Nuovo scandalo, stesso copione: i giornali
continuano a dare in pasto all'opinione pubblica anche semplici
testimoni o parti lese. Pubblicate pagine di verbali, senza alcun
rispetto della sfera privata. Ma tutto fa brodo...
L'ultimo
capitolo di Vallettopoli è l’ennesima radice marcia di un Paese che
sembra perdere la bussola. La logica dei compromessi, la sublimazione
della bella vita da Costa Smeralda e dintorni, il sesso e il denaro come
chiave di tutto: un mercimonio che travolge l’etica, le regole sociali,
ma anche la responsabilità di chi informa. Perché nel circo di nani,
ballerine e voyeur tutti svolgono la loro parte: i pm con punte di
protagonismo (le accuse della scorsa estate a Vittorio Emanuele di
Savoia e al portavoce di Gianfranco Fini, Salvatore Sottile, non
costituivano reato), i vari Corona, Mora e Schicchi, vere e proprie
icone dell’effimero, i giornali disposti a pubblicare pagine di verbali
e di atti giudiziari (pubblici ma non sempre utilizzabili) per alzare le
tirature, consapevoli che un po’ moralismo paga sempre.
A rimetterci è la deontologia, sistema di norme dettagliate che dovrebbe
guidare il lavoro dei giornalisti e assicurare un’informazione corretta.
Una garanzia per il lettore e, in questo caso, anche per chi è coinvolto
suo malgrado come parte lesa in una storia sporca. Ma tutto sembra
diventare relativo, anche la legge. L’articolo 329, primo comma del
codice di procedura penale, infatti, precisa che nella fase delle
indagini preliminari di un procedimento giudiziario, ogni atto e
documento è coperto dal segreto fino a quando l’indagato non ne possa
avere conoscenza. Quando questo avviene, la segretezza di interrogatori,
intercettazioni e dichiarazioni viene meno, ma il giornalista può
pubblicare soltanto il contenuto e mai l’atto testuale. Una norma che ha
lo scopo di salvaguardare il libero convincimento del giudice, che
rischierebbe di subire influenze troppo forti dalla stampa, nel caso
fosse possibile entrare troppo nello specifico, addirittura nelle
singole dichiarazioni delle persone coinvolte.
L’esatto contrario di quanto avviene sui giornali italiani, che in
presenza di inchieste scottanti, si trasformano dall’oggi al domani in
bollettini con i testi integrali di verbali e intercettazioni, a mo’ di
sceneggiatura di grandi e piccoli drammi popolari. La dignità e il
diritto alla riservatezza di coloro che non sono parte in causa, ma
semplici testimoni, vengono così totalmente calpestati, mettendo nel
tritacarne persino allusioni e riferimenti alla sfera sessuale (dato
sensibile per antonomasia, richiamato ieri anche dal Garante della
Privacy). L’aspetto più curioso è che le violazioni sono espressamente
punite sia a livello penale che disciplinare. Le pene sono lievi
(l’articolo 684 del codice penale prevede l’arresto fino a 30 giorni o
un’ammenda, ma il giornalista rischia comunque di essere sanzionato dal
proprio ordine professionale: aspetto di non poco conto, anche per
ragioni di immagine.
Eppure, nessuno vigila o forse tutti se ne fregano. Del resto, se chi ha
imbrogliato preti di mezza Italia con finte confessioni (vedi
l’inchiesta de
L’Espresso di qualche settimana fa) continua a lavorare senza
aver ricevuto nemmeno un richiamo, a chi può dare mai fastidio la
pubblicazione delle dichiarazioni di qualche soubrette? Tutto fa brodo e
nel brodo molto spesso ci si sta bene. La deontologia e l’etica possono
aspettare…
Archivio Vallettopoli
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