Quest'anno, la giornata mondiale della salute
è stata dedicata dall'Oms alla sicurezza delle
strutture sanitarie nelle situazioni di
emergenza, proprio nei giorni del terremoto
che ha causato il crollo dell'ospedale
dell'Aquila. Un ospedale incompiuto per oltre
30 anni, simbolo di una sanità regionale in
forte disvanzo, in cui una rete ospedaliera
inadeguata perchè mai razionalizzata permette
di ottenere molti finanziamenti.
Il 7 aprile di ogni anno,
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
celebra da oltre 50 anni la “Giornata
mondiale della salute”, un’occasione
per lanciare in tutto il mondo programmi
di lungo periodo per migliorare la
salute della popolazione.
Quest’anno, la giornata è stata dedicata
alla sicurezza delle strutture sanitarie
nelle situazioni di emergenza. E così,
proprio il 7 aprile 2009, cioè il giorno
dopo il terremoto dell’Abruzzo e il
crollo dell’ospedale dell’Aquila, l’Oms
ha invitato tutti i paesi a non
trascurare l’obiettivo di costruire
strutture sanitarie sicure, in grado di
superare indenni le catastrofi naturali
e di accogliere le persone proprio nei
momenti di maggior bisogno. Lo slogan
ufficiale dell’Oms è “Salvare vite
umane: costruire ospedali sicuri in caso
di catastrofi”.
Il tema non è nuovo, ma la sorte ha
voluto che la comunità internazionale ne
parlasse proprio nei giorni in cui
l’Italia sta affrontando l’emergenza
Abruzzo. La campagna nasce da due
importanti osservazioni: l’aumento della
frequenza dei disastri naturali e la
peculiarità delle strutture ospedaliere.
LE DIMENSIONI DEL PROBLEMA
Negli ultimi 50 anni la frequenza dei
disastri naturali è aumentata in
modo esponenziale;
dal 1990 ad oggi, nella regione
Europea, i soli terremoti hanno causato
ben 21 mila morti e 38 miliardi di
dollari di danni.
Quando si verifica una calamità
naturale, il crollo o il mancato
funzionamento di un ospedale impone alla
collettività un prezzo molto alto,
certamente maggiore degli investimenti
necessari per renderlo sicuro. Le cifre
parlano chiaro. Secondo l’Oms, la
progettazione e la realizzazione di un
ospedale sicuro (rispetto alle
catastrofi naturali) incide per non
oltre il 4% del valore totale
dell’investimento. E quel 4% permette di
salvaguardare il restante 96%
dell’investimento. Per questo, numerosi
organismi internazionali, e anche il
nostro Ministero della Salute, hanno
prodotto linee guida e manuali per la
realizzazione di ospedali in grado di
sopravvivere alle calamità naturali.
QUESTI NON SONO EDIFICI COME GLI
ALTRI
La seconda osservazione riguarda le
caratteristiche delle strutture
ospedaliere. Gli ospedali non sono degli
edifici come tutti gli altri. Sono
luoghi ai quali si rivolgono le persone
in momenti di difficoltà, confidando di
trovarvi non solo professionalità ma
anche riparo dai rischi esterni,
comprese calamità ed epidemie.
L’ospedale non è solo il luogo nel quale
si curano le malattie; è strumento di
salvaguardia della coesione sociale, di
rispetto imparziale di tutte le persone,
di neutralità in presenza di conflitti,
di esercizio della solidarietà e di
rafforzamento della fiducia nelle
istituzioni. Un ospedale incapace di
svolgere il proprio ruolo, costretto ad
abbandonare i propri pazienti e a
trasferirli altrove, compromette la
fiducia dei cittadini nei confronti del
sistema di protezione sociale e, più in
generale, delle istituzioni pubbliche.
Ecco perché il crollo (ancorché
parziale) dell’ospedale dell’Aquila non
può essere trattato alla stessa stregua
del crollo delle altre strutture.
