In questi giorni ed in queste ore, in cui i titoli di stato europei sono
sotto il bersaglio dei mercati finanziari (quelli di Grecia, Irlanda,
Portogallo in maniera pesantissima, quelli di Spagna, in maniera grave,
quelli Italiani in maniera pesante, ma anche Francia e Inghilterra stanno
vedendo allargamenti degli spread con il BUND sebbene in maniera lieve, se
paragonati agli stati citati precedentemente) mi domandano sempre più
spesso se i titoli di stato italiani siano rischiosi e quindi se è bene
liberarsene.
Voglio dire immediatamente, in estrema sintesi e senza giro di parole,
come la penso: vendere titoli di stato italiani oggi sarebbe, a
mio modesto parere, un errore. Proviamo ad articolare meglio
questo concetto.
Il termine "rischio" è una delle espressioni più ambigue. Per gli
investitori con il termine "rischio" ci si riferisce alla probabilità di
perdere soldi, per gli "esperti" lo stesso termine assume svariate
sfumature, ma tutte riassumibili nel concetto di oscillazione dei prezzi.
Dal punto di vista dei gestori di fondi comuni d'investimento, e più in
generale dei gestioni professionisti, i titoli di stato periferici sono
diventati un'asset class decisamente rischiosa. Le probabilità che nel
breve termine le oscillazioni dei prezzi di questi titoli aumentino sono
chiaramente elevate. E' evidente che questi titoli sono "sotto assedio",
finanziariamente parlando.
A fine dicembre, per molti gestori sarà il momento di trarre i
bilanci sull'andamento dei loro portafogli rispetto ai famigerati "benchmark",
ed avere in portafoglio molti titoli di stato europei dei Paesi periferici
può essere, dal loro personalissimo punto di vista, una pessima idea.
E' possibile (io dico: probabile) che per il rendimento di lungo termine
del portafoglio, avere questi titoli possa essere un'ottima idea, ma se le
valutazioni di breve periodo vanno male, il gestore rischia seriamente di
non essere lui a beneficiare, perché non sarà più il gestore di quel
portafoglio.
Questo è uno dei tanti paradossi della finanza, gli intermediari
finanziari raccomandano ai propri clienti di vedere le cose nel lungo
termine, ma poi loro sono i primi ad estremizzare le valutazioni (e le
scelte) di breve termine.
Ma torniamo al problema dei titoli di stato italiani, o meglio della
sostenibilità del debito pubblico italiano. Il debito pubblico
italiano è molto grande, ma sostenibile.
Sia chiaro, non sto sottovalutando il problema. Speriamo (ma purtroppo
siamo un po' pessimisti in tal senso) che questa crisi finanziaria faccia
finalmente capire alla classe politica che il rientro dal debito pubblico
(attenzione: non semplicemente il contenimento del deficit, ma il rientro
del debito pubblico) dovrebbe essere il primo punto di qualsiasi governo,
qualunque sia il colore politico.
Naturalmente il debito pubblico è sostenibile prima di
tutto se la nazione cresce economicamente. Se il rientro dal
debito è compiuto in maniera troppo aggressiva, ciò potrebbe minare la
crescita economica vanificando l'obiettivo.
L'equilibrio non è facile da
trovare, ma non v'è dubbio che i governi che si sono susseguiti negli
ultimi decenni (ancora una volta, non è un problema di colore politico)
non ci si sono neppure provati (salvo qualche piccola parentesi).
Sebbene la classe politica, complessivamente considerata, non stia
apportando il suo contributo alla soluzione del problema del debito
pubblico, la situazione attuale è del tutto gestibile.
Non è ragionevole, quindi, ipotizzare un default del debito pubblico
italiano né qualunque forma di ristrutturazione dei titoli già emessi.
Abbiamo già scritto molto, in passato, su questo tema. Rimandiamo, per
approfondimenti, in particolare a questi articoli:
-
Il debito pubblico italiano è sostenibile?
-
Esiste un forte rischio di default dei titoli di stato italiani?
Il concetto fondamentale è che l'Italia ha una gestione tecnica del
debito pubblico, fatta dal tesoro, molto buona. La suddivisione per le
scadenze e per il tipo di creditore (interno ed esterno) è solida, inoltre
lo stock di risparmi degli italiani è decisamente buono. Tutti questi
fattori rendono improbabile una carenza di liquidità del tesoro.
Il prossimo anno sono in scadenza circa il 18% dello stock complessivo (in
linea capitale) di debito pubblico. Nel 2012, circa il 12%. Nel 2013,
circa l'8%. Nel 2014, circa il 5%, ecc. Nei prossimi 10 anni scadrà poco
più della metà del debito pubblico. Circa un'altra metà di debito pubblico
scade fra 10 e 30 anni. Come si può vedere gli effetti dell'innalzamento
dei rendimenti richiesti dal mercato per il debito pubblico italiano si
ripercuoterebbero in maniera molto graduale sull'intero debito.
Questo rende molto difficile che la pressione speculativa in corso possa
generare un danno talmente rilevante da mettere in pericolo l'equilibrio
dei conti pubblici.
E' molto più probabile, a nostro avviso, che alcuni speculatori si
brucino le mani.
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