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21/09/2007 La giostra degli insegnanti (Paolo Sestito, http://www.lavoce.info)

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Il Quaderno bianco sulla scuola costituisce un’importante presa d’atto dei problemi e delle difficoltà del sistema scolastico italiano. La sua importanza è per più versi accresciuta dal suo essere un documento congiunto del ministero di spesa settorialmente competente e del ministero di controllo della spesa. In quanto tale, ben potrebbe rappresentare il punto d’avvio d’una riflessione sulla efficacia ed efficienza del sistema scuola in Italia. Riflessione tanto più opportuna alla luce del fatto che il nostro paese, anche nel confronto internazionale, spende tanto, in rapporto al numero di studenti, a fronte di risultati, in termini di competenze raggiunte dai nostri studenti, in media poco soddisfacenti e molto iniquamente distribuiti, con un forte divario tra Nord e Sud e tra scuole diverse, anche all’interno dello stesso ordine di scuole. (1)

I suggerimenti del Quaderno

La spesa è elevata soprattutto a causa di un elevato rapporto insegnanti/alunni, non per via di un’elevata retribuzione unitaria degli insegnanti. Il Quaderno sembra voler rappresentare una sterzata rispetto ai dibattiti abituali sulla scuola, molto centrati - soprattutto in questa stagione dell’anno, alla vigilia della predisposizione della legge Finanziaria - sulle quantità degli input (gli aspiranti insegnanti a cui trovare un contratto stabile) e poco sulla qualità dell’output - gli apprendimenti, alquanto differenziati tra scuole, nonostante l’uniformità di regole e trattamenti.
La direttrice suggerita per superare questo stato di cose sembra essere quella fornita dal combinato disposto di maggiore autonomia delle scuole (quella che viene definita l’attuazione di una "riforma già fatta") e maggiore capacità di governo e monitoraggio centrali del sistema (in termini di programmazione dei flussi di personale e di valutazione degli apprendimenti e quindi delle scuole da parte dell’Invalsi). La direttrice in questione pare in linea con le evidenze disponibili a livello internazionale, che nel binomio autonomia (e flessibilità operativa) e valutazione (omogenea e quindi in qualche misura centralizzata) vedono un’accoppiata vincente, l’una cosa senza l’altra rischiando di produrre più danni che benefici. Naturalmente, molti aspetti di dettaglio richiedono ulteriori precisazioni e approfondimenti, l’obiettivo del Quaderno sembrando esser proprio quello di aprire in proposito un vivace dibattito. Senza entrare nel merito delle proposte più specifiche contenute nel documento, qui ci si limita a sintetizzare alcune evidenze significative sul come regole omogenee e meccanismi centralizzati di allocazione del personale finiscano col produrre risultati fortemente differenziati. La centralizzazione, ancor prima che il loro non affidarsi a meccanismi programmatori pluriennali (quali quello esposto nel Quaderno), sembra infatti fonte di inefficienze.

Il "va e vieni" dei docenti

In Italia molti degli insegnanti annualmente incaricati presso le diverse scuole sono precari, con incarichi fino al termine delle attività didattiche o fine al termine dell’anno scolastico. Gli incarichi, circa il 15 per cento delle posizioni annualmente in essere, sono definiti annualmente ripercorrendo l’ordine in graduatoria di chi aspira a un contratto permanente da insegnante. (2) Di per sé, la natura centralizzata e amministrativa degli incarichi annuali porta a un notevole turnover del corpo docente delle singole scuole: anche se la gran parte dei precari con incarico annuale in un dato anno è poi occupata anche nell’anno scolastico successivo, molto spesso ciò accade in una scuola diversa.
Il turnover effettivo è poi ulteriormente innalzato da quegli insegnanti che, pur avendo un contratto a tempo indeterminato, si muovono, su loro richiesta, da una scuola all’altra. Nel complesso, ogni anno circa un insegnante su cinque è un nuovo arrivato nella specifica scuola in cui si trova a operare. L’indicatore in questione, peraltro, sottovaluta l’instabilità del corpo docente perché considera la situazione assestata degli incarichi annuali, senza tener conto del fatto che spesso le assegnazioni definite a settembre vengono poi mutate nel corso dell’anno. Ma il fenomeno è plausibile fonte di difficoltà nello svolgimento e nella programmazione dell’attività didattica. La programmazione didattica è del resto in Italia affidata più al collegio dei docenti (e ai singoli docenti) che alle scuole in quanto tali, che in questo "va e vieni" di docenti sono un elemento alquanto passivo, non potendo "scegliersi" gli insegnanti. Il turnover, oltre a variare molto tra scuole, appare negativamente correlato con i risultati (nelle scuole secondarie superiori) dell’indagine Pisa.

