Ogni impennata del prezzo internazionale del
petrolio ripropone il tormentone
dell’immediato trasferimento dell’aumento sul prezzo dei carburanti e sul
ruolo vessatorio del prelievo fiscale operato dallo Stato. Le associazioni
dei consumatori rapidamente calcolano il maggior esborso per il pieno di
benzina o diesel, e altrettanto rapidamente invocano l’intervento del
Governo per sterilizzare l’incremento di prezzo con una corrispondente
riduzione del carico fiscale. Le stesse associazioni, spesso fiancheggiate
dal ministro delle Attività produttive, lamentano poi la totale inerzia dei
petrolieri nell’adeguare al ribasso i prezzi dei carburanti ogni qualvolta
il prezzo del petrolio flette. Ci sono
evidenze empiriche a sostegno di questa affermazione? Ed è giusto
intervenire sulle accise per calmierare il prezzo della benzina?
L’asimmetria
Sul primo punto, l’asimmetria del meccanismo di trasferimento di
variazioni del prezzo del greggio su quello dei carburanti, esiste ormai
un’abbondante letteratura empirica, così come analisi accurate e ripetute da
parte della stessa Antitrust italiana. (1)
L’evidenza conferma l’esistenza di un comportamento asimmetrico da
parte dei venditori. Il problema è il seguente. Il mercato al dettaglio dei
carburanti presenta le caratteristiche di un modello oligopolistico
di collusione implicita: anche se i prezzi non sono esplicitamente
concordati tra i pochi venditori presenti sul mercato (una pratica
illegale), l’esito finisce per essere lo stesso. In Italia, Agip Petroli
controlla ancora, direttamente o indirettamente, 7.244 impianti, e i pochi
altri venditori presenti, tutti fortemente verticalmente integrati, hanno
scarsa convenienza a farle e a farsi concorrenza. Così, un alto prezzo
viene sostenuto da tutti in quanto una riduzione unilaterale provocherebbe
la reazione degli altri venditori, che punirebbero il deviante con una
riduzione ancor più accentuata del prezzo. Ciò genera inerzia nel rivedere
il prezzo alla pompa al ribasso quando si verifica una riduzione dei costi
(il minore prezzo del petrolio) che
interessa tutti. Viceversa, genera convenienza a seguire rapidamente il
leader al rialzo, quando si verifica un’impennata dei costi.
Il mercato
Se questo è il problema, la soluzione può dunque essere solo cercata in
una maggiore apertura del mercato. Si deve cioè consentire ad altri
soggetti, con caratteristiche diverse da quelli già presenti, di operare
nella distribuzione al dettaglio. Per esempio, come dimostra l’esperienza
positiva di altri paesi europei e come suggerito dalla stessa Antitrust,
aprendo il mercato ai centri commerciali, che avrebbero sia le
strutture per costruire e mantenere gli impianti di distribuzione, che la
convenienza ad attrarre i clienti nei propri negozi mantenendo bassi i
prezzi dei carburanti. Il legislatore italiano ha provato più volte, sebbene
non senza incertezze, a incentivare un’evoluzione della rete distributiva in
questa direzione. Senza grande successo, tuttavia, complice anche la
colpevole negligenza di Regioni e comuni italiani, a cui è demandata la
legislazione di dettaglio, a dimostrazione del fatto che i gruppi di
pressione hanno spesso maggiore capacità di influenza sulla politica a
livello locale piuttosto che a quello nazionale.
La fiscalità
Nell’immediato, dunque, è realisticamente difficile attendersi progressi
significativi su questa strada. Ciò solleva l’interrogativo se le richieste
di un intervento del Governo sulla fiscalità non abbiano qualche
giustificazione, almeno nel breve periodo. In soldoni, l’idea sarebbe quella
di introdurre un meccanismo automatico per sterilizzare gli incrementi
del prezzo del petrolio con la
fiscalità, riducendo in modo corrispondente l’accisa sui carburanti. In
un’ottica congiunturale, il prezzo del carburante alla pompa sarebbe dunque
"protetto" dalle oscillazioni di quello del greggio. Naturalmente, il
principio dovrebbe valere in maniera simmetrica: qualora il prezzo del
petrolio scendesse, la fiscalità
dovrebbe reintegrare il prezzo del carburante al livello preesistente.
