bianco (pag. 32) si legge che:
"È mancata l’assegnazione alla scuola di autonomia
economico-finanziaria, ma anche la strumentazione per monitorarla;
e, ancora, l’attribuzione alle scuole di poteri effettivi che
consentano a ognuna di esse di attuare gli interventi necessari al
miglioramento dei propri risultati".
Si tratta di una descrizione coincisa ed efficace di come una
qualunque riforma sia destinata a rimanere incompiuta,
finché al decentramento non si affianchi l’attribuzione di poteri
effettivi e responsabilità in capo a chi è chiamato a gestire la
fornitura del servizio. Se a questo aggiungiamo la già dimostrata
avversione dei principali attori del sistema scolastico, ovvero gli
insegnanti, alla loro valutazione e incentivazione su base
meritocratica, risulta abbastanza facile prevedere che eventuali
risorse addizionali da destinare alla scuola non sortiranno effetti
di rilievo sulle competenze degli studenti.
(1) Krueger, A.B. (1999). "Experimental
Estimates of Education Production Functions" Quarterly Journal of
Economics 114(2): 497-532.
(2) Bratti, M., Checchi, D., Filippin, A. (2007) "Territorial
Differences in Italian Students’ Mathematical Competencies: Evidence
from Pisa 2003", IZA Discussion Paper No. 2603 (February) –
Bonn: IZA.
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