Le scuole più desiderate

Approfondendo i processi sottostanti questa giostra del personale docente, in particolare per quanto riguarda la mobilità del personale di ruolo alla ricerca di una sede ritenuta più consona, si può evidenziare come le richieste di uscita da una particolare scuola siano alquanto diffuse. In media, il 17 per cento circa degli insegnanti di ruolo operanti in una data scuola vorrebbe in realtà andare altrove. Plausibilmente saranno ben poco motivati a ben operare in quella scuola. Confrontando le diverse scuole, questa percentuale, interpretabile alla stregua di un indicatore di mismatch e di insoddisfazione rispetto alla propria situazione lavorativa corrente, è più elevata nelle scuole del Sud, nella media inferiore e negli istituti professionali e, nel caso delle scuole secondarie superiori per cui si dispone dei risultati di Pisa, tra quelle peggio piazzate.
Un ultimo indicatore è ottenibile considerando non solo le scuole da cui molti docenti di ruolo vogliono andar via, ma anche quelle verso cui l’intera popolazione dei docenti di ruolo italiani vorrebbe andare. L’indicatore in questione coglie le preferenze rivelate dai docenti nei confronti di una data scuola, preferenze che plausibilmente colgono la minore o maggiore difficoltà di operare come insegnante in quel contesto, visto che le condizioni retributive in quanto tali non mutano tra scuole. Una scuola avrà valori positivi dell’indicatore laddove è desiderata da più docenti di quanti non siano quelli che dalla stessa vogliono andare via. L’indicatore denota una grande variabilità tra scuole – a riprova della natura sistematica dei flussi di docenti, evidentemente non governati solo da preferenze idiosincratiche – ed è positivamente correlato coi risultati Pisa. Sembra quindi che i docenti italiani (almeno loro) sappiano bene quali sono le scuole di qualità. Con pochi incentivi ad andare e a impegnarsi in quelle "difficili", quando capitano, nella marcia di avvicinamento verso la sede desiderata, esprimono preferenze alquanto marcate nei loro confronti.


*
Le opinioni qui espresse sono esclusivamente personali e non necessariamente impegnano l’Istituzione di appartenenza.

(1) Il divario rispetto ad altri paesi in termini di competenze, per come misurato dall’indagine Pisa, sembra più marcato di quello in termini di conoscenze (le prime essendo definibili in termini di capacità di utilizzo delle seconde). Ciò potrebbe in parte discendere da un orientamento culturale più "scolastico" e tradizionale della scuola italiana, non ben rappresentato da misure originatesi in prevalenza nel mondo anglosassone. Più discusso è se ciò rifletta un problema – connesso ad esempio al rischio che la nostra scuola sottovaluti l’empirismo, la scienza e la tecnologia moderne. L’opinione di chi scrive è che, almeno in parte, nell’orientamento culturale della nostra scuola vi siano dei tratti problematici. Il punto che però qui più interessa è che una scarsa qualità media degli apprendimenti degli studenti italiani è comunque confermata anche da altre misure (ad esempio Pirls e Timms) una volta che si effettuino confronti su base omogenea con gli altri paesi. Se dal confronto tra le diverse indagini una conclusione deve trarsi è semmai che i ritardi degli studenti italiani crescono al procedere del corso degli studi, segnalando le difficoltà della scuola, in particolare di quella media inferiore. Soprattutto, quelle misure (e quelle definite dall’Invalsi a livello esclusivamente nazionale) confermano il pattern delle differenze interne all’Italia.

(2) Essi non esauriscono l’universo del precariato, in cui vanno anche ricompresi i soggetti incaricati per periodi più brevi. Sono le cosiddette supplenze
brevi, definite dalle singole scuole, la cui effettuazione poi consente, in assenza di qualsivoglia concorso e meccanismo di verifica di attitudini e capacità, di entrare nelle liste degli aspiranti al ruolo da cui sono anche tratti i docenti con incarichi annuali.

Correlazione tra mobilità dei docenti e risultati del test Pisa 2003 (a livello di scuola)

 

Matematica

letteratismo

Dati grezzi    

Turnover

-.238

-.27

Mismatch

-.281

-.353

Preferenze rivelate

.227

.318

Dati Pisa al netto degli effetti di genere e background familiare    

Turnover

-.159

-.200

Mismatch

-.228

-.323

Preferenze rivelate

.231

.369

Dati Pisa al netto degli effetti di genere, background familiare, provincia e tipo di scuola e indicatori di mobilità al netto degli effetti di provincia e tipo di scuola

   

Turnover

-.265

-.325

Mismatch

-.485

-.580

Preferenze rivelate

.392

.534

Fonte: Gianna Barbieri, Piero Cipollone e Paolo Sestito: Labour market for teachers: demographic characteristics and allocative mechanisms, mimeo, luglio 2007

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