Ve lo ricordate il super spot di casa Bistefani? Quel proprietario
improvvisamente tramutato in uno strageneroso Babbo Natale, per la gioia dei
consumatori, anche a costo di rimetterci di tasca sua? Ebbene, oggi quel Babbo
Natale è tornato, è tra noi. E si chiama Bondi. Lo 007 delle imprese
impossibili, lo stratega che grazie al suo sguardo lungo, lunghissimo, tutto
vede e prevede. Con la capacità di uno stregone, di un mago e l’equilibrismo
dell’acrobata provetto. L’uomo capace di far quadrare il cerchio, di trasformare
il crac più clamoroso della storia italiana, quello targato Parmalat, nell’araba
fenice, un titolo in grado di risorgere più forte e più solido che pria -
direbbe Petrolini. Una gran mucca da mungere, da spremere fino all’ultimo
milione di euro, per la gioia di parecchi. Ma soprattutto di alcuni. Vediamo di
chi, mentre si è appena alzato il sipario sul maxi processo, con il primo
interrogatorio dedicato proprio al super 007, Enrico Bondi, l’amministratore
delegato della Nuova Parmalat, partito lancia in resta contro le banche.
Intanto viene “sospeso dal
servizio” per tre mesi - una sorta di cartellino giallo - il numero uno di
Capitalia e maxi finanziatore di Calisto Tanzi, Cesare Geronzi, il
superbanchiere rigogliosamente cresciuto sotto la protettiva ala andreottiana,
poi “trasversale”, ecumenico e di rubinetto facile per tutti, ora difeso dal
senatore ds, dalemiano doc, l’avvocato Guido Calvi. Per la serie, triple
capriole carpiate. Cerchiamo allora di ricostruire alcuni tasselli
dell’incredibile puzzle. Moltissimi dei quali portano alle Americhe & oltre,
altri arrivano fino in Campania.
GIUGNO BOLLENTE
Giugno 2005. Un’estate bollente per l’economia del nostro paese.
Animata soprattutto dagli “esiti” del super crac di Collecchio. E’ del 16 giugno
la notizia che “per Parmalat si vota”. Si esce una buona volta dal tunnel, dopo
il Natale nero del 2003, e il fermo ai box del titolo per oltre un anno? Pare
proprio di sì. La notizia che arriva dal tribunale di Parma parla esplicitamente
di «due mesi di tempo, dal 28 giugno al 26 agosto per dare il proprio assenso,
in quanto creditori a vario titolo, alla conversione degli stessi crediti in
azioni».
I magistrati - Giuseppe Coscioni e Pasquale Liccardo - sono decisi: avrebbero
ricevuto da Bondi i documenti, le carte necessarie e sufficienti per dar disco
verde all’operazione. Il “prospetto informativo”, basilare per varare il tutto,
avrebbe ricevuto l’ok da parte della Consob, il super organismo di vigilanza che
purtroppo, spesso e volentieri, ha chiuso gli occhi sulle acrobazie finanziarie
più spericolate (e i napoletani ne sanno qualcosa: dal crac Socofimm di fine
anni ‘80 a quello targato Sim Professione & Finanza del gruppo De Asmundis a
metà ’90).
Mancherebbe solo il sì da parte
delle autorità di vigilanza di parecchi altri paesi europei coinvolti con i loro
istituti di credito nella voragine, ad esempio quelle di Danimarca, Germania,
Lussemburgo, Olanda. Regno Unito e Svezia. Ma i primi conti della massaia - a
casa Bondi - si cominciano a fare. E con grande alacrità. Se il concordato va in
porto,la Nuova formazione Parmalat vedrebbe questi protagonisti in campo: 27 e passa per cento
in mano alla banche, 59 per cento per gli obbligazionisti, 8 per cento ai
fornitori. «Nascerà così - c’è chi già commenta tra gli analisti finanziari -
una società anomala dove alcuni dei principali azionisti saranno gli stessi
indiziati di aver concorso al precedente fallimento del gruppo e il cui
andamento in Borsa sarà condizionato dalle numerose cause pendenti, più che dal
successo o meno delle attività industriali». Circostanze che si stanno
puntualmente verificando, fra iperbolici successi di alcuni, contenziosi chissà
per quanto pendenti e un titolo Nuova Parmalat in continua fibrillazione.
