I sistemi sanitari moderni soffrono di due grandi mali:
il sotto-trattamento di alcune categorie di individui (le persone
culturalmente e socialmente più deboli o sprovviste, come negli Usa, di
coperture assicurative) e il sovra-trattamento di altre categorie
(esposte al consumo di prestazioni di dubbia efficacia o destinate a
essere trattate ancorché sane). La sostenibilità dei sistemi sanitari
dipende dalla capacità di ri-orientare le risorse dai consumi inutili ai
trattamenti efficaci.
IL DOTTOR KNOCK E IL TRIONFO DELLA MEDICINA
La tematica della medicalizzazione della vita e
della società non è nuova ed è stata anticipata all'inizio del secolo
scorso allorquando la genialità di Jules Romains fa dire al famoso
dottor Knock che “i sani non sono altro che degli ammalati che non sanno
di esserlo”. Più recentemente, un articolo apparso sull'autorevole
British Medical Journal del 13 aprile 2002 ricordava, parafrasando
il dottor Knock, “che si possono fare molti soldi se si riesce a
convincere i sani che in realtà sono degli ammalati”. Ippocrate sta per
essere a poco a poco soppiantato dal dottor Knock. Ed ecco come ciò sta
avvenendo.
L'estensione del dominio della medicina avviene su tre livelli. Il primo
è quantitativo e riguarda l'aumento del numero di
persone identificabili come “malate” . Ciò si verifica per effetto
dell'abbassamento delle soglie oltre le quali viene considerata
“patologica” una determinata condizione in relazione a specifici
“fattori di rischio”: in particolare ipertensione, ipercolesterolemia,
diabete, eccetera. Ne consegue che milioni di persone passano dalla
condizione di “soggettivamente sane” a quella di “oggettivamente
malate”, diventando così suscettibili di un qualche trattamento
sanitario, a causa della semplice modifica del concetto di “valore
normale” di un dato parametro biologico. È importante sottolineare che
la medicalizzazione dei fattori di rischio in prevenzione primaria sta
significativamente modificando l'approccio terapeutico del medico,
sempre più orientato al trattamento di “probabilità anonime”: quando si
trattano persone in buona salute il risultato dell'intervento a livello
individuale non è misurabile che sulla base di “endpoints” (per esempio,
la riduzione del tasso di colesterolo) il più delle volte fallaci perché
non permettono di identificare coloro (pochi) che ne hanno realmente
tratto beneficio in termini di eventi acuti o di mortalità evitati.
UNA SOCIETÀ AMMALATA DI “UN'EPIDEMIA DI DIAGNOSI”
Un secondo livello è temporale e riguarda l'anticipazione di
una diagnosi in soggetti asintomatici, tramite la promozione di
check-up, test di diagnosi precoce e screening di efficacia dubbia,
controversa o non solidamente dimostrata. Non a caso il New York
Times del 2 gennaio 2007 ha affermato che oggi “ quello che ci fa
ammalare è un'epidemia di diagnosi”. (1)
Sorprende infatti la diffusa fiducia nei test di diagnosi precoce. Negli
Usa, il 50 per cento delle donne prive di collo dell'utero, a seguito di
isterectomia totale, continuano a sottoporsi al test per la diagnosi
precoce del tumore al collo dell'utero; in molti paesi europei la
situazione non è diversa. (2)
Altri studi mostrano come il 60 per cento della popolazione sia perfino
disposta a sottoporsi al test per la ricerca precoce del tumore al
pancreas, purtroppo praticamente incurabile. Come pure che l'80 per
cento delle donne italiane credono che il sottoporsi regolarmente alla
mammografia eviti o riduca il rischio di ammalarsi di cancro al seno e
non consenta semplicemente una diagnosi precoce e quindi un trattamento
meno invasivo. (3)
Il marketing industriale e mediatico ha indotto nel pubblico l'equazione
“diagnosi precoce uguale guarigione assicurata”. In realtà check-up,
screening e test diagnostici di massa su persone asintomatiche finiscono
spesso col sovrastimare l'incidenza di morbilità
“inconsistenti”, che non evolveranno mai nel corso della vita in vere e
proprie patologie, o coll'anticipare la diagnosi di una malattia non
modificabile in termini di sopravvivenza, compromettendo peraltro la
serenità negli anni di vita residua.
LA CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DELLE “NON MALATTIE”
Il terzo livello è qualitativo e riguarda
l'attribuzione di stato di “malattia” a condizioni che fanno parte dei
normali processi biologici. Non a caso
il British Medical Journal ha pubblicato una “Classificazione
internazionale delle non-malattie” che contiene oltre 200 condizioni
considerate, a torto, malattie. Fra queste la menopausa, la fobia e
l'apatia sociale, la ribellione adolescenziale, il colon spastico, la
sindrome di fatica cronica, la cellulite, e cosìvia. Quando una data
condizione è elevata a dignità di “malattia”, i costi dei
trattamenti possono essere posti a carico dei sistemi sanitari,
il che facilita l'espansione dei mercati delle tecnologie sanitarie. Le
strategie si fondano da un lato su politiche di marketing e di
comunicazione di regola aggressive e “non trasparenti” verso i
prescrittori, i finanziatori, i regolatori nonché i
pazienti-consumatori. E dall'altro su incentivi
economici e professionali molto spesso perversi,
in grado di generare conflitti di interessi e corruzione. Favoriscono il
successo di queste strategie la complessità, l'incertezza e l'asimmetria
informativa generalizzata che caratterizzano il “mercato” della sanità,
il marketing mediatico dei rischi sanitari e il crescente mito
dell'efficienza fisica, del benessere a tutti i costi, del rifiuto
dell'invecchiamento biologico. Nell'industria farmaceutica,
ad esempio, gli investimenti in marketing sono due volte più elevati di
quelli destinati alla ricerca; solo il 2,4 per cento dei farmaci immessi
sul mercato dal 1981 al 2008 rappresentano un vero importante progresso
terapeutico, mentre l'80 per cento non sono che copie dell'esistente, ad
eccezione del prezzo che di regola è triplicato.
La costruzione sociale delle malattie sta per essere sostituita da
quella industriale, il che avrà un impatto ancora maggiore
sull'insicurezza individuale e sociale, sulla crescita della domanda e
dei costi e, quindi, sulla sostenibilità dei sistemi
sanitari “universali” come oggi li conosciamo. I responsabili di tali
sistemi non possono ignorare la necessità di ri-orientare
i comportamenti e le risorse dai consumi inutili ai trattamenti
efficaci, riducendo così anche parte di quelle diseguaglianze che
gravano sui consumatori meno informati e più deboli.
(1)
http://www.nytimes.com/2007/01/02/health/02essa.html
(2) Sirovich BE., Cervical cancer screening among
women without a cervix, JAMA 2004; 291: 2990-2993.
(3) Domenighetti G. et al., Women's perception of
the benefits of mammography screening: population-based survey in four
countries, Int J of Epid 2003; 32: 816-821.