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24/04/2008 Tre firme per liberare l'informazione. Mediaset e la norma antitrust (http://www.antoniodipietro.com)

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L'Italia dei Valori ha messo la libertà d'informazione tra le priorità nelle sue promesse elettorali. L'8 settembre 2007 aderimmo alla raccolta firme (guarda il video)

per la legge d'iniziativa popolare per un Parlamento pulito. In queste elezioni abbiamo dimostrato di credere realmente in quei valori, candidando esclusivamente persone con fedina penale pulita. Nella giornata di domani aderiremo alla raccolta delle firme per i tre referendum sull'abolizione dell'ordine dei giornalisti, l'abolizione dei finanziamenti pubblici all’editoria e l'abolizione della legge Gasparri. L'iniziativa è promossa da Beppe Grillo in più di 400 piazze italiane. L'Italia dei Valori si è battuta in passato e continuerà a farlo sui temi legati alla libera informazione. Lascio alle parole del libro "Se li conosci li eviti", di Marco Travaglio e Peter Gomez, il compito di spiegare la legge Gasparri ed il decreto Salva-Rete4.

"Il 6 settembre 2003 il ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri illustra al Consiglio dei Ministri il disegno di legge che dovrebbe regolamentare il sistema radiotelevisivo. Subito Berlusconi e Letta lasciano la riunione: non vogliono incorrere in un possibile caso di conflitto d'interessi. Per dare solennità alla cosa, nel verbale della seduta viene data notizia della loro momentanea dipartita. Ma bastano un'occhiata al lungo articolato e un'altra faccia del ministro per domandarsi chi mai abbia concepito e scritto la legge.
Che sia l'ennesimo regalo a Berlusconi, è fuori di dubbio. Tant'è che dopo la sua approvazione, il 16 dicembre 2003 Ciampi rifiuterà di firmarlo e lo rimanderà alle Camere perché incostituzionale.

Lo scandalo più plateale è la trovata che consente a tutte e tre le reti Mediaset non solo di continuare a trasmettere in barba alla norma antitrust fissata dalla Consulta, ma anche di aumentare a di smisura la raccolta pubblicitaria. I punti forti della Gasparri sono infatti essenzialmente due.
Primo: come già accadeva in passato, il ministro stabilisce che nessun editore può controllare più del 20 per cento dei canali nazionali. Solo che fino al 2003 le reti considerate nazionali (cioè capaci di raggiugere col loro segnale l’80 per cento della popolazione) erano dieci: le tre della Rai, due di Mediaset (Rete4 infatti è fuorilegge), La7, Mtv, Tele+bianco, Telemarket e la fantomatica Europa 7, una tv che ha vinto la gara per le concessioni, ma non può trasmettere perché le sue frequenze sono occupate abusivamente da altri. Con la Gasparri, le reti nazionali diventano quindici. Come? Il ministro vara una sorta di condono: restano in vita tutte le emittenti nazionali «ancorché prive di titolo abilitativo». In questo modo rientrano nella partita anche stazioni minori come Rete Mia, Rete A e Rete Capri, fino a quel momento destinate allo spegnimento. Ma non è tutto. Per legge, Gasparri impone alla Rai di varare, entro il 1° Iuglio 2003, due canali digitali sperimentali. La nuova tecnologia (che permette di trasmettere in contemporanea su ciascun canale fino a cinque diversi palinsesti) è però molto costosa. Così Gasparri stabilisce che i canali digitali, per potersi definire nazionali, non debbano raggiungere l’80 per cento della popolazione, come previsto per quelli analogici. Basta che li possa vedere appena il 50 per cento degli italiani. Il risultato della spericolata operazione è semplice: le emittenti nazionali diventano all'improvviso 15 (o molte di più, calcolando i diversi palinsesti tematici mandati in onda dalla Rai sul digitale). E i1 20 per cento di 15 è uguale a tre: Canale5, Italial e Rete4. Quando si dice la combinazione.

