E’ deprimente pensare quante persone, per altri versi sensate, abbiano
“bevuto” l’assurdità del “picco petrolifero”. Leggiamo, per esempio, che
delle oltre 60 riserve in Irak, solo 17 sono state effettivamente sfruttate,
ed è stato calcolato che le riserve superano di gran lunga i campi
petroliferi attualmente sfruttati.
Ho trattato la questione in almeno altri cinque articoli, cercando di
denunciare la rapina che viene perpetrata dalle grandi compagnie, ma sembra
che i preconcetti riguardo alle risorse, specie in occidente, siano ancora
fermi al 18mo secolo, e deriva principalmente da un atteggiamento razzistico
verso la gente di colore l’improvvisa preoccupazione riguardo ai popoli di
Cina, India e altri, nel mondo sviluppato. Dopo averli per decenni spinti ad
adottare economie di mercato, ora questi popoli minacciano di costringere la
ricca minoranza del mondo a guardare in faccia la realtà del nostro
saccheggio del Pianeta, e l’assurda richiesta alle regioni in via di
sviluppo di addossarsi l’ulteriore costo di salvare l’energia e salvare il
pianeta. Cosa davvero scandalosa!
Ciò non significa che non dovremmo preoccuparci per l’evidente consumo di
petrolio in occidente, certo che no, e parlando di consumo, dovremmo
preoccuparci proprio per ogni altra materia prima che viene usata per
produrre un flusso senza fine di prodotti senza utilità che hanno rinchiuso
i popoli nell’ infinita dipendenza consumistica del capitalismo occidentale.
Materia prima che proviene largamente dai paesi in via di sviluppo. Questo
non significa che la questione del cambiamento climatico non sia una di
quelle di cui l’intero pianeta si deve preoccupare, ma la domanda che si
pone è come cercare di salvare il nostro ambiente deteriorato.
Ma sembra, a giudicare dai titoli cubitali di alcuni fra i mezzi di
comunicazione istituzionali che ora si stiano manifestando segnali di paura,
di fronte alla realtà del disastro climatico, che ormai, probabilmente, non
siamo più in grado di fermare perchè è troppo tardi. Ma quali soluzioni
propongono ?
Invertendo il global warming ?
Forse il paragone più azzeccato che mi viene in mente è quanto tempo occorre
per fermare una di quelle gigantesche superpetroliere da 200.000 tonnellate
di petrolio. Non puoi semplicemente tirare i freni e aspettare che si
fermino, data l’enorme quantità di enegia cinetica implicata. Così, noi
abbiamo pompato tanta di quella energia nella biosfera, negli ultimi 200
anni che una volta messa in moto e una volta superato il punto critico,
cercare di fermarla richiederebbe una quantità di sforzo anche maggiore
(supponendo che sia possibile, data l’alta complessità di un sistema che ha
impiegato miliardi di anni per evolversi e rispetto al quale noi attuamente
abbiamo scarsissime conoscenze riguardo alla complessità delle interazioni).
Io sono convinto che ormai è stato superato il punto in cui si tratta
semplicemente di tagliare la quantità di CO2 e di altri gas serra per
ristabilire l’equilibrio. Siamo, come si dice, su un pendìo scivoloso.
Non sono uno scienziato ma mi colpisce che un sistema così complesso come
“Gaia” che ha impiegato circa due miliardi di anni a formarsi; una rete
complessa di processi chimici, biologici e geofisici che hanno operato in
completa armonia per raggiungere ciò che chiamiamo l’“omeostasi”, una volta
violentato dal capitalismo industriale, non richieda altro che la gente
spenga la luce o vada al lavoro in bicicletta, per invertire il processo.
Se c’è una buona ragione per abolire il capitalismo e la sua mentalità “lupo-mangia-lupo”,
è la questione del clima; invece mentre gli imbecilli che ci propinano
fesserie a Montreal, cercano di scaricare sui paesi in via di sviluppo il
compito di migliorare la situazione, la vera questione, quella dell’economia
capitalistica viene dimenticata da coloro a cui conviene dimenticare.
Si sostiene che se la Cina e l’India seguiranno l’andamento dell’occidente
nella produzione di beni di consumo arriveremo all’esaurimento del petrolio,
all’accelerazione del riscaldamento globale e così via, ma chi è il maggior
consumatore di quei prodotti? Siamo noi!
Chi deve pagare ?
A questo punto vengono alla mente alcuni fatti; gli USA, sebbene abbiano
solo il 4 per cento della popolazione mondiale, producono il 25 per cento di
gas serra. Ma accusando la Cina (che ha oltre il 20 per cento della
popolazione mondiale,) di produrne a sua volta il 25 per cento, dimenticano
qual’è la produzione pro capite di gas serra in quel paese.
L’enorme espansione del prodotto industriale cinese è stata resa possibile
dagli insaziabili appetiti dell’occidente che ha esportato la maggior parte
della sua produzione industriale in Cina e in India dove la manodopera è a
buon mercato e abbondante. Non ho cifre da fornire ma sarebbe interessante
sapere quanto la crescita del prodotto cinese non derivi dalla dislocazione
da parte dell’occidente delle sue industrie in quel paese, e lo stesso vale
per l’altro obiettivo del biasimo crescente dell’occidente: l’India.
