Basta
andare una mattina come tante fuori dalle scuole di una qualunque
città. Il rumore e il chiasso di sempre, mano nella mano delle
proprie mamme o di qualche papà. Sono tanti quelli stranieri. I più
numerosi. Eppure cattura ancora l’attenzione e sorprende un po’
vedere piccoli visi scuri, occhi esotici, toni e accenti dell’est.
E’ questa la foto dei nostri figli e delle loro scuole. Succede
ormai che un bambino italiano conosca, ad esempio, le abitudini e le
regole di vita di un compagno di scuola musulmano. Le sue preghiere,
il cibo, la descrizione della sua casa e della sua vita familiare.
Succede che torni a casa con un vocabolo di lingua straniera
imparato per gioco al mattino in classe. Succede ormai che andare a
scuola offra la possibilità di conoscere pezzetti nuovi di mondo, un
nuovo modo di pensare il gruppo, dove la differenza anche quando si
trasforma in difficoltà ha un valore educativo irrinunciabile. Se
solo qualcuno ci insegna a riconoscerlo. Nel mondo civile é così, in
quello leghista invece non é previsto.
Non è virtuosismo poetico per dipingere a tutti i costi di colori
pastello realtà che davvero portano il peso di difficoltà grandi da
gestire, figuriamoci da valorizzare. Soprattutto quando vivono in
zone di periferia, lì dove é faticoso il lavoro e il rientro a casa,
lì dove non c’è bellezza e tutto, dai palazzi alle strade, è troppo
grigio per un bambino. Questa è l’accusa populista dei leghisti.
Loro, che la sanno lunga, che hanno scippato sapientemente il voto
degli operai per buona grazia dell’incapacità delle sinistre, loro
che i problemi sanno affrontarli a colpi di mannaia, concreti e
solleciti. Da buoni padani. La Camera ha accolto la mozione della
Lega per la nascita delle “classi ponte”, che subito dopo il
vicecapogruppo PDL onorevole Bocchino - per tinteggiare meglio
d’ipocrisia la proposta del Carroccio - ha chiesto di far denominare
“classi d’inserimento”. E cosa possiamo aggiungere se persino
Alessandra Mussolini non ci crede, svela la malefatta e parla di
provvedimento razzista, chiedendo con urgenza un incontro con la
Gelmini ?
E’ davvero molto difficile far crescere più culture insieme. E’
difficile parlare a bambini che non comprendono l’italiano. Esiste
un problema di possibile rallentamento del programma didattico.
Nessuna teoria sull’integrazione può accampare credibilità e
autorevolezza se prescinde dall’analisi attenta dei problemi e dalla
sperimentazione delle soluzioni migliori. Nessun paese ha perseguito
queste sfide senza incorrere in momenti di grande tensione, che
forse non si estinguono mai del tutto.
La storia strana, tutta italiana, è il talento di saper ingoiare
tutto d’un fiato l’unico futuro possibile, non solo di non saperlo
vedere, ma addirittura di negarselo tornando indietro. Magari
fossero i corsi e i ricorsi storici di Vico. Noi siamo i teorici dei
ritorni. Quelli tipici di chi ha deciso di suicidarsi. Cosi fa
sorridere quel gran parlare di italianità, mentre di italiani ne
nascono sempre meno. Una beffa e un destino.
Ma viene da chiedersi come davvero si possa ipotizzare che
l’approccio legittimo - e soprattutto efficace - sia quello di
separare i bambini. Proprio loro poi. Quelli che prima di tutti
sanno andare oltre le differenze pur vedendole chiare. Quelli che
possono imparare una lingua in un lampo. Quelli cui si dovrebbe
insegnare da piccolissimi i valori dell’accoglienza e della
convivenza pacifica nelle diversità. E non c’è da stupirsi che
questa elementare regola di convivenza civile, questo valore sacro
della democrazia, sia confuso dai leghisti con la retorica delle
buone occasioni.
