In Bielorussia sette milioni di persone ancora a
rischio di contaminazione. Le rivelazioni del dossier di Legambiente
presentato oggi nella capitale belga. E l'associazione manifesta contro
il nucleare davanti al Parlamento europeo
Cernobyl chiama Bruxelles. L’urgenza è di cominciare a valutare
gli effetti non solo e non più sulla popolazione colpita dal fall-out ma
anche sulle nuove generazioni. La necessità è di uscire definitivamente dal
nucleare per un’energia sostenibile. Nell’ambito della Settimana per
l’energia sostenibile dell’Unione europea, Legambiente e Gruppo
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dei Verdi/ALE al Parlamento europeo hanno presentato, in una conferenza
stampa congiunta, il dossier dell’associazione ambientalista sulle nuove e
preoccupanti conseguenze del più grave incidente nucleare della storia.
Sette milioni di persone sono ancora esposte al rischio di
contaminazione da isotopi a lungo decadimento e non vi è stata nessuna
riduzione del territorio interessato dagli effetti ambientali. Le
caratteristiche degli elementi presenti nel terreno richiedono, però,
maggiori gradi d’approfondimento, e le conseguenze sanitarie pongono quesiti
mutati da quelli iniziali, con patologie diverse da quelle tumorali.
Legambiente promuove, dal 2000, diverse campagne d’indagine scientifica in
Bielorussia. Con la collaborazione dell’ARPA Emilia Romagna ha realizzato un
Progetto di monitoraggio radiometrico in alcune province della Regione di
Gomel, per verificare i livelli di radioattività a cui la popolazione è
tutt’ora esposta; progetto condiviso con l’Ente statale “Centro repubblicano
di controllo radioattivo e monitoraggio” (RCRKM) di Minsk. Con la
collaborazione del Policlinico di Modena, l’Azienda Usl 9 di Grosseto e
l’associazione Help in Bielorussia ha realizzato, invece, il Progetto
dell’ambulatorio mobile, con l’obiettivo di mettere in piedi un sistema in
grado di effettuare interventi di prevenzione e di diagnosi precoce su
tumori e patologie tiroidee in zone remote.
La stima delle sostanze radioattive disperse nell’ambiente al momento
della deflagrazione e del successivo incendio parla di un miliardo di
miliardi di bequerel: una situazione pressoché immutata. La maggiore fonte
di pericolo arriva, oggi, dal cibo prodotto nelle aree colpite
dall'esplosione, in cui si registrano alte quantità di Cesio 137 e sono
circa 4.000 le persone che potrebbero ancora morire per l'esposizione alle
radiazioni dovute all'incidente. «Le matrici alimentari presentano valori di
Cs137 pressoché
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costanti, indipendentemente dalla zona di prelievo in Bielorussia
meridionale – ha spiegato Lucia Venturi, responsabile scientifico di
Legambiente -. Nelle patate si trovano valori di concentrazione di Cs137 in
media pari a 4 Bq/kg, con un massimo rilevato nel villaggio di Marhlevsc (13
Bq/kg), mentre nel latte e nel pesce di fiume si mantiene rispettivamente
intorno a 5 Bq/L e 18 Bq/kg. Nella carne bovina i valori variano fra 6 e 17
Bq/kg. Il dato di Cs137 rilevato nella selvaggina conferma il pericolo della
caccia nelle zone più contaminate».
Così Monica Frassoni capogruppo dei Verdi/ALE al Parlamento europeo «La
Commissione farebbe bene a non cedere alle sirene che cantano di un nuovo
rinascimento del nucleare, mascherato da espressioni come 'tecnologia a
basso carbonio' – ha detto Monica Frassoni, - . Eventi come quello di
Cernobyl devono ricordare a tutti la pericolosità di questa forma di
produzione energetica».
Legambiente ha spiegato inoltre i motivi che l’hanno spinta a
interrompere la sua campagna d’accoglienza dei bambini di Cernobyl in
Italia. «Dopo 13 anni e oltre 25.000 bambini ospitati – hanno detto Angelo
Gentili, responsabile del progetto Cernobyl di Legambiente e Roberto
Rebecchi, responsabile cooperazione di Legambiente Solidarietà – vogliamo
dare un forte segnale di discontinuità verso una politica dell’accoglienza
che presenta lacune e limiti preoccupanti, e concentrarci invece sui
progetti di cooperazione e risanamento in loco. Sono 298.000 i bambini
residenti in zone contaminate della Bielorussa che avrebbero diritto a
progetti di risanamento sul territorio nazionale o all’estero, per uno o due
mesi all’anno a seconda del livello di contaminazione del luogo di
residenza. Nel 2005 solo il 18,79% di loro ha beneficiato di un soggiorno
all’estero. E’ evidente quanto sia elevato il numero di bambini rimasti
esclusi da questi programmi».
Rischio Nucleare
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