di
Giuseppe Zaccagni In lista d’attesa, nel mondo, ci
sono 70 milioni di persone che potrebbero cadere in condizioni di
estrema povertà entro quest’anno. La denuncia viene dalla Banca
Mondiale che, nella riunione svoltasi a Berlino, ha lanciato
l’allarme, rilevando che continueremo per anni a convivere con gli
effetti della crisi economica. “Stiamo vivendo - ha detto in proposito
il presidente dell’istituzione bancaria, Robert Zoellick - la più
grave recessione dal dopoguerra, quella che però ha suscitato anche la
più forte risposta a livello internazionale mai orchestrata da
governi. Una recessione che segnerà la situazione sociale e politica
mondiale ancora a lungo”.
I mesi che verranno, quindi, saranno certamente i più difficili
degli ultimi due anni: l'occupazione continuerà a scendere, in quanto
il livello produttivo non potrà tornare nel breve periodo al vecchio
livello e molte famiglie ne subiranno le conseguenze. Aumenterà
pertanto la già traumatica spaccatura tra Nord e Sud. "Continueremo a
vedere gli effetti negativi della crisi economica - aggiunge Zoellick
- e per molti Paesi, anche sviluppati, si avranno problemi di
crescita, mentre in altri paesi, già poveri, milioni di persone
soffriranno la fame, cadranno in malattia e ci saranno impatti
negativi su tante generazioni per molti anni".
In questo contesto - sempre al forum berlinese - si è rilevato che
la politica monetaria e di bilancio si è dispiegata nel fornire
abbondante liquidità per evitare la diffusione della crisi finanziaria
all'interno dei Paesi e il contagio internazionale della stessa. Si è
poi sostenuto che i bilanci pubblici si sono svenati per salvare il
salvabile, senza aver però impostato una seria politica di ripresa che
non fosse quella di innalzare barriere protezionistiche di tipo
assistenziale al di quà delle frontiere.
Si è così creata una situazione paradossale, per cui si parla di
strategia di uscita dagli eccessi di creazione monetaria e di debito
pubblico nati per affrontare la crisi, senza che la crisi sia stata
superata; quella vera, fatta d’insolvenze che metteranno in difficoltà
le banche e di disoccupazione che peserà sulle famiglie, è gi? in atto
da due anni e non si vede la luce alla fine del tunnel. E sempre
l’esponente della Banca Mondiale ha ricordato che il settore privato
dovrà giocare un ruolo più importante, quando le misure straordinarie
introdotte dai governi saranno ritirate.
"Nel momento in cui questo avverrà, avremo bisogno di una mano in
più da parte dell'economia privata", ha aggiunto, sottolineando che è
negli interessi delle nazioni sviluppate aiutare le economie emergenti
a uscire dalla crisi, perché queste potrebbero essere una fonte di
crescita. Per questo la Banca mondiale "spera che i Paesi in via di
sviluppo diventino un importante fattore di crescita nell'economia
globale, un fattore molto importante soprattutto per la Germania come
nazione esportatrice". Come sostengono numerosi analisti, la crisi è
quindi ancora una realtà con la quale bisogna fare i conti. Conti
durissimi, in molte parti del mondo. Questa crisi ha preso avvio dal
settore finanziario per poi contagiare progressivamente l'economia
reale. Il mondo della finanza è corso ai ripari, e il crack si è
attenuato. Ma per l'economia reale i problemi sono ancora molti e
molto seri e si preparano tempi difficili.
Lo dimostra anche la situazione statunitense. Obama ha appena
presentato un nuova tassa alle grandi banche, per far entrare nuova
liquidità dello Stato e dei cittadini. Il guadagno previsto dovrebbe
aggirarsi sui novanta miliardi di dollari spalmati in dieci anni. Ma
le critiche non sono poche. C’è l'economista capo dell'American
Bankers Association, James Chessen, il quale spiega che l'industria
bancaria si sta muovendo per restituire con gli interessi al Tesoro i
soldi del Tarp, il piano anticrisi da 700 miliardi di dollari varato
dall'Amministrazione Bush. E ricorda poi che alle banche, sul totale
della somma, sono stati assegnati circa 225 miliardi di cui due terzi
già ripagati con interessi e con dividendi superiori ai 15 miliardi di
dollari. "Appena un mese fa, il Tesoro dichiarò che si aspettava un
utile da ciascun singolo programma d’intervento destinato alle
banche", spiega Chessen.
Nel forum berlinese è stato rilevato che su scala mondiale c’è un
altro gravissimo problema. Quello che riguarda la povertà, emergenza
prettamente rurale. Le nazioni povere sono nazioni la cui economia è
un’emergenza essenzialmente agricola e i poveri sono prevalentemente
persone che vivono dei frutti della terra. L'Organizzazione delle
Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO), ha
recentemente evidenziato come, nelle nazioni più povere, oltre il 75%
della popolazione viva nelle aree rurali e come, di conseguenza,
queste persone debbano fare affidamento sull'agricoltura per avere
lavoro e reddito. Oltre a ciò, l'agricoltura pesa per circa il 40% sul
Prodotto Nazionale Lordo (PNL) di queste nazioni e per più del 50% sul
totale delle loro esportazioni.
