«Per rimpiazzare greggio e gas naturale non c'è nulla sulla terra». Parla
l'astrofisico Di Fazio.
Alberto Di Fazio è astrofisico teorico presso l'Istituto Nazionale di
Astrofisica (Inaf), membro della Commissione Nazionale Cnr/Igbp (Programma
Internazionale Geosfera-Biosfera), responsabile italiano del Progetto Igbp/Aimes
(Analysis, Integration, and Modeling of the Earth System), presidente Global
Dynamics Institute, accreditato presso la Conferenza delle Parti sotto la
Unfccc (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici).
Il petrolio è aumentato del 500 per cento in sei anni, mentre la
produzione è di fatto stabile da tre. Cosa sta succedendo?
Non si può più fare quello che si è fatto per oltre 100 anni: pompare sempre
di più moltiplicando i pozzi. Su più di 90 paesi produttori, 62 hanno
raggiunto il «picco» e sono quindi in calo; quelli che non l'hanno raggiunto
- come l'Arabia Saudita e altri minori - non riescono ad aumentare
l'estrazione in misura sufficiente a compensare. Gli Stati uniti hanno
«piccato» per primi nel 1970, dopo aver «carburato» col petrolio due guerre
mondiali e un grande sviluppo economico. Il Venezuela ha piccato nel '70,
così come la Libia; l'Iran nel '74. Gran Bretagna e Novegia tra il '99 e il
2001. La Russia lo aveva fatto una prima volta per motivi politici (il
crollo dell'Urss), poi si è ripresa ma ha piccato di nuovo nel 2007, senza
peraltro mai raggiungere il livello precedente. Di conseguenza, l'offerta è
praticamente stabile - tra 86 e 87 milioni di barili al giorno (mbg) -
mentre la domanda cresce rapidamente. Perciò il prezzo non può che
aumentare.
Eppure le compagnie petrolifere rispondono che anni di prezzo troppo
basso hanno disincentivato nuove esplorazioni.
Sono dichiarazioni di natura politica. Se ascoltiamo geologi o ingegneri che
lavorano per conto di queste compagnie capiamo che c'è stato tutto il tempo
- 20 o 30 anni - per cercare ancora. Ci spiegano che la tecnologia
esplorativa è migliorata di un fattore 500 o 600 rispetto al 1963, quando
venne raggiunto il «picco» delle scoperte. Si utilizzano satelliti,
strutture a ologramma, infrarossi, cose che non ci sognavamo neppure. Negli
Usa, tra il '70 e l'80, c'è stato un boom di trivellazioni, quadruplicando
il numero dei pozzi. Ciò nonostante, in quella decade, la loro produzione è
progressivamente calata. Non è mancata la ricerca, ma i risultati.
Sentiamo spesso di «grandi giacimenti» appena scoperti, come in Brasile o
nell'Artico.
Quello in Brasile è stimato tra i 10 e i 20 miliardi di barili. E' «grande»
per il Brasile, perché porterà lì ricchezza ed energia. Ma a livello
mondiale, rispetto ai 1.000 miliardi di riserve dichiarate esistenti - la
metà di quelle iniziali - questo giacimento sposta il «picco» di due o tre
mesi. Quello sotto l'Artico non dovrebbe neppure avvicinarsi alle dimensioni
di Ghawar in Arabia o di Cantarell in Messico. E in ogni caso, per poterlo
sfruttare, sarebbe necessario un riscaldamento globale tale da sciogliere la
calotta polare. Non proprio una cosa da augurarsi. Ci sarebbe bisogno di
trovare subito, ma proprio subito, 2-300 miliardi di barili per spostare il
«picco» di cinque o sei anni.
Quanto pesa il petrolio nel bilancio energetico globale? E si potrebbe
sostituirlo, in modo credibile?
Il 70% del raffinato va in combustibili da trasporto (benzina, diesel,
cherosene, ecc). Il 98% di questi combustibili viene dal petrolio; così come
tra l'85% e il 90% dell'energia totale proviene dagli idrocarburi. Solo tra
il 7 e l'8% viene dal nucleare. Il resto, pochissimo, dalle rinnovabili. Per
rimpiazzare petrolio e gas naturale non c'è praticamente nulla, sulla terra.
L'idrogeno non esiste in forma libera, ma va fabbricato impiegando più
energia di quella resa poi disponibile. Per il carbone si parla di centinaia
di anni, ma in realtà si tratta di un minerale a più bassa intensità di
energia, che ne richiede molta già per l'estrazione. Il carbone
realisticamente utilizzabile basterebbe per qualche decina di anni. Tra le
«non rinnovabili» c'è anche l'uranio, su cui esiste una stima molto precisa
di Rubbia e di David Goodstein (del Caltech): ne abbiamo per 20 anni da
adesso. Usiamo 14 Terawatt di energia; a volerle fare col nucleare
servirebbero 10-15.000 centrali in 20 anni. Una ogni giorno e mezzo! Anche
dal punto di vista dei materiali (acciaio, cemento, ecc) è impossibile.
