Tra il discorso di Berlusconi alla Camera, e le dichiarazioni
dei ministri Tremoni e Scajola, emergono le idee e le intenzioni del nuovo
governo in campo energetico. Prima di tutto non c'è la scelta dello sviluppo
sostenibile. Sulle politiche energetiche ed ambientali non solo si è manifestata
un'assoluta inadeguatezza ma si sono ascoltati indirizzi culturali ed economici
sbagliati e dannosi. Non si è preso un impegno serio (obiettivi e proposte) per
la riduzione della CO2 e non si sono riproposti gli obiettivi europei (meno 20%
di CO2, più 20% di energia da fonti rinnovabili, più 20% di risparmio).
Del resto, solo due anni fa, l'altro governo Berlusconi si era distinto per le
sue inadempienze nel rispetto del trattato di Kyoto. In pratica, il programma di
governo è alquanto indefinito e con indirizzi non all'altezza della situazione
dell'Italia. In particolare, il nucleare di Berlusconi è una strada sbagliata,
per la ricerca scientifica, le imprese, l'occupazione, le famiglie e l'ambiente
Nel presentare il suo governo alle Camere Berlusconi ha dato sfoggio di numerose
fallacie argomentative e falsità concettuali. Ad esempio, ha affermato che non
c'è alcuna contrapposizione tra sviluppo e ambiente, come se il degrado
ambientale non dipendesse dal modello di sviluppo, e in particolare da quel
modello di sviluppo che mostra di voler continuare ad adottare. Il salto nel
passato il premier lo fa invece riproponendo il nucleare come scelta
"indispensabile" per soddisfare la domanda di energia. Anche qui, c'è più di una
fallacia argomentativa. Sul terreno della tecnologia il discorso è semplice: il
cosiddetto nucleare "sicuro", quello di quarta generazione, ancora non c'è. Il
problema scorie non è risolto, continuano ad essere una pericolosa fonte di
inquinamento radioattivo, e non si sa dove metterle.
Per l'Italia i costi sono alti e non competitivi. Certo, la ricerca scientifica
è in azione, andrebbe aiutata con fiducia, ma per ora ci viene riproposto il
vecchi modello nucleare, senza aiuti alla ricerca. Una scelta di ritorno al
passato, quindi, che è e rimane un azzardo costoso, socialmente difficilmente
gestibile e con tempi di realizzazione talmente lunghi da non essere affatto
utili ad affrontare la crisi energetica. Ad essere sbagliata, infatti, è la
strategia energetica che si propone per l'Italia. Con il costo del barile di
petrolio alle stelle, urgono profondi cambiamenti per fuoriuscire dal petrolio e
più in generale dalle fonti fossili.
Nel 1973, nella prima crisi petrolifera, l'alternativa al petrolio fu cercata
nel nucleare. Oggi, nell'immediato, ci sono valide alternative come il gas e il
risparmio energetico e, nel medio e lungo periodo, le fonti rinnovabili (fotovoltaico,
eolico geotermia). L'Italia non ha più una base industriale né una tecnologia
nucleare. La prima dovrebbe essere ricostruita e per fare una base industriale
buona ci vogliono vari decenni; la seconda andrebbe importata dall'estero, con
gravi costi e chissà quale contropartita per chi la fornirebbe. Con buona pace
per chi sostiene che il nucleare ci renderebbe indipendenti dall'estero.
I costi preventivati dagli "esperti" pro nucleare sono altamente ottimistici. I
sette anni dichiarati per la costruzione delle centrali non sono realistici. La
centrale nucleare francese in costruzione in Finlandia è già in ritardo di 2
anni (con gravi costi supplementari) e non è ancora pronta. Circa i tempi/costi
di realizzazione di un impianto di vecchia concezione, esiste un recente studio
del MIT, dove si sostiene che i tempi effettivi di costruzione sono di 109 mesi,
senza contare le autorizzazioni.
In un paese come l'Italia paralizzato da ritardi cronici, burocrazia, veti
politici, interessi lobbistici, i tempi e quindi i costi sono destinati a
gonfiarsi a dismisura. Tutto sarebbe ovviamente a spese del debito pubblico o
del cittadino. Di argomenti a sostegno della difficoltà a percorrere il cammino
del nucleare ce ne sarebbero ancora, primo tra tutti l'aumento esponenziale del
costo dell'Uranio e del suo rapido esaurirsi, poichè è un materiale molto raro,
più del petrolio.
Da altri studi, poi, è emerso che il costo di chiusura delle centrali nucleari
da dismettere non è valutabile con precisione e rischia di essere molto più
salato del previsto. Guardiamo allora cosa succede all'estero. La Francia, ad
esempio, rinvia il problema dilatando il periodo di servizio da 30 a 40 anni e
forse addirittura a 60 anni. Con un rischio per la sicurezza non calcolabile. Il
fatto è che il rischio ricade sulla testa di chi si troverà lì tra 60 anni.
Insomma, la volontà governativa, introdotta da Berlusconi e apertamente
dichiarata dal ministro Scajola, di riproporre le centrali nucleari sembra
rispondere a una logica di centralizzazione del controllo energetico da parte
della politica, ma con una privatizzazione selvaggia del mercato dell'energia
come quella italiana, il vero potere sull'energia sarebbe ancora una volta nelle
mani di investitori esteri.
Pertanto, in Italia, scegliere il ritorno al nucleare rappresenterebbe
esattamente un modello pesante, con grandi imprese oligopolistiche, sicurezza
non risolta, bollette più care per le famiglie, minore occupazione. Un modello
che non è proprio indispensabile, anzi è una strada sbagliata.
Oggi, in Italia, unico paese d'Europa a stare su tali livelli, produciamo oltre
il 60% dell'elettricità bruciando gas. Un combustibile molto costoso perché il
suo prezzo è legato a quello del petrolio. Per di più, circa il 90% del gas di
cui abbiamo bisogno viene importato. Proviene in gran parte da Russia e Algeria,
attraverso due soli gasdotti. Circa metà del gas che consumiamo in Italia viene
usato nelle centrali termoelettriche. È questa dipendenza da un solo
combustibile che va ridotta, se vogliamo avvicinare i prezzi dell'energia
elettrica italiana a quelli europei, diversificando le fonti attraverso il
ricorso alle fonti rinnovabili, come avviene in tutto il mondo. Ci sarebbe
quindi bisogno d’investimenti per diversificare le fonti sia geograficamente che
per tecnologia.
L'industria italiana, da questo punto di vista, non è certo indietro rispetto ai
tempi, basta pensare ad un piano messo a punto da Enel che prevede investimenti
per 7,4 miliardi di euro fino al 2012. Di questi 6,8 miliardi di euro saranno
destinati alla crescita nelle fonti rinnovabili, soprattutto l'eolico, mentre
600 milioni di euro sosterranno i progetti di ricerca, dall'idrogeno al solare
termodinamico, Con questi investimenti programmati, Enel prevede di essere in
grado di raggiungere una capacità di produzione con la forza dell'acqua, del
sole e del vento che dagli attuali 3.112 Megawatt passi a 7.382 Megawatt in
quattro anni. Peccato che nel frattempo la politica abbia scelto una strada
diametralmente opposta.
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