Questa proposta potrebbe avere anche qualche giustificazione economica;
oscillazioni forti nei prezzi nel breve periodo sono costose per gli agenti
economici, e se si ritiene che, inefficienze nella rete distributiva a
parte, vi siano ragioni strutturali per cui il mercato privato non
sia in grado di compensare da solo queste oscillazioni, un intervento di
tipo assicurativo da parte del settore pubblico potrebbe essere giustificato
su un piano di efficienza.
A guardar bene, tuttavia, quest’argomentazione non appare convincente. In
primo luogo, è opportuno sottolineare che l’attuale fiscalità già
svolge un ruolo di stabilizzazione del prezzo. La fiscalità sui carburanti
prende infatti la forma di un’accisa – cioè, di un’imposta con base
imponibile definita in termini fisici e un’aliquota in termini monetari — e
non di una ad-valorem, come è per esempio l’Iva, contribuendo così a
calmierare le variazioni nei prezzi, evitando che queste si riflettano anche
in variazioni nell’onere di imposta. In secondo luogo, l’argomentazione
precedente assume che il Governo conosca, meglio del settore privato, il
prezzo di lungo periodo del petrolio
attorno al quale "aggiustare" le variazioni nel breve periodo. Ma questo
appare poco credibile. E in assenza di queste informazioni, c’è il rischio
che il Governo stabilizzi il prezzo a un livello sbagliato,
interferendo con il ruolo segnaletico che questo deve svolgere nel guidare
le decisioni degli operatori privati. In altri termini, interventi
temporanei di sterilizzazione potrebbero lanciare agli utenti un segnale
sbagliato, per esempio non rammentando ai cittadini che il
petrolio è una risorsa esauribile, il
cui prezzo è destinato inevitabilmente a crescere e non a diminuire. Ciò
sarebbe particolarmente dannoso anche alla luce degli effetti negativi
sull’ambiente che l’uso dei mezzi di trasposto privati produce. C’è infine
un’ultima considerazione. Il meccanismo di stabilizzazione dovrebbe essere
simmetrico, riducendo ma anche aumentando, se è il caso, l’accisa in
modo da mantenere inalterato il prezzo dei carburanti. Ma non è difficile
immaginare che mentre una riduzione dell’accisa troverebbe il consenso di
tutti – utenti, associazioni di consumatori, imprese — un incremento
produrrebbe un altrettanto unanime dissenso. Checché ne dica la legge, c’è
dunque il rischio che politici alla ricerca di un facile consenso siano più
che pronti ad assecondare gli umori popolari, "sterilizzando"
l’aumento dell’accisa quando questo si rendesse necessario. All’attuale
asimmetria di mercato se ne sostituirebbe dunque un’altra, di segno opposto
e di natura politica, ma non per questo meno perniciosa della prima.
Un’unica alternativa
Se si vuole davvero calmierare il prezzo dei carburanti non ci sono
dunque alternative a quelle di una apertura dei mercati a nuovi entranti e
di una maggiore concorrenza tra i venditori. Una strategia di lungo
periodo, che avremmo dovuto intraprendere con maggior decisione già da
tempo, ma tant’è. Scorciatoie di breve periodo, come gli interventi sulla
fiscalità sulle benzine, rischiano di essere pericolose, anche alla luce
delle tendenze populistiche della nostra classe politica. Del resto, che si
torni a parlare di riduzioni nell’accise sui carburanti nell’attuale
situazione dei conti pubblici è di per sé un’eloquente dimostrazione
della presenza e della forza di queste tendenze.
(1) Un esempio è rappresentato da Marzio Galeotti, Alessandro
Lanza e Matteo Manera, "Rockets and Feathers Revisited: An International
Comparison on European Gasoline Markets", Energy Economics 25 (2003)
175-190. Si veda anche "Indagine conoscitiva sulla ristrutturazione della
rete di distribuzione dei carburanti", Autorità garante della concorrenza
e del mercato, Roma, Presidenza del Consiglio, 2000
Commenti presenti |
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07-06-2005 13:33:00 |
Pietro Salinari |
E se si alzasse il prezzo? |
Condivido pienamente le tesi dell' articolo, soprattutto
per quanto riguarda la preferenza a regolare attraverso l' entrata di nuovi
soggetti invece dello strumento fiscale.
