Uno dei motivi di contestazione e di disappunto contro la
nuova normativa per la protezione degli animali, la legge 189/04 era una sua
presunta inapplicabilità alla caccia e alle altre attività disciplinate da
legge speciali. Tale timore è frutto di una lettura sbagliata del famigerato
articolo 3 della 189/04 (Modifica alle disposizioni di coordinamento e
transitorie del codice penale) che recita: “Le disposizioni del titolo
IX-bis del Libro II del codice penale non si applicano ai casi previsti
dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca...”. La Suprema Corte ha
affermato il principio, espresso dalla LAV fin dalla prima lettura della
norma, che solo i casi previsti da leggi speciali, e cioè quelli per i quali
è prevista già un’apposita sanzione penale o che sono espressamente previsti
come leciti, possono essere esclusioni e non tutte le condotte praticate in
seno ad attività disciplinate da leggi speciali, come quella venatoria,
appunto.
Afferma la Suprema Corte: “Vero è che l'art. 19 ter delle disposizioni
transitorie del codice penale, introdotto dall'art. 3 L. 189/'04, stabilisce
che "le disposizioni del titolo IX bis del libro Il del codice penale -fra
cui rientra l'art. 544 ter- non si applicano ai casi previsti dalle leggi
speciali in materia di caccia, ... ", ma è anche vero che, come sopra
evidenziato, l'uso a scopo venatorio di richiami vivi con modalità che, se
anche non vietate espressamente dalla L. 157/'92, debbono ritenersi
illecite, non costituisce alcun dei casi previsti dalla legge speciale in
materia”.
Non solo, ma la legge speciale sulla caccia, la L. n.157/92, “non esaurisce
la tutela completa della fauna in quanto limiti alle pratiche venatorie sono
posti anche dal previgente art. 727 c.p. e dall'attuale art. 544 ter c.p., i
quali hanno ampliato la sfera della menzionata tutela attraverso il divieto
di condotte atte a procurare agli animali strazio, sevizie o, comunque,
detenzione attraverso modalità incompatibili con la loro natura.” In virtù
di tale principio di diritto, afferma la Cassazione, “l'uso di richiami vivi
deve ritenersi vietato non solo nelle ipotesi previste espressamente
dall'art. 21 co. 1 lett. r) L. 157/'92 (ovvero dalla legge sulla caccia) ma
anche quando viene attuato con modalità incompatibili con la natura
dell'animale e non v'è dubbio che imbracare un volatile, legarlo da una
fune, strattonarlo ed indurlo a levarsi in volo, per poi ricadere
pesantemente a terra o su un albero, significa sottoporre lo stesso, senza
necessità, a comportamenti e fatiche insopportabili e non compatibili con la
natura ecologica di esso.”
Allegato:
Sentenza n. 46784.
Archivio Protezione degli Animali
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