Il quadrimotore B-29 battezzato Enola Gay dal nome
della madre del suo comandante, il colonnello Paul W.
Tibbets, era partito alle 2.45 del 6 agosto 1945 dalla
pista di Tinian, nelle isole Marianne.
Con il B-29 di Tibbets erano partiti altri due aerei,
muniti di apparecchiature per rilevare gli effetti
prodotti dallo scoppio; a loro volta i tre quadrimotori
erano stati preceduti da altri ricognitori, che avevano il
compito di segnalare a Tibbets, in base alle condizioni
atmosferiche, su quale delle 4 città individuate come
possibili obiettivi occorreva dirigersi.
A bordo sapevano di portare un carico eccezionale, come
eccezionali erano le disposizioni date per quel
bombardamento, diverso dai precedenti. Tra le misure
prescritte c'era quella di indossare, alcuni attimi prima
del lancio, occhiali scurissimi da tenere fino ad
esplosione avvenuta. La contraerea giapponese non entrò in
azione, si trattava di un solo aereo, ad altissima quota.
A quota talmente elevata da non potere fare danni, con
delle bombe convenzionali. Non fu neanche azionato
l'allarme antiaereo per allertare la popolazione civile.
Di solito, gli aerei americani che volavano a quote così
alte erano dei semplici ricognitori.
Alle 8, 15 minuti e 17 secondi, Little boy, questo
il nomignolo dato alla prima bomba ad uranio 235, fu
lasciato cadere dalla stiva del B-29. L'obbiettivo,
individuato dal maggiore Thomas Ferebee, era il ponte Atoi
sul fiume Otha, nella città di Hiroshima, città sulla
costa sud-occidentale di Honshu, l'isola principale del
giappone, con poco meno di 400.000 abitanti.
Il maggiore Ferebee vide l'ordigno uscire dalla stiva e
puntare verso terra, del tutto simile ad una grossa bomba
convenzionale, mentre l'aereo, improvvisamente alleggerito
di cinque tonnellate, veniva sbalzato verso l'alto e
Tibbets cominciava un'ampia virata per allontanarsi il più
possibile dalla zona dell'esplosione.
L'equipaggio dell'Enola Gay racconterà più tardi di
aver visto, parecchi chilometri sotto di loro, un punto di
luce rosso porpora che si allargò ad una velocità
impressionante, diventando un'enorme palla color fuoco,
che fece impallidire la luce del sole, già alto nel cielo.
Poi, con una successione rapidissima, il globo a sua volta
esplose in una "massa smisurata di fiamme e nubi",
con una colonna bianca proiettata verso l'alto, tra anelli
di nebbia: a 3000 metri la colonna si allargò in un fungo
mostruoso, che in breve arrivò a 15.000 metri d'altezza.
Qualche migliaio di metri più in basso, Hiroshima non
esisteva più. Little boy era scoppiato a circa 600
metri dal suolo. Gli abitanti ebbero appena il tempo di
percepire un bagliore accecante e subito un colpo di vento
a 1200 Km/h fece volare case, uomini, tutto. Non
avvertirono neanche il dolore o il calore che carbonizzava
la pelle, o disintegrava tutti quelli che si trovavano a
meno di tre chilometri dal ponte Atoi, stampando
letteralmente le loro immagini sulla terra. Fu tutto
troppo rapido per la percezione umana.
Nessuno dei sopravvissuti, cioè persone che erano ad
almeno 5 Km di distanza dal ponte, è stato in grado di
dire quanto tempo passò, forse soltanto pochi minuti; poi,
su migliaia di esseri silenziosi, apatici, che
cominciavano ad aggirarsi inebetiti, senza meta, (è un
effetto caratteristico delle esplosioni nucleari), in una
atmosfera dal grigio notte con strani riflessi gialli e
rossi, cominciò a cadere una pioggia innaturale, fatta di
enormi gocce nere ed oleose che picchiavano come
martellate. Altre migliaia di persone, nella fascia tra i
5 ed i 10 Km dal ponte Atoi, si accorsero all'improvviso
di non avere più abiti addosso, o di averne alcuni
brandelli che bruciavano; cominciarono a guardarsi in
faccia e si accorsero che non erano più volti umani, la
pelle si staccava come una fodera scucita, lasciando
scoperta la carne piagata e tumefatta.
Senza un lamento, si formarono lunghe colonne di corpi
martoriati, avviate verso mete inesistenti, senza
coscienza né individuale né collettiva.
La maggior parte di queste persone morì nel giro di poche
ore.
Le morti si susseguirono, per giorni e settimane, al
ritmo di qualche centinaio l'ora. Si calcolò che
l'esplosione uccise subito 70.000 persone (quelle nella
fascia entro i 3 Km dall'esplosione), altri 200.000
morirono per le ustioni o avvelenati dall'acqua (divenuta
radioattiva) bevuta nei mesi successivi, o ancora per
malattie tumorali e mali causati dalla perdita delle
difese immunitarie causata dalle radiazioni.
Quella bomba fu un nulla di fronte alla potenza
distruttiva di quelle attuali. Appena 20 kiloton,
equivalenti come potenza esplosiva a 20.000 tonnellate di
tritolo, si abbatterono su Hiroshima, e pochi giorni dopo
su Nagasaki. Appena una formica, rispetto ai 50 megaton
degli ordigni attuali, equivalenti come potenza esplosiva
a 50 milioni di tonnellate di tritolo.
Sedici ore dopo, il presidente Truman annunciò
l'avvenuta esplosione, facendo credere agli americani, ma
anche a tutto il resto della popolazione mondiale, che si
fosse trattato di un attacco contro un obiettivo militare.
Negli archivi dell'ANSA si trova ancora il dispaccio
originale, delle 20.45 dello stesso giorno.
Sedici ore fa aerei americani hanno sganciato sulla
base giapponese di Hiroshima il più grande tipo di bombe
finora usate nella guerra, la "bomba atomica", più potente
di ventimila tonnellate di alto esplosivo. Truman ha
aggiunto: "Con questa bomba noi abbiamo ora raggiunto una
gigantesca forza di distruzione, che servirà ad aumentare
la crescente potenza delle forze armate. Stiamo ora
producendo bombe di questo tipo, e produrremo in seguito
bombe anche più potenti".
Ancora oggi si può inorridire di fronte a queste
parole. Parole che hanno segnato tutto il Novecento,
lasciando una profonda cicatrice.
Una cicatrice certamente non utile, rispetto al risultato
finale della seconda guerra mondiale, guerra oramai agli
sgoccioli, dopo la caduta di Berlino. Serviva davvero il
lancio dell'atomica sul Giappone?
La tesi ufficiale statunitense, riproposta nel 1995, nel
cinquantenario, su una serie di francobolli commemorativi
della bomba, fortemente voluta da Bill Clinton, giustificò
la strage con il risparmio di vite umane americane e
l'accelerazione della pace.
In realtà, guardando ai fatti con la giusta prospettiva
storica, quelle bombe atomiche non erano militarmente
necessarie, ma furono usate politicamente come atto
dimostrativo della potenza americana nei confronti
dell'Unione Sovietica, sancendo la fine della seconda
guerra mondiale e l'inizio della guerra fredda, a spese di
centinaia di migliaia di vite di civili giapponesi.
Un atto col quale il mondo è scivolato nella spirale
atomica, dalla quale ancora non siamo usciti.
Archivio Hiroshima
Archivio Rischio Nucleare
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