Ma mi ha fatto riflettere la frase "c’è il rischio che il Governo stabilizzi
il prezzo a un livello sbagliato" . In effetti mi ero chiesto varie volte se
non sarebbe una politica saggia intervenire per creare un' aspettativa di
prezzi dei carburanti alti e crescenti! Mi rendo conto che si tratterebbe di
una misura altamente impopolare, ma pensiamo a quali effetti sui consumi
energetici e sulle fonti alternative se si desse la certezza che la benzina
costerà 2 euro al litro dal 2006 al 2008, 3 euro allitro dal 2008 al 2010 e
cosi via! |
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17-05-2005 21:08:00 |
federico |
fiscalità, concorrrenza o miopia nelle privatizzazioni ? |
Siamo sicuri che il problema sia la concorrenza tra
venditori ?
E che nuovi entranti comportino benefici effetti sotto il profilo del
contenimento dei prezzi ?
A me sembra che il problema della distribuzione sia un falso problema, o
comunque un problema minore.
Stiamo dicendo: se ci fosse maggiore concorrenza nel settore ritail (alla
pompa, insomma), i prezzi decrescerebbero.
Non dubito che sia in parte così. Ma è questo, veramente il problema, di un
prodotto il cui "valore" al pubblico è rappresentato, per circa il 70%, da
tasse ?
La concorrenza tra venditori potrebbe incidere in piccolissima parte sul
margine del gestore (mi esprimo in termini atecnici). Margine peraltro
piuttosto contenuto (4 - 5 centesimi al litro) e che comporta per gestori di
medie dimensioni ricavi (nota bene, non profitti) nell'ordine di 50 mila -
80 mila euro (gli unici che possono permettersi di abbassare questa voce
sono i supermercati, che offrono la benzina o il gasolio come servizio e,
talvolta, come prodotto civetta per i propri clienti).
Non incide invece sui margini, relativamente più elevati, della catena del
valore che va dalla raffinazione alla distribuzione (inclusa l'importante
voce della logistica). Questa fase in italia è tutta dominata dall'Eni, che
dunque è in grado di esercitare un potere di mercato notevolissimo su tutti
i mercati a valle. Sui concorrenti integrati (a parte Esso, forse, tutti gli
altri concorrenti dipendono, per raffinazione, logistica primaria e
secondaria, da eni), e sui concorrenti non integrati (pompe bianche,
supermercati, ecc.).
In altre parole, se il prezzo del carburante e' 1,200 euro al litro, la
concorrenza tra venditori è in grado di incidere fino a portare il prezzo,
nella ipotesi più favorevole, a 1,190. E' un grande risultato ?
A me pare proprio di no. Dobbiamo incidere sulle tasse ? Forse no. Sarebbe
forse più corretto ricordare, tuttavia, da parte del Governo, e dei media,
che l'elevatezza del prezzo dipende sostanzialmente dallo stato.
Altri mezzi ? Posto che sul platt's non è possibile incidere, una modalità
di intervento ci sarebbe o, meglio, ci sarebbe stata.
Lo Stato, salvando una serie di aziende decotte (ip, ma molte altre) ha
concentrato in un'unica impresa un quasi monopolio nella importantissima
parte della filiera raffinazione- logistica primaria - logistica secondaria.
Difficile d'altronde ipotizzare altre strade se non il salvataggio statale,
come aveva più volte ricordato il Presidente Amato, quando era Presidente
dell'Autorità garante.
Tuttavia, prima della privatizzazione si sarebbe potuto pensare ad uno
spezzatino, orizzontale o verticale, dell'eni.
Invece, con l'intento di fare cassa, si è lasciata una posizione di quasi
monopolio che parte dalla raffinazione e giunge sino alla pompa. I modelli
di price leadership ci insegnano che in questa situazione è difficile
ottenere prezzi bassi (così mi pare, non sono economista). E ci insegnano
inoltre che introdurre maggiore concorrenza solamente nella distribuzione
serva a poco, dato che la polpa dei profitti (basta leggere il bilancio eni
consolidato del 2004) viene "trattenuta" a monte. |
Sommario
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