Questi sono dopotutto i paesi a cui per decenni l’Occidente ha chiesto di
trasformare le loro economie in cosiddetto “libero mercato”, in altre
parole, in una produzione incontrollata, orientata dai consumatori e
completamente aperta alla penetrazione dei capitali occidentali.
I media e i cambiamenti climatici.
La miopia dell’Occidente è evidente nel modo in cui i media affrontano il
problema. Il “London Independent” del 3/12/05 ha una prima pagina dedicata
alla questione oltre a un insipido editoriale sull’imminente disastro
ambientale, che rivelano una èlite al potere veramente atterrita ma che ,
per ovvie ragioni, si rifiuta di affrontare la questione fondamentale che se
vogliamo contrastare il problema prima di non essere più in grado di farlo,
ciò significa un fondamentale ritiro dall’”economia di mercato” verso una
economia che cerchi di ristabilire l’armonia con l’ecositema del pianeta,
con Gaia, il sistema che ci ha dato la vita.
L’editoriale dell’”Independent” afferma ,è vero, che “Il libero mercato non
lo farà mai da solo”, ma non suggerisce quale altro tipo di sistema lo farà,
né tantomeno riconosce che è proprio il “libero mercato” la principale causa
del problema. Del resto cosa significa “farlo da solo”? Forse il veicolo del
potere delle imprese è a favore dell’intervento statale? E se si, che ne è
del suo tanto lodato “libero mercato”?
E comunque non c’è niente di libero in un mercato dominato da una manciata
di giganti transnazionali supportati da una manciata di governi che negli
ultimi trent’anni hanno imposto il “libero mercato” nella maggior parte del
pianeta. E senza un cenno all’ironia implicita nel commento, l’editoriale
continua dicendo “affrontiamo tutti insieme questa era imminente di
imprevedibilità climatica”. E di nuovo, prevedibilmente, continua a dirci
che “Se la maggior parte di noi spegnesse gli apparecchi elettrici quando
non li usa e riciclasse accuratamente i rifiuti, le nostre società sarebbero
enormemente meno a rischio energetico. Se le popolazioni divenissero più
“verdi”,invierebbero un potente messaggio ai nostri rappresentanti politici.
Quindi tutt’a un tratto, siamo tutti responsabilizzati.
Però, in che modo questo quadri con un sistema economico basato su una
crescita all’infinito non viene spiegato. Non si accenna affatto alla
produzione ugualmente senza fine di prodotti del tutto insulsi come
“rinfrescanti dell’aria” elettrici, spazzolini da denti elettrici e ogni
genere di beni di consumo assolutamente inutili che fluiscono nel mercato
come un fiume senza fine, risultato di un sistema economico che deve
continuamente creare nuovi mercati che esistono finchè non raggiungono il
punto di saturazione.
Per di più questi prodotti che aumentano la domanda di elettricità anche se
ci viene ripetuto di controllare i consumi, sono per la maggior parte fatti
con materie prime ricavate dal petrolio e prodotti in Cina, Vietnam, India e
altre regioni del sud del mondo.
L’editoriale parla anche dei trasporti ma ancora una volta evita il cuore
del problema: l’automobile. E invece ci dice: “Bisogna prendere
provvedimenti per ridurre le emissioni (di gas) dei mezzi di trasporto. Ciò
significa vasti investimenti in carburanti alternativi e tassazione sui
voli.”
Intanto abbiamo un governo che spende miliardi nell’ampliamento del sistema
autostradale, dimenticando di fare investimenti nel trasporto pubblico
mentre garantisce profitti alla rete di autostrade privatizzate.
L’editoriale non fa menzione dell’incestuosa relazione fra le grosse
compagnie petrolifere e il governo e dell’importanza dell’industria
dell’auto per il capitalismo. Al contrario vuole mangiare la torta e
tenersela, con un semplice accenno ai “carburanti alternativi”.
Se non si affronta la centralità di un sistema economico che è nella sua
essenza completamente irrazionale, non può esserci speranza alcuna di una
soluzione della crisi ambientale che ci è davanti. Ma come il Verme
Ouroboros che si mangia la coda, lo stato e il suo servitore, i media,
parlano di urgenza della situazione ma non vogliono riconoscere che il
sistema che difendono divora se stesso.
William Bowles
Fonte: www.williambowles.info
Link: http://www.williambowles.info/ini/ini-0378.html
9.12.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LUCIANA OCCHIPINTI
Note:
Out Damn Spot – Oil Prices that is!
http://www.williambowles.info/ini/ini-0331.html
(S)Peaking of oil… again
' Peak oil’ – Newsspeak for 'too many poor people’
http://www.williambowles.info/ini/ini-0329.html
Warming to the subject of oil
http://www.williambowles.info/ini/ini-0297.html
'Well Oiled'
http://www.williambowles.info/ini/ini-0293.html
The truth about 'Peak Oil’ - The future revisited from a past that never
happened
http://www.williambowles.info/ini/ini-0292.html
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