POKER D’ASSI
Gennaio 2005. Il mondo finanziario nostrano & oltre fa segnare
sommovimenti anomali. Il tam tam sull’ex impero di Collecchio e il suo prossimo
destino rimbalzano nei mercati finanziari, tra advisor, operatori finanziari e
gruppi speculativi: sembra quasi sia scattato il via - commentano in piazza
Affari - per una specie di tombola, o di monopoli, dove i valori sono del tutto
virtuali e “un po’ tutti cominciano a dare i numeri”. Più d’uno, tra vascelli,
navi d’altura e pescecani di varia dimensione, è pronto a scendere in acqua.
Prendiamo lo smisurato arcipelago dei fornitori (si va dai 450 euro per la
celebre velina Elisabetta Canalis a mega istituti di credito, passando per
piccole e medie aziende di mezza Italia, Campania abbondantemente compresa,
dall’Irpinia fino ad Ischia), un mare in miliardi di euro, popolato sia dai
cosiddetti “creditori privilegiati” che da quelli “chirografari”: tutti devono
avere dei soldi, in concreto, ma c’è una scala di priorità, e su questa base i
giudici del tribunale stilano una sorta di graduatoria. Che per i solo fornitori
di Parmalat è di circa un centinaio di pagine.
«Senza contare - aggiungono gli
esperti - i fornitori delle altre sei società controllate che rientrano a pieno
titolo nella procedura concorsuale, a partire da Eurolat, l’ex municipalizzata
del latte di Roma acquistata da Sergio Cragnotti e passata a Tanzi ad un prezzo
stratosferico, imposto dall’onnipresente Geronzi (il quale si premurò subito di
girare la somma nelle casse di Capitalia per turare le falle dell’ex patron
della Lazio). E’ uno degli attuali capi d’accusa per Geronzi; l’altro riguarda
un’operazione simile, questa volta per mettere una pezza a colori sulla
sforacchiata azienda di acque minerali di Giuseppe Ciarrapico
la Acque Ciappazzi), altro patron calcistico, questa volta
della Roma, e cliente eccellente dell’ex Banca di Roma.
Torniamo ai fornitori e ai
loro… corteggiatori. Ora comincia l’asta e, per favore, occhio alle cifre e alle
date. 3 febbraio 2005. Dagli uffici di Madison Avenue, a New York, della
PrimeShares (per esteso, PrimeShares World Markets Group) parte una raffica di
offerte ai fornitori del gruppo Parmalat, sollecitati a “vendere” i loro crediti
per una cifra che subito fa rizzare le orecchie: 70 per cento. «Cifra alta,
molto alta - commentano alcuni analisti finanziari - addirittura per crediti
chirografari, quando nelle consuete prassi non si va mai oltre il 30 per cento.
Certo, la procedura concorsuale si stava sviluppando ma la cifra appare del
tutto spropositata». PrimeShares è a sua volta affiliato ad un altro gruppo,
VonWin, per esteso VonWinAsset Management LLC, specializzati entrambi negli
investimenti ad “alto rischio”. E quello su Parmalat, evidentemente, era ad
altissimo rischio...
DAL SANNIO A LONDRA
Passano meno di cento giorni, siamo a metà maggio, quando
dall’elegante sede londinese del gruppo Advicorp - corazzata nel settore
dell’acquisto di crediti difficili - parte un’altra sfilza di offerte, sempre
indirizzate ai fornitori della galassia Parmalat. «Advicorp è disposta a pagare
l’82 per cento del valore nominale del suo credito commerciale chirografario. La
nostra offerta non è in azioni, come indicato dal piano di riparto
dell’amministratore, ma in cash e il pagamento verrà effettuato in una
tempistica alquanto rapida»: così efficacemente preannuncia la missiva. Per
concretizzare l’operazione basta poco, ovvero sottoscrivere «la documentazione
di cessione di credito pro-soluto che normalmente utilizziamo», e che Advicorp
ha già usato in analoghe circostanze, come Cirio e Del Monte. A siglare
l’offerta il numero due della società, Marco Massimiliano Elser, e Celestino
Amore, che dal Sannio ha spiccato il volo verso i business londinesi. L’estate
comincia a farsi bollente. La vista forse si annebbia, soprattutto per chi ha
crediti “incagliati”. E i miraggi possono trovarsi dietro l’angolo. Per questo
pare degna del miglior Totò alle prese con la vendita della fontana di Trevi
l’offerta che a luglio parte da Cipro (Nicosia, 25 Aprhodites Street) verso i
soliti, sbigottiti fornitori Parmalat: una misteriosa Sprand Limited arriva a
varcare - udite udite - la soglia del cento per cento, offrendo addirittura il
105 per cento.