Negli Usa ce ne sono 104 e in tutto il mondo poco più di 400. Il nucleare
potrebbe essere al massimo un «ponte» a cavallo del picco del petrolio. Ma
anche le rinnovabili lo sono. Per fare le pale eoliche o i pannelli solari
bisogna andare a prendere l'alluminio, fare attività di miniera; e questa si
fa con l'energia del petrolio, mica con pala e piccone. Ma dove sta tutto
questo alluminio? Questo significa che dipendiamo dal petrolio anche per le
rinnovabili.
Che cosa bisognerebbe fare, allora?
Tirare il freno a mano, conservare petrolio e gas rimanenti per fare queste
benedette rinnovabili, finché è possibile. Anche la tecnologia proposta da
Rubbia ha bisogno di energia da petrolio. Non possiamo fare le acciaierie
con un'economia che va a legna. E nemmeno con l'energia nucleare, perché una
centrale deve essere a temperatura moderata (2-300 gradi) altrimenti fonde
il nocciolo. Noi potremmo concentrare quella metà di petrolio rimasta,
risparmiando sui trasporti di merci voluttuarie e salvaguardando quelli
«necessari». E dobbiamo tener conto che anche l'agricoltura, al 90%, dipende
dal petrolio. Senza, la produzione agricola si ridurrebbe da 10 a 1.
Ma come sono conciliabili capitalismo e decrescita?
In nessuna maniera. Il capitalismo è fondato su un'equazione che è un
esponenziale. Ogni incremento annuale è proporzionale a un certo
coefficiente moltiplicato il capitale stesso. E' una curva che cresce sempre
di più, come quella dell'interesse composto. Il capitalismo è reinvestimento
e crescita. Ma non esiste un investitore che cerca di guadagnare meno di
quel che investe. E quindi l'intervento pubblico sarà obbligatorio. Mi
soprende che se ne cominci a rendere conto la destra, come fa Tremonti nel
suo ultimo libro, dove dice apertamente che il mercato non si può più
regolare da solo. Mi sorprende che non lo dica invece più la sinistra. Si
capisce ormai che è in arrivo una crisi peggiore del '29, ma non si dice il
perché. Questa è in realtà più grave, perché nel '29 si era partiti da una
bolla speculativa temporanea. Qui avviene per un fatto naturale, geologico.
Finiti petrolio, gas e carbone, nessuno ce li rimette più.
Tutto questo era già stato anticipato dal Club di Roma, addirittura nel
1972. Poi non si è fatto nulla. Quelle previsioni furono definite ad un
certo punto sbagliate. Come stanno adesso le cose?
Alcuni governi, come Gran Bretagna e Usa, hanno costruito delle task force
interministeriali per gettare fumo. Hanno prodotto libri per dire che non
era vero, ovviamente senza alcun fondamento scientifico. Il Club prevedeva
la crisi economica mondiale nel 2020-2030, il crollo della produzione
agricola nello stesso periodo, il calo della produzione di greggio e gas
naturale (ma non l'«esaurimento»!), e il picco della popolazione globale un
po' più in là nel tempo, nel 2040-50. Sulla popolazione ci hanno preso in
pieno: 6 miliardi di persone nel 2000 e così è andata. Sulla crisi
industriale, mi sembra proprio che ci stiamo arrivando. Sulla produzione
agricola ci siamo già: il prodotto agricolo pro capite ha cominciato a
flettere nel '98, ora anche quello totale. Basta guardare i grafici da loro
prodotti nel '72, nel '92 e poi ancora nel 2002 per vedere che in tutte e
tre le previsioni si calcolava che le risorse nel 2000 sarebbero state
consumate per un quarto e quindi, sapendo che il «picco» si colloca sulla
metà, invitavano ad agire in tempo. Semmai i loro calcoli sono stati fin
troppo ottimistici, visto che siamo sul «picco» già ora invece che nella
terza decade di questo secolo. Loro speravano che il sistema avrebbe reagito
subito alla scarsità a alle crisi locali, riallocando nella maniera più
saggia le risorse. E invece vediamo che persino il protocollo di Kyoto - un
puro esperimento di riduzione delle emissioni del 5% (mentre servirebbe
l'80%) - è rimasto lettera morta. Il modello, infine, era superottimistico
perché non prevedeva né guerre né conflitti sociali di grande ampiezza. E
invece, oltre quelle già avvenute o in atto, c'è una pletora di analisti che
ci mostrano come altre se ne stiano preparando. E più violente delle
attuali.
Fonte: http://www.ilmanifesto.it
Link
25.05.2008
http://www.ilmanifesto.it
http://www.comedonchisciotte.org
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