Nucleare? No grazie. Per fermare la febbre del
pianeta e ridurre la bolletta energetica italiana la soluzione "più
immediata, economica e sostenibile è fondata sul risparmio, sull'efficienza
energetica e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili". E' quanto hanno
affermato Greenpeace, Legambiente e WWF questa mattina a Roma presentando le
ragioni della loro contrarietà all'atomo, in una conferenza stampa.
Secondo le tre associazioni ambientaliste non è vero che il
nucleare costa poco. Gran parte del costo dell'elettricità da nucleare è
infatti legato al costo di investimento per la progettazione e realizzazione
delle centrali, che è almeno doppio di quanto ufficialmente dichiarato, e
richiede tempi di ritorno di circa 20 anni. Se a questo si considerano anche
i costi di smaltimento delle scorie e di decommissioning degli impianti i
costi diventano addirittura poco calcolabili. In una nota stampa le
associazioni sottolineano che "dove il kWh da nucleare costa apparentemente
poco è perché lo Stato si fa carico dei costi per lo smaltimento definitivo
delle scorie e per lo smantellamento delle centrali. E sono proprio queste
spese ad aver scoraggiato gli investimenti privati negli ultimi decenni".
Inoltre, il nucleare in Italia non consentirebbe di ridurre
la bolletta energetica. Le associazioni spiegano questo punto sulla base
delle ultime stime del DOE statunitense che rilevano come il costo
industriale dell'elettricità da nucleare da nuovi impianti sia più alto
rispetto alle fonti tradizionali. Tra costo industriale e sussidi per
sostenere il nucleare il costo raggiunge circa gli 80 dollari al MWh. "Per
renderlo un pezzo consistente - spiegano le associazioni - della produzione
energetica nazionale occorrerebbe costruire da zero tutta la filiera, con un
immenso esborso di risorse pubbliche. Servirebbero almeno 10 centrali, per
un totale di 10-15mila MW di potenza installata, e tra i 30 e i 50 miliardi
di euro di investimenti (con il forte rischio di sottrarre risorse allo
sviluppo delle rinnovabili e dell'efficienza energetica), senza dimenticare
gli impianti di produzione del combustibile e il deposito per lo smaltimento
delle scorie".
Greenpeace, Legambiente e WWF affermano che il nucleare
non solo "non è la risposta ai cambiamenti climatici e ma che oggi ancora
non è sicuro". "Scegliere l'opzione nucleare significherebbe mettere una
pietra tombale su qualsiasi prospettiva di riduzione delle emissioni di
CO2". Sulla sicurezza degli impianti ancora oggi, a oltre 22 anni
dall'incidente di Chernobyl, non esistono garanzie per l'eliminazione del
rischio di incidente nucleare e la conseguente contaminazione radioattiva.
Nella migliore delle ipotesi discusse a livello internazionale, con esiti
positivi di tutti i possibili sviluppi tecnologici attualmente in fase di
ricerca, si parla del 2030 per vedere in attività la prima centrale di
quarta generazione.
Infine, "non esistono ad oggi soluzioni concrete al problema
dello smaltimento dei rifiuti radioattivi derivanti dall'attività degli
impianti o dalla loro dismissione. Le circa 250mila tonnellate di rifiuti
altamente radioattivi prodotte finora nel mondo sono tutte in attesa di
essere conferite in siti di smaltimento definitivi. Lo stesso vale
ovviamente anche per il nostro Paese che conta secondo l'inventario curato
da Apat circa 25mila m3 di rifiuti radioattivi, 250 tonnellate di
combustibile irraggiato, a cui vanno sommati i circa 1.500 m3 di rifiuti
prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria e i circa 80¬90mila m3
di rifiuti che deriverebbero dallo smantellamento delle nostre 4 centrali e
degli impianti del ciclo del combustibile".
http://www.helpconsumatori.it
Archivio Rischio Nucleare
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