Mai porre limiti alla
provvidenza. Ad ottobre si fa viva l’ennesima sigla, questa volta italiana doc,
la bolognese Fast Finance, nelle sembianze del Babbo Natale Bistefani doc.
Arriva ad offrire, per la solita operazione, il 140 per cento. Sono ben chiari,
nella loro “proposta di acquisto”, i titolari di Fast Finance: «come
preannunciato, a seguito dell’approvazione della proposta di concordato avvenuta
sabato 1 ottobre - scrivono - tutti i crediti nei confronti del Gruppo Parmalat
sottomessi al concordato sono stati convertiti in azioni della Nuova Parmalat
che vi saranno accreditati nei prossimi giorni». Prosegue poi la missiva: «E’
sempre nostra intenzione procedere all’acquisto della vostra posizione, tuttavia
a causa dell’impossibilità tecnica di procedere all’acquisto del vostro credito
(in quanto il credito è stato convertito in azioni) vi proponiamo la firma di un
contratto che preveda….». Che prevede il 140 per cento e passa dello stesso
credito !
ADUSBEF ALL’ATTACCO
Misteri & interrogativi, su svariati fronti, si moltiplicano. Quanti
fornitori (ovviamente banche escluse) hanno venduto i loro crediti alle quattro
fameliche società che nel giro di pochi mesi si sono fatte vive con offerte
stratosferiche, dal 70 fino al 140 per cento? Quanti hanno ceduto alla prima,
oppure alla seconda, terza o quarta sigla (soprattutto se i creditori-fornitori
avevano problemi di liquidità)? Quali enormi plusvalenze hanno poi ottenuto le 4
sorelle, visto che alla fine di tutto il titolo è sbarcato sul mercato ad un
valore triplo rispetto a quello in origine previsto? Ci sono dei “burattinai”
alle spalle di questa incredibile operazione? «Tutto è stato studiato
accuratamente a tavolino - osservano alcuni analisti - fin dal varo della legge
Marzano dopo il crac, una sorta di Prodi bis per i salvataggi dei grandi gruppi.
Al solito, quando fallisce una società di non colossali dimensioni, come è
capitato tante volte, nessuno se ne frega, hai voglia a parlare di legge sulla
tutela dei risparmiatori». E i risparmiatori, comunque, gli obbligazionisti che
avevano puntato sul titolo Parmalat ci stanno rimettendo, E parecchio.
Secondo le valutazioni
dell’Adusbef - la battagliera associazione che tutela i cittadini nei confronti
di banche, assicurazioni & C, presieduta da Elio Lannutti, candidato dei Verdi
alle prossime politiche - «ai risparmiatori è stata restituita una percentuale
media tra il 12 e il 18 per cento del capitale investito»: si tratta di un
esercito composto da ben 135 mila cittadini. Può essere molto istruttivo, a
questo punto, seguire una mini cronistoria redatta proprio dall’Adusbef a fine
2005.
Ecco cosa denunciano, senza peli sulla lingua, a partire dalla sbarco delle
azioni Nuova Parmalat di maggio 2005: «appena arrivata in borsa l’azione, questa
aveva un prezzo esorbitante, rispetto a quello fissato dalla quotazione, grazie
all’accompagnamento di notizie circa ipotetiche OPA convenienti sull’azienda. Si
ipotizzano quindi una serie di speculazioni di mercato tali da influenzare
enormi somme di danaro». E ancora: «Laddove si dimostrasse che grandi
investitoti cosiddetti “istituzionali” hanno posto in essere speculazioni atte a
manipolare il mercato sfruttando informazioni riservate, certo si
concretizzerebbe quella tipologia di illeciti rientranti nella fattispecie
dell’insider trading». Per concludere, in modo esplicito: «proprio in relazione
a tale rischio di speculazioni da parte di alcuni soggetti a danno dei tanti
risparmiatori gabbati dalla vicenda Parmalat, Adoc, Adusbef, Codacons e
Federconsumatori hanno presentato un esposto alla Consob chiedendo l’apertura di
un’indagine volta ad accertare i soggetti attivi delle transazioni finanziarie
che hanno avuto ad oggetto il titolo Parmalat nel periodo immediatamente
antecedente ed in quello successivo alla data dell’immissione dello stesso nel
mercato finanziario». Tempesta in arrivo sulle 4 sorelle pigliatutto?