Il secondo punto forte del disegno di legge Gasparri riguarda i limiti antitrust per la raccolta pubblicitaria. Qui il ministro dà il meglio di sé. A prima vista, la nuova norma sarebbe ancor più rigorosa della vecchia. Ora il tetto di raccolta è fissato al 20 per cento. Con la vecchia norma invece si poteva arrivare fino al 30 per cento (limite peraltro regolarmente sforato sia da Rai sia da Mediaset). Ma il trucco c'è, e si vede. La Gasparri stabilisce che la barriera del 20 per cento non sia calcolata in base a quanto il mercato radiotelevisivo è in grado di incassare (pubblicità per Mediaset, pubblicità più canone per la Rai). Il conteggio del 20 per cento va invece fatto su un paniere molto più ampio. Visto che la Gasparri permette, pur con qualche limitazione, ai proprietari di tv di possedere anche giornali, radio, imprese editoriali, siti internet, sale cinematografiche, case di produzione e così via, nasce il «Sic»: Sistema integrato delle comunicazioni.
Mediaset non deve quindi rispettare un limite antitrust calcolato sul valore del mercato radiotelevisivo. Deve farlo sulla base del Sic. Cioè rimanere sotto il 20 per cento delle entrate totali garantite da un contenitore enorme, del quale fanno parte pubblicità nazionale e locale, sponsorizzazioni, televendite, offerte televisive, vendite di beni, produzioni, abbonamenti e molto altro. Il problema è che nessuno sa a quanto esattamente ammonti questo fantomatico, incalcolabile Sic.
Spiega Giovanni Sartori sul «Corriere della Sera»: «La legge Maccanico stabiliva un tetto del 30 per cento del mercato per ciascun operatore. La Gasparri fa scendere al 20 per cento questo tetto, ma (ecco il trucco) amplia a dismisura il paniere delle risorse che lo vanno a determinare. Il 30 per cento di 100 è 30; ma il 20 per cento di 200 è 40. Così Berlusconi si tiene tutto e può anche crescere in pubblicità». Di quanto? Le stime tra gli esperti divergono. Secondo «Il Sole 24 Ore», «il Sic consente al gruppo Mediaset una crescita valutabile attorno a 1,2-1,7 miliardi di euro». Fedele Confalonieri è ancor più ottimista. Inizialmente si lamenta perché il tetto è troppo basso. Poi una volta approvata definitivamente la legge (com'era il Sic addirittura ridotto nella sua portata dopo le censure dell'intervento di Ciampi), dichiara: «Le prospettive di ricavi in più sono nell'ordine di 1-2 miliardi di euro».
C'è poco da meravigliarsi. L'idea del Sic, infatti, non è di Gasparri. È degli avvocati Cesare Previti e Aldo Bonomo, rispettivamente braccio destro di Berlusconi e presidente della Fininvest. I due, già nel 1988 - come rivelerà alla Camera il diessino Antonio Soda - sostengono, in una memoria inviata alla Corte costituzionale per conto di Publitalia, che «per misurare il vero grado di concentrazione del gruppo Fininvest non ci si può limitare a considerare il mercato della pubblictà televisiva; occorre assumere a parametro l'intero mercato della comunicazione commerciale». Il Sic l'ha inventato il gruppo Berlusconi. Gasparri l'ha solo tradotto in legge.

Decreto salva-Rete4

Il 5 dicembre 2003 la legge Gasparri arriva sul tavolo del capo dello Stato. Che, dieci giorni dopo, decide di non firmarla perché spiega il presidente alle Camere - «alcune parti della legge - per quanto attiene al rispetto del pluralismo dell'informazione - appaiono non in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale». Berlusconi non si scompone. Come prima mossa emana un decreto che salva la sua rete fuorilegge dal rischio - espressamente previsto dalla sentenza della consulta a partire dal 31 dicembre 2003- di finire sul satellite, causando una gravissima diminuzione degli introiti pubblicicari. Il decreto del presidente del Consiglio è l'apoteosi del conflitto d'interessi (ma in ogni caso, in quel momento, la legge Frattini non è ancora in vigore). Sarà convertito in legge solo grazie a una mozione di fiducia, per mettere in riga alcuni alleati riottosi.
Intanto la legge Gasparri, con un paio di modifiche di poco conto, va avanti. Il Senato approva la seconda versione in via definitiva il 29 aprile 2004. Commenta ancora Sartori: «È una legge spudorata... La sostanza è, e resta, che da ora in poi l'impero mediatico di Sua Emittenza non è riconducibile e nemmeno fermabile; sarà un impero in espansione continua... Dicevo che la legge Gasparri è spudorata intendendo che chi la vota si dovrebbe vergognare. Ma è anche, oggettivamente, una legge micidiale. Ci occorreva una legge che salvasse il pluralismo dell'informazione e, invece, ci viene servita una legge che aiuta Berlusconi a distruggerlo»."

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