La
notizia è di quelle che non dovrebbero passare
inosservate. Le parole del cardinale Raffaele Martino non
danno luogo ad equivoci: "Come membro dell’Aiea, la Santa
Sede aderisce ai programmi per l’uso pacifico dell’energia
atomica". Martino, presidente del Pontificio Consiglio
Giustizia e Pace, continua affermando che "la deterrenza
non può continuare all’infinito; si può accettare che
scoraggi, ma se si continua questo non è più accettabile",
senza citare però esplicitamente né il caso dell’Iran né
quello della Corea del Nord. "Quando ero osservatore
vaticano alle Nazioni Unite", ha ricordato il cardinale,
"non ho fatto che sbraitare, raccomandando che le armi
nucleari non dovevano essere portate nel nuovo millennio”.
Rispondendo alle domande dei giornalisti nella conferenza
stampa di presentazione del Messaggio per la Giornata
della Pace, Martino ha poi rilevato che "recentemete la
Russia ha deciso di smantellare le testate nucleari
insieme agli Stati Uniti, resta però l’energia che
potrebbe essere usata o venduta per le centrali termiche".
Secondo Martino, "la questione dell’energia alternativa
deve preoccupare il mondo intero perché le fonti non sono
eterne".
Eppure, vista l'attività presso le Nazioni Unite, Martino
certamente sa bene che la filiera di produzione nucleare è
unica: non c'è alcuna reale distinzione industriale tra la
produzione di materiale fissile ad uso civile e quella ad
uso militare.
Nonostante questo, in una fase storica nella quale il
mondo è diviso in due, tra Paesi che rinunciano all'uso
del nucleare - Spagna in testa - e Paesi dove si cerca di
introdurla - come l'Italia - il Vaticano prende una
posizione netta, a favore di una produzione energetica,
anche prescindendo dal possibile uso militare, che non
costituisce un ciclo chiuso, che lascia scorie per le
quali non sono state ancora trovate soluzioni adeguate di
smaltimento. Potrebbe risultare strano, in questo
particolare momento caratterizzato da tensioni riguardanti
il nucleare sparse su tutto il pianeta, che la Santa Sede
prenda posizione in tal senso.
A prescindere dai rischi di incidenti negli impianti
civili, c’è sempre da ricordare che ogni produttore di
nucleare ad uso civile è anche produttore di nucleare
militare, e basterebbe un conflitto nucleare di piccola
scala per danneggiare il clima globale per almeno dieci
anni, provocando effetti ambientali devastanti per ognuno
di noi.
A paventare questo scenario sono stati gli scienziati del
Centro di previsione ambientale degli Stati Uniti. Il
direttore dell’istituto Alan Rebock, insieme ad alcuni
colleghi, ha prodotto una serie di simulazioni al computer
osservando le potenzialità di uno scontro nucleare tra due
Paesi presenti nella stessa regione, ad esempio tra India
e Pakistan. Se entrambi dovessero impiegare 50 bombe
nucleari ai danni delle città dell’altro Paese, si
genererebbe una quantità di fumi e scorie tale da causare
un crollo della temperatura di 1,25 gradi non solo in
Asia, ma anche in America del Nord e in Europa.
Anche al di là degli scenari militari, restano aperti
mille interrogativi sull'uso civile dell'energia nucleare.
E non appare casuale che la dichiarazione del cardinale
sia avvenuta a conclusione di un seminario internazionale,
che il Consiglio di cui è presidente ha convocato in
collaborazione con l’ambasciata dell’Ucraina nel
ventennale dell’esplosione di Chernobyl.
A 20 anni dal più grave incidente nucleare della storia,
forse migliaia di persone, compresa la galassia
dell’associazionismo cattolico di base, si sarebbero
aspettate una dichiarazione diversa.
A chi gli chiede come mai un esponente vaticano si
pronunci a favore del nucleare proprio a vent’anni da
quella tragedia, il cardinale risponde che la Santa Sede è
stata sempre favorevole al nucleare civile e ricorda che
essa fu nel 1957 tra i fondatori dell’Agenzia
Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA). In particolare
Martino rimanda al paragrafo 470 del Compendio della
dottrina sociale della Chiesa, che sulla questione
energetica invita la comunità scientifica a "continuare
nel triplice impegno di identificare nuove fonti
energetiche, sviluppare quelle alternative ed elevare i
livelli di sicurezza dell’energia nucleare".
Nelle conclusioni del Seminario, il cardinale ha esortato
la Comunità internazionale a fornire un aiuto concreto
all’Ucraina, auspicando anche "un approccio non ideologico
al tema dell’energia nucleare per uso civile". "Non
ideologico", ha spiegato, nel senso di "pragmatico, non
guidato da preconcetti pro o contro", e tenendo conto
anche della crisi energetica.
Pur rimanendo su un piano pragmatico, e non ideologico, il
nucleare ad uso civile lascia aperti mille interrogativi:
non solo per quanto riguarda le scorie radioattive, ma
anche - se non soprattutto - circa la sicurezza degli
impianti. Argomenti sui quali, si spera, il cardinale
vorrà documentarsi.
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