Il nuovo sistema sanitario, introdotto con le riforme del 1992 e del
1995, si basa su tre pilastri: aziendalizzazione, concorrenza col privato e
regionalizzazione del servizio.
Sono criteri simili a quelli scelti nei paesi europei che in questo ultimo
decennio hanno riformato la fornitura di prestazioni ospedaliere (Inghilterra,
Francia, Olanda, Danimarca), ma in Italia qualcosa non sta funzionando e il
problema potrebbe peggiorare nel tempo.
L'aziendalizzazione
Gli ospedali sono diventati aziende che erogano prestazioni in cambio
di un prezzo predeterminato (la tariffa) e devono perseguire almeno il pareggio
di bilancio. Si tratta di un grande cambiamento, ma molte strutture non vi erano
preparate.
Molti ospedali si sono così trovati nella necessità e nell'urgenza di
definire tariffe a prestazione senza gli strumenti contabili adeguati. La
stessa definizione nazionale delle tariffe ha affrontato queste difficoltà.
La conseguenza è che per molti raggruppamenti omogenei di diagnosi il prezzo di
rimborso non corrisponde al costo: alcune prestazioni sono "più convenienti" di
altre e la redditività dell'ospedale dipende dalla tipologia di casi trattati.
Inoltre, il nuovo management degli ospedali, forse per tradizione, formazione e
cultura, sembra aver privilegiato la riclassificazione dei casi trattati secondo
le tariffe più convenienti (1) piuttosto che impegnarsi nell'adozione di
nuove tecniche di gestione. Da qui, la frustrazione dei medici, che si vedono
costretti a studiare manuali tariffari cercando il modo più conveniente in cui
classificare il caso, invece di dedicarsi alla cura del malato.
La concorrenza pubblico-privato
L'elemento concorrenziale è stato uno dei criteri ispiratori della riforma
del 1992, anche se l'ambito e l'importanza della concorrenza a livello
locale è stato lasciato alla discrezione delle singole Regioni. La rilevanza
della concorrenza è tuttavia limitata, ed è condizionata dai problemi di
asimmetria tra pubblico e privato nella fornitura della prestazione sanitaria.
Gli ospedali pubblici, perseguono comunque finalità diverse dai privati
accreditati, che hanno il chiaro intento di massimizzare il surplus di
produzione. Al contrario del pubblico, il privato non deve fornire
necessariamente assistenza a tutti, e può quindi concentrarsi sulla fornitura
dei servizi più vantaggiosi dal punto di vista del prezzo di rimborso e
della tecnologia di produzione
Il pubblico come fornitore di ultima istanza, deve assicurare la cura a tutti
i pazienti e deve quindi sostenere il costo fisso relativo alla diversificazione
del trattamento per la stessa terapia. Per fare un esempio, il privato può
fornire solo la terapia laser, mentre l'ospedale pubblico deve essere in grado
di assicurare la prestazione laser, ma anche quella tradizionale, perché non
tutti i pazienti possono essere trattati con la tecnica più innovativa. Il
privato può quindi dedicarsi a una fornitura di "nicchia" con possibili
ripercussioni sul settore pubblico, costretto a invece garantire le terapie
"scomode".
Esiste poi un problema ancora più importante. All'interno dei trattamenti
proposti, il privato potrebbe scegliere i pazienti che hanno un livello di
gravità inferiore e, di conseguenza, un costo meno elevato. Gli ospedali privati
potrebbero così ottenere un profitto più alto di quello normale derivante da una
semplice gestione economica delle risorse. Si tratta di un comportamento
illegale, ma difficile da rilevare: se gli ospedali privati attuano una
politica di questo tipo, non lo fanno certamente rifiutando un paziente tout
court.
La concorrenza del privato dovrebbe fornire un benchmark per il pubblico in
termini di costo efficiente di gestione. Tuttavia, se il privato screma, il
pubblico può avere un deficit anche minimizzando i costi di produzione e il
regolatore è costretto a ripianarlo. Questo meccanismo dà vita a una spirale
così perversa da poter mettere a rischio l'intera architettura del mercato
interno sanitario.
Secondo i dati Aiop (2) nel 2000 il privato accreditato forniva circa
l'8 per cento delle prestazioni a livello nazionale con una forte variazione
regionale. Il settore privato si sta però espandendo ed è quindi fondamentale
studiare il modo in cui opera.
La regionalizzazione
Il tema della regionalizzazione è molto importante e meriterebbe una
trattazione a parte. La preoccupazione di arrivare ad avere ventuno sistemi
sanitari diversi è tardiva: di fatto esistono già. Limitandoci alle
prestazioni ospedaliere, abbiamo ormai in atto i modelli più disparati: da
quello lombardo che si affida completamente alla concorrenza con la massima
libertà di scelta del paziente a quello dell'Emilia Romagna dove il privato
esiste, ha un ruolo quantitativamente importante, ma subisce una regolazione
fortissima da parte della Regione.
Questo sistema crea confusione e incertezza e va in qualche modo
regolato.
Le soluzioni
Già in passato, è capitato che una nuova riforma fosse varata prima di dare a
quella precedente gli strumenti per operare. È un rischio da evitare. Si possono
invece ipotizzare alcuni interventi migliorativi.
a) La formazione del management della sanità pubblica. All'estero la
maggior parte dei manager ha una formazione economico-aziendale che in Italia
è spesso molto carente. Il salto di qualità da ente ad azienda non si può fare
solo tramite un cambio dei criteri contabili;
b) la specializzazione degli ospedali privati è inevitabile se al
privato viene lasciato troppo margine di manovra. L'unico modo per evitarlo,
almeno nel breve, è imporre un case-mix minimo agli ospedali privati che
chiedono l'accreditamento.
c) È necessario il controllo sui possibili meccanismi di scrematura
di mercato sia per colpire chi eventualmente si dedica a tali pratiche sia per
dare peso al vincolo di bilancio. Solo dopo aver accertato che tali pratiche
non esistono, si potrà chiedere agli ospedali pubblici il pareggio di bilancio
d) Prima di procedere a una liberalizzazione ancora più spinta dei sistemi
regionali, occorre confrontare i diversi sistemi e scegliere un modello
ottimale. Questo non andrebbe contro il federalismo: un conto è decidere
il livello e la quantità di servizi da erogare, un altro è utilizzare uno
stesso schema di riferimento per organizzare la fornitura delle prestazioni.
Per saperne di più
Einthoven, A. (2002) American Health Care in the 1990's: Some lessons for the
Europeans, Paper presented at the 4th European conference on health
economics, Paris, 7-10 july
Levaggi, R. e Montefiori M. (2003) Horizontal and Vertical Cream Skimming in the
Health Care Market http://www.unipv.it/websiep/wp/229.pdf,
(1) A questo proposito si può consultare il monitoraggio della Agenzia
sanitaria regionale sull'utilizzo dei Drg.
http://www.assr.it/DRGmain.htm.
(2) http://www.aiop.it/
Archivio Sanità
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