Ospedale “incompiuto” per oltre 30 anni,
costato quasi 20 volte più del previsto,
progettato “in larghezza” per resistere
alle scosse telluriche, aperto forse
senza le necessarie autorizzazioni,
ancora recentemente oggetto di ulteriori
finanziamenti (per interventi di
prevenzione incendi), sembra essere
stato pensato proprio per dimostrare che
“non esiste ospedale più costoso di
quello che, al momento del maggior
bisogno, non è in grado di funzionare”.
PERCHÉ SI CONTINUA A COSTRUIRE
STRUTTURE POCO SICURE?
Il quesito allora è il seguente:
perché, nonostante il problema sia noto
e le soluzioni siano disponibili a costi
accessibili, si continua a costruire
ospedali non in grado di funzionare in
presenza, ad esempio, di un terremoto?
Perché, a fronte di strumenti normativi
e requisiti di sicurezza di cui si sono
dotati la gran parte dei paesi
sviluppati, i governi non riescono a
porre in essere piani di azione
rispettosi di tali obiettivi?
La risposta della letteratura
specialistica è unanime: l’assenza di
meccanismi in grado di attribuire
chiaramente le responsabilità.
Chi è responsabile della costruzione e
del (parziale) crollo dell’ospedale
dell’Aquila? Come può essere individuato
il responsabile di un’opera che è stata
oggetto di progettazioni, varianti,
modifiche, appalti, subappalti,
integrazioni, stralci, adeguamenti, ecc.
per oltre 30 anni?
Per certo sappiamo solo chi ha pagato: i
contribuenti e le persone bisognose di
assistenza. Per le responsabilità, in
attesa del lavoro della magistratura,
non ci resta che tentare con il vecchio
quesito: “a chi giova?”.
GLI INVESTIMENTI IN EDILIZIA
SANITARIA IN ABRUZZO
L’ospedale dell’Aquila non è che un
pezzo della rete ospedaliera abruzzese,
una delle principali cause dei disavanzi
accumulati dalla sanità regionale (1
miliardo di euro a tutto il 2005). La
rete ospedaliera presenta infatti alcune
peculiarità che ne fanno una fonte di
spesa non governata: una
dotazione di posti letto di gran
lunga superiore allo standard nazionale
(5,1 posti letto per 1000 abitanti,
contro uno standard di 4,5); una forte
presenza di strutture private (a lungo
operanti in regime di accreditamento
provvisorio e solo recentemente
sottoposte a regolamentazione); un
tasso di ricovero per acuti fra i
più alti del Paese; un’offerta di posti
nei centri riabilitativi ex art. 26
della legge 833/78 più che doppia
rispetto alla media (12,27 posti ogni
10.000 abitanti nel 2006, contro una
media nazionale di 5,0); una diffusa
carenza di linee guida per l’accesso
alle prestazioni; una preoccupante
lentezza nella programmazione degli
investimenti (dei 226 milioni di euro
assegnati alla regione dal ministero
della Salute tra il 1998 e il 2002, ben
106 milioni non sono ancora stati
oggetto di alcun programma e 67 milioni
sono stati inseriti in un accordo
sottoscritto meno di un anno fa).
In sintesi: una rete ospedaliera
sovradimensionata, vetusta e
costosissima, che il recente Piano
sanitario 2008-2010 aveva tentato di
riordinare e sottoporre a regole, ma che
sembra continuare a rispondere a logiche
diverse da quelle dei bisogni di salute
dei cittadini.
Un tale sistema non può che essere
frutto di un insieme di responsabilità,
forse non facilmente ascrivibili a
singoli soggetti, ma certamente
individuabili tra chi non ha interesse
allo sviluppo di una sanità al passo con
i tempi: una rete ospedaliera inadeguata
genera ancora oggi molti finanziamenti
e, quindi, paradossalmente, pochi
incentivi alla razionalizzazione.
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