Di fronte alla pioggia di critiche e alle perplessità anche dei più
a destra, i sostenitori della guerra dei banchi se la cavano con un
atteggiamento di sufficiente disincanto, quasi disturbati
dall’insinuazione che sia una proposta razzista. Perché a guardare
bene, a scavare con lucidità forse hanno anche ragione. Non è per
teoria razziale che i bambini saranno divisi perché, se cosi fosse,
perché mettere in una stella classe africani, rumeni, cingalesi?
Come se la caveranno in quel caso - negli studi - bambini che non
saranno uniti né da una lingua né da una cultura comune? Sembra che
non importi granché dal momento che non sono italiani.
A scavare bene. il razzismo, come tanti altri fenomeni sociali, ha
solo cambiato le proprie forme, si è solo insinuato come un veleno
in altre dinamiche sociali. Come tale, cosi come è nato quasi
nessuno è rimasto a sostenerlo, se non qualche revisionista del
nazismo. Semplicemente lo stesso concetto di razza è saltato con
tutto ciò che ne vive intorno.
Ma questo non significa affatto che non esistano i razzisti. Ora
sono xenofobi. Sono quelli che dividono con giudizio di valore i
comunitari dagli extra-comunitari. Oggi sono quelli che picchiano un
cinese alla fermata dell’autobus. Ecco perché dietro all’ipocrisia
di voler risolvere un problema d’integrazione, nell’oscena soluzione
proposta se ne svela il vero proposito. Che è discriminare, dividere
i figli degli stranieri dai figli degli italiani.
E’ vero, non importa nulla ai leghisti della nazionalità di quei
bambini. Sono stranieri e basta. Strano davvero che nessuno nelle
file della Lega si sia adoperato a capire che forse per aiutare quei
bambini che faticano di più inizialmente nell’apprendimento per
ragioni linguistiche - o di semplice adattamento - potessero essere
utili ore supplementari d’italiano, test periodici di livello
d’apprendimento, insegnanti di sostegno. Forse perché la Gelmini ha
già iniziato a licenziarli tutti.
Forse il futuro che immagina questo partito intriso di preistoria e
di ormai incurabile ignoranza è fatto di bambini stranieri che
avranno studiato in classi differenziate tutte per loro. Dove,
allontanati dai bambini italiani, saranno stati aggregati in un
gruppo di tanti altri stranieri come loro. Saranno ospiti, tollerati
quasi sempre, ma ospiti. Magari avranno imparato meno cose o saranno
anche solo additati per aver fatto le classi speciali, il loro
programma didattico sarà stato facilitato e agevolato sempre per
loro che, parlando tante lingue diverse, proveniendo da paesi
lontani, proprio non potevano arrivare ai livelli dei bambini
italiani.
E saranno loro magari ad avere difficoltà un giorno a trovare
lavoro, posti di lavoro equivalenti a quelli dei padroni di casa. E
cosi la nazionalità, nel tempo e senza troppo clamore, diventerà un
criterio di merito. E il convincimento diventerà una verità
condivisa da tutti, magari anche da loro. E qualcuno perderà anche
il tempo a teorizzare, perché no, la presunta inferiorità
intellettiva degli stranieri. Lo hanno fatto per secoli con i neri,
perché stupirsi.
Non sembra di dover forzare troppo le parole per leggerci dietro lo
scenario, ben confezionato s’intende, di una autentica apartheid.
Perché i morbi storici peggiori sono iniziati sempre cosi,
tinteggiati a fin di bene e silenziosi come solo la banalità del
male sa fare. Apartheid senza razzismo, per carità. Il bilancio fa
paura. Prima vogliamo prendere le impronte digitali ai bambini rom,
poi proponiamo le classi speciali per tutti quelli stranieri. In
Italia l’anno d’oro della destra concide con l’anno nero dei
bambini.
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