LA GIUNGLA DEGLI
ADVISOR;
Carnevale, tempo di scherzi. Ma non troppo. L’advisor banking - il gergo è ormai
sempre meno a misura di cliente - Advicorp a metà febbraio 2006 comunica di aver
smobilizzato il 90 per cento delle azioni Parmalat che aveva in portafoglio, per
un totale di «diversi milioni di euro». Ovvero, il bottino rastrellato presso i
creditori del gruppo di Collecchio, per la serie made in Woody Allen “prendi i
soldi e scappa”. Excusatio non petita, il plenipotenziario capitolino di Advi,
Marco Massimiliano Elser, osserva che «il mercato non ha avuto adeguati
ragguagli sui tempi», aggiungendo di «aver venduto tutte le obbligazioni quando
Parmalat ha pubblicato le sue cessioni perché l’azienda aveva precedentemente
promesso di non cedere più debiti». Parole sibilline. Pronunciate soprattutto da
chi ha messo a segno un colpo miliardario, rastrellando da fornitori & c. di
Parmalat e delle sue consorelle crediti a molti, moltissimi zeri.
E allora vediamo, in concreto,
chi sono due fra i primattori del “rastrellamento”, ossia Advi e Fast Finance.
Nasce una decina d’anni fa Advicorp, e a fondarla, nel 1997, è Andrea Giorgio
Mandel Mantello, nato a Roma, residenza a Londra e cittadino austriaco. Adeguato
il curriculum, degno d’un papiro egizio: che racconta di una proficua
esperienza, tra il 2000 e il 2001, come advisor di una grossa compagnia
statunitense in Israele. Ma prima di fondare Advi - viene precisato nel suo
pedigree - mr. Mantello ha lavorato per nove anni alla SBC Warburg (fino a
diventare il responsabile della SBC Sim Italia spa), più nota come UBS, ovvero
il gruppo svizzero tra i più potenti al mondo, depositario di molti,
inconfessabili segreti (e anche in quella sua esperienza era incaricato di
seguire i business targati Israele). Non è finita, perché Mantello ha poi
lavorato per due anni alla londinese Chemical Bank International ltd per poi
passare alla nostra Banca Nazionale dell’Agricoltura, finita nell’orbita di
Capitalia. Il numero due del gruppo, Elser, dal canto suo è originario di Roma
(risulta residente in via Sistina) ma ancora cittadino Usa. Fratelli-gemelli, i
due protagonisti di Advi, nati a una settimana di distanza: quella di fine
settembre 1958. I casi della vita.
UBS & STANLEY Secondo le prime
ricostruzioni dei magistrati che indagano sull’affaire Parmalat, UBS e Morgan
Stanley - la star Usa nel settore finanziario - hanno fatto di tutto e di più
per coprire quella colossale voragine: per la precisione, 720 milioni di euro in
obbligazioni, fino a sei mesi prima del crac ufficiale. «Morgan Stanley -
osservano in ambienti giudiziari - ha aiutato Parmalat a vendere titoli
collegati per 300 milioni di euro». Ha fatto ancora di più UBS, che - secondo
altre notizie riportate da Bloomberg - «avvertì i vertici della Parmalat che era
possibile nascondere al mercato il costo della emissione di 420 milioni di euro
in bond ritardandone la dichiarazione». Secondo uno dei magistrati inquirenti,
Stefania Chiaruttini, «se le vere condizioni per la vendita delle obbligazioni
fossero state comunicate al mercato, ciò avrebbe causato un serio contraccolpo
nel prezzo di vendita degli altri bonds».