Va ricordato che quasi un miliardo dei poveri di tutto il mondo
vive nelle zone rurali e che il loro numero cresce costantemente e con
regolarità, specialmente dopo i regressi che si sono verificati nel
corso del cosiddetto "decennio perduto", gli anni '80. C’è, in
proposito, un preciso rapporto che gli economisti della Russia hanno
presentato alle varie organizzazioni dellOnu. Attualmente, è stato
rilevato, i poveri costituiscono pressappoco un quinto dell'intera
popolazione mondiale.
Le statistiche del passato ci ricordano che la percentuale di
quanti, fra la popolazione rurale, vivono al di sotto della soglia di
povertà à del 61% nell'America Latina e nei Caraibi; del 60%
nell'Africa sub-Sahariana; del 31% in Asia e del 26% nel Nord Africa e
nel Levante. Si è verificata una rapida crescita nell'incidenza delle
famiglie rurali aventi una donna come capofamiglia: queste famiglie
raggiungono attualmente il numero di 75 milioni. Ed oggi la
maggioranza di coloro i quali vivono al di sotto della soglia di
povertà nelle aree rurali è rappresentata dalle donne; e a partire dal
1975, il loro numero è cresciuto del 50%, contro un aumento del 30%
fra gli uomini.
Anche quello dell'insicurezza alimentare, paradossalmente, è un
problema tipicamente rurale. Degli 800 milioni di persone che in tutto
il mondo soffrono di malnutrizione cronica, la stragrande maggioranza
vive, infatti, nelle zone rurali dei paesi in via di sviluppo. Con
popolazioni sempre più numerose, le proprietà terriere in molte
regioni dei paesi in via di sviluppo stanno diventando sempre più
piccole e frammentate; la completa, o quasi completa mancanza di beni
immobili nelle aree rurali è in aumento, e nell'Asia Meridionale
affligge almeno il 40% delle famiglie. La lotta per sopravvivere
sovente insidia le vitali risorse naturali fondamento della
popolazione rurale. Per esempio, soltanto durante gli ultimi trent'anni,
pressappoco il 20% dei suoli coltivati sono andati persi, in gran
parte causa mancanza di capitali e tecnologie necessarie ad
intraprendere appropriate misure per la conservazione dei suoli.
La deforestazione delle foreste tropicali e dei terreni boscosi si
è verificata ad un tasso di 11 milioni di ettari all'anno, a causa dei
disperati tentativi fatti dai poveri per aumentare l'estensione delle
aree coltivabili od ottenere legna da ardere. Milioni di ettari di
terre sono divenuti sterili a causa di sistemi di irrigazione mal
costruiti e peggio mantenuti. Ad una cattiva gestione delle risorse,
peraltro, può venire addebitata oltre 1'80% della recente
desertificazione in tutto il mondo.
Se l'attuale perdita di 27 milioni di ettari all'anno (pari a 66,7
milioni di acri) continuerà, il mondo rischia di assistere alla
progressiva desertificazione di tutte le terre coltivabili in meno di
200 anni. C’è infine da ricordare che nel 1992, il Fondo
Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) ha sviluppato quattro
importanti indicatori - sicurezza alimentare, povertà integrale,
bisogni fondamentali e benessere relativo - per quantificare la
posizione relativa di ciascuna delle 113 nazioni prese in esame.
Secondo le medie, le popolazioni rurali peggio classificate erano
quelle del Bhutan, del Burkina Faso, della Somalia, della Mauritania e
del Sudan, mentre le cinque migliori popolazioni rurali erano quelle
di Cipro, di Malta, della Repubblica Coreana, di Barbados e di
Mauritius.
In apparente controtendenza, in India, Indonesia, Malesia, Pakistan
e Lesotho, negli ultimi 20 anni si erano registrati significativi
progressi nella riduzione della povertà rurale. Il rapporto dell'IFAD
concludeva che, tutto considerato, si era dimostrato falsa la
presunzione che la crescita ed il benessere si diffondessero agli
strati più poveri.
Ora, nonostante i progressi registrati come risultato di 40 anni di
sforzi per lo sviluppo, le sofferenze rimangono, dal momento che ogni
giorno mezzo miliardo di persone non ha di che mangiare a sufficienza
e che, attualmente, 15 o 20 milioni tra essi muore ogni anno per
inedia o a causa di malattie che vengono aggravate dalla
malnutrizione.
Attirata dalla speranza di cibo, lavoro, servizi ed altre
opportunità, una fetta sempre crescente della popolazione mondiale
gravita intorno a paesi e città. Ne consegue che la povertà rurale
alimenta la povertà urbana. E la gran parte di questi emigranti è
costituita da uomini che, partendo, lasciano dietro di sé le proprie
donne a badare alla terra ed alla famiglia. E la realpolitik di questo
secolo ci porta sempre più a constatare che i governatori del mondo
sono sempre più incapaci di darsi una comune strategia che tenda ad un
reale progresso gl
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