Un buona legislazione per i mercati finanziari è importante non solo
per quello che dice, ma anche per i messaggi che lancia ai diversi attori che
con la finanza hanno a che fare: intermediari, investitori, imprese, autorità di
vigilanza. Soprattutto quando c’è una gran bisogno di massicce iniezioni di
fiducia, dopo gli ormai noti salassi per migliaia di risparmiatori. La legge
approvata dalla Camera fallisce completamente questo fondamentale obiettivo.
La trasparenza come bene pubblico
Non si possono certo nascondere alcune positive innovazioni della
legge, ad esempio nel funzionamento della governance societaria, nel
rafforzamento delle garanzie di indipendenza di chi fornisce informazioni ai
mercati (i revisori dei conti), nell’irrobustimento dei presidi contro
l’utilizzo a fini elusivi di società collocate nei paradisi fiscali. Così come
l’estensione degli obblighi di trasparenza dovrebbe in futuro agevolare la
vendita e la circolazione di prodotti dei quali gli investitori conoscano bene
le caratteristiche e soprattutto la reale rischiosità. Ma questi importanti
interventi sono di fatto offuscati dai tre pericolosi "messaggi" che il
nostro legislatore ha voluto, con alcuni improvvisi voltafaccia e spericolate
piroette, lanciare ai mercati. Il primo messaggio è che la trasparenza
come fondamentale "bene pubblico" non merita, alcuna valorizzazione
attraverso un adeguato ed efficiente apparato sanzionatorio, al contrario di
quello che avviene in tutti i paesi più maturi. L’indebolimento
della sanzione penale sul falso in bilancio , non soltanto
corre il rischio di incidere sulla qualità dell’informazione societaria,
ma manda un preciso e inequivocabile avvertimento agli investitori sulla fiducia
da riporre nella veridicità dei dati contabili delle società alle quali affidano
le proprie risorse. In un contesto di sempre maggiore competitività tra
ordinamenti e nel quale noi vantiamo qualche brutta figura, per usare un
eufemismo, il nostro mercato finanziario è destinato ad avviarsi verso un triste
ruolo di marginalità. O forse, è meglio dire di declino.
L’organizzazione della vigilanza e la concorrenza bancaria
Il secondo messaggio è che in Italia non è possibile varare una seria
riorganizzazione delle competenze di vigilanza. Nella maggior parte dei
sistemi europei ed extraeuropei lo si è fatto, in base alla semplice e più che
giustificata convinzione che per tutelare il risparmio è necessario avere
assetti istituzionali efficienti, in grado di fronteggiare i continui mutamenti
nei mercati finanziari. Proprio le diffuse esperienze estere smentiscono
clamorosamente tutti coloro che si trincerano dietro la presunta assenza di
qualsiasi rapporto tra riforma delle autorità e protezione degli investitori,
nel tentativo, peraltro perfettamente riuscito, di bloccare ogni possibile
intervento. Dopo numerosi quanto inutili proclami, il nostro legislatore non
solo ha deciso di lasciare in sostanza tutto come prima, ma per certi versi ha
ulteriormente aumentato la confusione. Giustamente, si prevede, il rafforzamento
della collaborazione e del coordinamento fra le diverse autorità, che però sono
destinati a rimanere lettera morta in assenza di una drastica semplificazione (e
chiarificazione) delle relative competenze. Anche le scelte sui punti dolenti
della concorrenza bancaria e della durata del mandato del governatore
lanciano un segnale inequivocabile. Le acquisizioni bancarie rimangono ancora
esposte a un utilizzo discrezionale dei poteri autorizzativi delle autorità di
vigilanza non in funzione di ragioni di stabilità, ma in base a criteri di
privilegio a favore dell’una o dell’altra ipotesi di aggregazione, che nulla
hanno a che vedere con le necessarie garanzie di sana e prudente gestione delle
banche. E risulta del tutto incomprensibile, il rifiuto di una banale e
normalissima misura di igiene per il buon funzionamento di qualsiasi autorità
(in verità di qualsiasi organismo) come il limite temporale di durata del
mandato del governatore, oltretutto demandato alla stessa autorità.
Diventa allora inevitabile rivolgere il pensiero alla impossibilità di qualsiasi
riforma che si scontri con consolidate ed estese alleanze di interessi, volte
unicamente alla pura e semplice conservazione dell’esistente. Forse, e ancora
una volta, dovremo aspettare l’evoluzione del quadro comunitario, con la sempre
più evidente esigenza di superare le giurisdizioni delle singole autorità per
avere regole omogenee nel mercato unico, per vedere all’orizzonte qualche
novità.
I conflitti di interesse e gli assetti proprietari
Il terzo e ultimo messaggio negativo riguarda i conflitti di interesse. Se
hanno rappresentato e tuttora rappresentano una costante minaccia per un
corretto e trasparente funzionamento dei mercati finanziari, non possono e non
debbono divenire l’occasione per il ripristino di ormai obsoleti e rigidi
vincoli all’operatività degli intermediari. La legge approvata dalla Camera
consente, infatti, alle autorità di vigilanza di imporre alle banche la
separazione societaria, tra attività bancaria e altri servizi di
investimento. Una simile imposizione sarebbe in contrasto con le norme del Testo
unico bancario che, in attuazione delle disposizioni comunitarie, hanno
introdotto il modello di banca universale sul presupposto che l’ordinamento deve
comunque rimanere neutrale rispetto alle scelte organizzative delle imprese.
Oltretutto, e l’esperienza dei conglomerati finanziari lo dimostra, i grandi
gruppi diversificati sono spesso più opachi e meno controllabili rispetto alle
organizzazioni multidivisionali: la separazione societaria potrebbe, in
sostanza, rappresentare una medicina molto onerosa e con poche qualità curative.
Anche il tentativo di prevenire il conflitto di interessi tra banca e industria
attraverso vincoli di finanziamento agli imprenditori che partecipano al
capitale degli intermediari è rischioso. Da un lato, può produrre effetti
contrari a quelli desiderati - si commisura il finanziamento alla dimensione
della partecipazione e non al reale merito creditizio. Dall’altro, e qui risiede
il vero messaggio negativo, contribuisce ad allontanare l’azionariato
industriale delle banche. Azionariato che può invece avere effetti positivi
sulla dinamicità degli assetti proprietari del sistema creditizio, se coniugato
con un rafforzamento dei limiti prudenziali già previsti dalla legislazione
vigente e dalle norme di vigilanza. Visto che le banche estere si trovano la
strada sbarrata in omaggio alla promozione dei "campioni nazionali", eliminare
dal terreno di gioco anche gli industriali significherebbe, lasciare il campo al
ruolo predominante delle fondazioni bancarie, libere di continuare a
tessere indisturbate la loro ben nota ragnatela.
La strada è ancora lunga
La "tutela del risparmio" (così si intitola la legge) si realizza con regole
efficaci e severe e soprattutto generando fiducia in un funzionamento
trasparente e competitivo dei mercati finanziari. I preoccupanti segnali
lanciati dal legislatore testimoniano che è una strada ancora lunga e lastricata
di molti e in alcuni casi insormontabili ostacoli.
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