Dal pm milanese Francesco
Greco, poi, è partita la precisa accusa, a carico dell’UBS, di aver cercato di
«manipolare i prezzi del mercato circa le garanzie Parmalat». Passiamo alla
quarta sigla che ha cercato di acquistare i crediti Parmalat addirittura al 140
per cento. Ovvero Fast Finance. Il cui azionariato, pari a 1 milione e passa di
euro, è tutto da scoprire. Vediamolo. In prima fila alcuni palazzinari
bolognesi, la famiglia Di Stefano (Alvise e Jacopo), a bordo delle srl Nadus e
Opera Immobiliare; il cesenate Lamberto Tavoli, in sella alla sua Montecristo
(ovviamente immobiliare); Finross, spa che vede nel suo multiforme parterre
societario, oltre ai fratelli Rossetti, anche la supergettonata Tamburi
Investiments Partenrs spa. Nell’azionariato di Fast Finance fanno anche capolino
la fiduciaria Sofir e la controllata Blu Opportunità.
Non è certo finita qui: perché
la vasta platea azionaria conta su altre due sigle eccellenti, che - guarda caso
- ci portano in Campania.
La Gallo e C.
spa, super consulente del gruppo Ambrosio, un tempo leader nel grano che ha
portato alla voragine del Banco di Napoli poi finito in crac, svenduto alla
Banca Nazionale del Lavoro per 60 miliardi di vecchie lire (neanche il prezzo di
un Adriano qualunque, il centravanti dell’Inter) e poi “rivenduto” per quasi
cento volte tanto all’Imi-San Paolo, tanto per coprire qualche buco made in
Atlanta (non quella di Bergamo…). Ed Em.ro., cioè la cassaforte delle Popolari
emilian-romagnole, nel cui azionariato fanno capolino svariate banche del centro
sud: quelle di Sardegna, del Materano, di Foggia, dell’Aquila, di Crotone, di
Lanciano e Sulmona, di Ravenna, per finire in gloria con
la Banca della
Campania.
DALL’IRPINIA A MANAGUA
Una storia da raccontare, quella di Banca della Campania, che
la Voce ha
cominciato a ricostruire alcuni mesi fa. Nata dalla fusione delle Popolari
dell’Irpinia (super sponsorizzata negli anni ’80 e ‘90 dai redivivi Ciriaco De
Mita e Nicola Mancino) e di Salerno, è finita a sua volta sotto l’ombrello della
BPER, ovvero
la Banca Popolare
dell’Emilia e Romagna.
Cosa hanno fatto poi i suoi vertici? Un’operazione in perfetto stile Parmalat.
Per non dire di più. «Hanno venduto sul mercato strane obbligazioni - racconta
un imprenditore irpino - tutto il gruppo ha cartolarizzato crediti per oltre 10
mila miliardi di vecchie lire. Crediti contestati per almeno la metà, quindi
difficilmente esigibili». Fatto sta che Bper ha ceduto i “presunti” crediti ad
una sua creatura, Mutina, passando per strane “operazioni” presso notai
londinesi. E chi le ha comperate, quelle obbligazioni, ora che fine farà?
Staremo a vedere…
Intanto, un altro, ennesimo
mistero, non è stato ancora chiarito: ma il tesoro di Tanzi dove è finito? Lo
007 Bondi sta rastrellando crediti a destra e a manca; il malloppo, però, pare
ancora al rifugio in paradisi esteri. Ricordate il viaggio-premio natalizio di
Tanzi nelle Americhe al primissimo scoppiar del crac? Quel viaggio, ancora oggi,
non è stato decifrato. Almeno un paio le mete. Una forse per depistare, l’altra
con ogni probabilità per “collocare” la cassaforte. Dopo una prima sosta,
“culturale”, “per girar musei” a Madrid - come spiegò subito Tanzi - via alla
volta dell’oceano. Tappa in Ecuador, scalo a Quito. Per ritrovare vecchi amici e
visitare scavi e archeologie. Ma il “vuoto temporale” è un po’ troppo ampio. Tre
mesi dopo, alla redazione della Voce arrivò un’informativa zeppa di dati,
luoghi, nomi e circostanze. La tappa vera, quella per incontrare le persone
giuste, sarebbe stata Managua, capitale del Nicaragua, dove esisteva una forte
Parmalat Nicaragua, una delle svariate consorelle sparse al caldo dei tropici.
Lì - veniva assicurato - c’era lo scrigno proveniente da Collecchio.
Qualcuno ha fatto qualcosa per
trovarlo?
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