Gli aiuti stanziati da governi e privati per i paesi colpiti dallo
tsunami hanno ormai superato i 5,5 miliardi di dollari. La cifra è
decisamente ragguardevole se si considera che in media ciascun individuo
direttamente colpito riceverà una somma che supera di circa venti volte
il valore pro capite degli aiuti stanziati nell’immediato
dopo-catastrofe. (1)
Un simile risultato probabilmente non sarebbe stato possibile se
l’opinione pubblica non avesse guidato la campagna di mobilitazione
internazionale. Ma sarebbe utile che l’esultanza per l’entità degli
aiuti fosse accompagnata da un’analisi di come sono stati
elargiti. Quanto hanno ricevuto esattamente i paesi colpiti, e da chi?
Chi dà e chi riceve
Anzitutto è bene notare che dei 5,5 miliardi di fondi registrati al 10
febbraio 2005 dall’Office for Coordination of Humanitarian Affaires
(Ocha) delle Nazioni Unite, circa 4,4 miliardi erano stati destinati
indistintamente alla "regione" nel suo complesso e solo poco più
di 1,1 miliardi erano già stati direttamente allocati ai singoli paesi
colpiti. Lo schema di queste allocazioni è comunque piuttosto
interessante. Se consideriamo la composizione degli aiuti dal punto di
vista dei donatori, la media vede l’80 per cento dei fondi
destinati alla "regione" nel suo complesso: per quasi tutti i
donatori tale quota supera il 90 per cento. Due paesi fanno eccezione: il
Giappone, che alla regione ha dato solo il 37 per cento dei propri aiuti,
e l’Australia che ha destinato solo il 6 per cento alla regione e ben il
93 per cento dei propri aiuti all’Indonesia. Considerando che Australia
e Giappone sono i paesi maggiormente coinvolti in termini di interessi
geopolitici nella regione, è difficile non pensare a un utilizzo degli
aiuti che prescinda da considerazioni esclusivamente umanitarie.
Analizziamo ora la composizione dei flussi di aiuti dal punto di vista dei
paesi riceventi. Sul totale degli aiuti allocati direttamente
ai singoli paesi colpiti, il 69 per cento è stato destinato
all’Indonesia, il 27 per cento allo Sri Lanka, e il 4 per cento alle
altre nazioni. Questa variabilità rispecchia in larga parte un criterio
di "bisogno" quantificato in termini di numero delle vittime,
che in Indonesia e Sri Lanka è stato rispettivamente di quasi 115mila e
quasi 31mila persone (2). Il criterio appare però
violato quando le Maldive con 82 morti ricevono circa il 3 per cento degli
aiuti, e l’India e la Tailandia con 11mila e 5.400 morti ottengono
ciascuna lo 0,8 per cento degli aiuti.
Flussi degli aiuti e interessi geopolitici
Per approfondire le motivazioni che guidano l’allocazione dei fondi,
è utile esaminare i flussi di aiuti dai principali donatori ai
singoli paesi riceventi, indicati nella tabella 1. Le cifre riportate
rappresentano la percentuale di aiuti che il paese elencato in testa a
ciascuna colonna riceve dai singoli donatori. Per esempio, esaminando la
prima colonna si vede che sul totale degli aiuti ricevuti
dall’Indonesia, il 3,5 per cento proviene dalla Germania, l’1,1 per
cento dalla Commissione
europea, e così via. In termini molto grezzi, possiamo pensare
a queste cifre come una misura della "dipendenza" negli
aiuti (o della "riconoscenza") che ogni beneficiario potrebbe
avere nei confronti dei vari donatori. Se i flussi bilaterali fossero
neutrali o "ciechi", ci si aspetterebbe che le colonne fossero
simili fra loro. Quello che si osserva è invece una matrice piuttosto
vuota con una concentrazione marcata in alcune celle. Per esempio, oltre
il 78 per cento degli aiuti ricevuti dalle Maldive viene dal Giappone, il
68,6 per cento di quelli ricevuti da Myanmar arriva dalla Germania, il
35,4 per cento degli aiuti all’India proviene dagli Stati Uniti e il
17,4 per cento dal Regno Unito. Particolarmente interessanti sono le
colonne relative a Indonesia e Sri Lanka, i principali beneficiari in
senso assoluto. Ben il 52,8 per cento degli aiuti all’Indonesia proviene
dall’Australia, e il 25,3 per cento dal Giappone. La
lettura di questi dati in chiave di controllo strategico della regione non
è particolarmente difficile. Nel caso dell’Australia, poi, il pacchetto
di aiuti promesso dal primo ministro Howard (pacchetto che non ha
precedenti in tutta la storia del paese) è stato visto dall’opinione
pubblica come un chiaro tentativo di migliorare le relazioni tra i due
paesi dopo il coinvolgimento australiano nell’indipendenza di Timor Est
nel 1999.
Quanto allo Sri Lanka, che riceve il 32,4 per cento dei propri
fondi dal Giappone e il 18,7 per cento dagli Stati Uniti, la
posizione strategica del paese e il suo possibile utilizzo come nodo
cruciale nel trasporto del petrolio sono solo due delle ipotesi avanzate
dalla stampa locale in una visione critica degli aiuti. Si è soliti
pensare che gli aiuti stanziati per far fronte a disastri naturali siano
diversi dagli aiuti allo sviluppo in senso lato: meno politicizzati,
meglio spesi. Se questo è uno dei motivi per ridurre i fondi allocati
alla cooperazione internazionale a vantaggio del "relief aid",
bisognerebbe controllare meglio.
(1) The Economist, 8 gennaio 2005
(2) Aggiungendo al numero ufficiale dei morti, quello
dei dispersi, le cifre salgono a 243.000 persone per l’Indonesia, oltre
36.000 per lo Sri Lanka, mentre Thailandia e India contano rispettivamente
più di 16.000 e 8.000 tra morti e dispersi. Le cifre più aggiornate
della tragedia parlano di oltre 304.000 tra morti e dispersi, numeri
peraltro destinati a crescere.
Tabella 1: Composizione per donatore degli aiuti ricevuti dai
paesi colpiti (valori %)

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