Il 4 novembre l'EIA (Energy Information Administration), l'ente che
provvede a fornire le statistiche ufficiali in materia di
energia provenienti dal governo americano, ha comunicato che
le scorte di petrolio convenzionale sono calate, nell’ultima
settimana di ottobre, di 3,9 milioni di barili. Gli analisti
avevano atteso un aumento 1,3 milioni di barili. Anche le
scorte di benzina sono calate: meno 287.000 barili. Gli
esperti avevano previsto un incremento di 800.000 barili. Il
dato quindi appare in fortissima controtendenza, lasciando
intendere che la situazione, nonostante il persistere della
crisi, sia decisamente peggiore rispetto a quanto si
attendeva.
I dati sono importanti, in quanto il prezzo
del petrolio influenza notevolmente l'andamento delle borse,
spesso addirittura segnandone pesantemente l'evoluzione. In
quest’ottica, analizzando le quotazioni del petrolio negli
ultimi anni, è possibile intravedere uno scenario oramai
difficilmente eludibile.
Dopo essersi mosse a lungo lateralmente, infatti, le
quotazioni dell'oro nero hanno iniziato verso la metà del 2004
un trend rialzista che ha registrato una forte accelerazione a
partire dall'inizio del 2007. L'11 luglio del 2008
il future (il contratto, cioè, con il quale le parti si
obbligano a scambiarsi alla scadenza un certo quantitativo di
determinate attività finanziarie, ad un prezzo stabilito ndr)sul Light
Crude, ossia il petrolio del West Texas
Intermediate, raggiunse al NYMEX, la borsa di New York, un
nuovo massimo storico a $147,27 al barile, mentre il future
sul Brent (il petrolio del Mare del Nord) salì all'ICE di
Londra fino a $147,50 al barile.
Il prezzo del petrolio fu spinto soprattuto dal forte
aumento della domanda di energia nei Paesi emergenti e dalla
debolezza del dollaro. La grave crisi del settore finanziario
e la conseguente recessione a livello globale hanno avuto in
seguito un sensibile impatto negativo sul prezzo del greggio.
Il future sul Crude è risceso a New York in pochi mesi, nel
febbraio del 2009, a circa $35 al barile ovvero ai livelli del
2003-2004.
Ultimamente, essendo considerata oramai alle spalle la crisi
finanziaria che ha demolito le borse di mezzo mondo, il prezzo
del petrolio è tornato a salire.
Tra le variabili che si devono tener presenti quando si
cerca di stimare la possibile evoluzione della quotazione del
petrolio, le più importanti sono certamente la quantità della
produzione, decisa dal cartello dei paesi produttori, e la
forza del dollaro, l'unica moneta con cui è possibile pagare
la linfa vitale dell'intera economia mondiale.
Ora, se della debolezza del dollaro si è scritto
recentemente moltissimo, tanto da far ipotizzare ad alcuni una
sua sicura sostituzione come valuta di riferimento per la
comunità internazionale, una cappa di omertà sembra invece
coprire le reali stime delle riserve dei paesi produttori,
oltre alla capacità estrattiva dei singoli pozzi attualmente a
regime. Nuovi pozzi di petrolio, infatti, sono difficili da
trovare. Nonostante gli investimenti per la ricerca di nuovi
giacimenti delle multinazionali dell'energia come BP, Royal
Ducth Shell, ExxonMobile, Lukoil, Texaco, Unocal, sono da
stimare nell'ordine di diversi miliardi di dollari, i
risultati sono scarsi.
La cosa decisamente peggiore, tuttavia, riguarda la
necessità di una continua ricerca di nuovi giacimenti per
aumentare i profitti; profitti che vengono reinvestiti nella
ricerca, creando un circolo vizioso. I profitti, infatti,
aumentano solo con la crescita economica, che però impossibile
senza un aumento della disponibilità energetica. Visto che la
domanda mondiale di petrolio e di gas naturali continua ad
aumentare in misura sempre maggiore, rispetto alla quantità di
nuove risorse che vengono scoperte, i costi di esplorazione
salgono vertiginosamente, con la conseguenza di un forte calo
dei guadagni.
Per riuscire a mantenere una posizione di mercato
competitivo rispetto alla concorrenza, le multinazionali
dell'energia - i cui azionisti sono certamente da iscrivere
tra i gruppi di persone più potenti al mondo – devono
conservare o estendere il loro controllo su sempre maggiori
quantità di giacimenti petroliferi, al fine di continuare a
garantire all’azionariato profitti adeguati agli investimenti
fatti, secondo il diabolico mito della crescita infinita. Per
come va il mondo attualmente - con il calo delle risorse di
petrolio e di gas naturali, mentre la domanda aumenta
drasticamente soprattutto in virtù dell'espansione economica,
comunque in atto nonostante la crisi, in India e Cina - se
vogliono mantenere i privilegi e il sistema di vita americano,
gli Stati Uniti e con loro l’intero occidente dovranno
necessariamente entrare in una nuova fase energetica, in
termini sia di produzione che di utilizzo.
Questo sentimento venne chiaramente espresso da Domenique
de Villepin, allora primo ministro francese, l'1 settembre
2005 come riportato dall’agenzia di stampa Reuters: “Dobbiamo
entrare nell'era posta petrolifera. Voglio che siano chiare
tutte le drammatiche conseguenze dell'attuale situazione, per
poi dare un forte impulso al risparmio energetico e all'uso
delle energie rinnovabili”. Da allora sono passati più di
quattro anni ed una crisi finanziaria il cui impatto
sull'economia reale non si è, ad oggi, ancora esaurito. Allo
stato attuale, il mondo è pericolosamente vicino
all'esaurimento di tutte le risorse petrolifere, cosa che fa
notevolmente aumentare le possibilità di una grave crisi degli
approvvigionamenti energetici, con pesanti conseguenze sulle
prossime tre decadi.
Le scelte conseguenti avranno anche pesanti effetti sugli
altri obiettivi della politica degli Stati Uniti d'America: il
Medioriente, l'ex unione sovietica, la Cina e la lotta al
terrorismo internazionale. Nello stesso tempo, per buona parte
del mondo sviluppato le infrastrutture energetiche stanno
venendo messe a dura prova dall'aumento della domanda di
materie prime, da parte di un ceto medio in espansione
all'interno delle economie emergenti dell'Asia. Questa nuova
domanda coincide con il calo delle risorse e con l'inevitabile
aumento dei prezzi dell'energia. Al momento, dunque, l'unica
cosa certa è che le riserve continueranno a diminuire ed i
prezzi ad aumentare. In queste condizioni, salvo buone
notizie, un conflitto mondiale per l'accaparramento delle
ultime risorse disponibili sul pianeta rappresenta una
certezza.
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